Ne avevo parlato giusto un anno fa, in occasione dell’apertura. Ci torno oggi, per dire che il negozio su web della Deutsche Grammophon (che aveva già in vendita per il download senza DRM tutto il suo sterminato catalogo di musica classica), da qualche giorno ha introdotto anche la possibilità di ascoltare in streaming a 0,99€ un intero per album per un’intera settimana.
Lo dico perché mi sembra una bella cosa per chi ama la musica. Lo dico perché mi sembra una bella cosa, per chi ama la rete. Lo dico anche perché, nonostante il mondo dei libri sia ancora molto indietro su questo fronte, questa cosa dello streaming a basso costo apre secondo me per i libri un mondo, inquietante o assai allettante, a seconda dei punti di vista. Per me vale la seconda che ho detto, naturalmente 🙂
Provo a spiegarmi: tendenzialmente si vuole disporre di un’opera musicale (e specialmente di questo tipo di opera musicale direi, la musica classica), per ascoltarla e riascoltarla, più volte, ogni volta che si vuole. Sicché la limitazione dell’ascolto ad una settimana soltanto è una limitazione effettiva.
Con i libri, il più delle volte e salvo eccezioni (quei pochi di cui ci innamoriamo davvero, o i libri di consultazione), non è così: di regola il libro viene letto una sola volta, e amen.
Stando così le cose, offrire la possibilità di una lettura in streaming, per una settimana, al prezzo di 0,99€ (ché se ci sta in quel prezzo Deutsche Grammophone con un album musicale non c’è ragione al mondo per cui non debba starci l’editore di un libro) significa in realtà offrire il tutto della nostra esperienza di fruizione del libro a soli 0,99€, perché il libro, in una settimana, me lo leggo tutto e via.
Aspetto inquietante della cosa: oddio, incassare soltanto 0,99€ da ogni singolo libro venduto, è la fine, non guadagnerò mai più un soldo!
Aspetto allettante della cosa: caspita, offrire un libro, qualsiasi libro, a 0,99€ per leggerselo tutto… visto mai che si affaccino a comprarlo un sacco di persone che altrimenti non lo avrebbero mai fatto?
Gli aspetti positivi potrebbero essere molti: dal fatto che un euro lo ‘butteresti’ senza tanti problemi per dare una sbirciata ad un libro, giusto per vedere se ti può interessare (sempre meglio che leggere l’indice!), al vantaggio, per chi vende il libro, che così non lo presteresti agli amici, ma ognuno lo comprerebbe per se!
Sicuramente per i libri potrebbe funzionare!
Per la musica, invece, l’idea potrebbe essere ugualmente buona…ma imho i costi sono in proporzione esagerati (come del resto in tutti gli store esistente attualmente, siano Apple, Amazon o altri): 0.99€ mi andrebbe bene se fosse per ascoltare l’intero catalogo per una settimana, non per un solo album (meglio ancora se posso scaricarli pure!).
La gente vuole essere onesta…ma a condizioni oneste!
L’ordine di grandezza di fruizione della musica (migliaia di canzoni tenute in un singolo ipod) è ben più grande di quello dei libri (massimo qualche decina letti in un anno), per cui i prezzi dovrebbero essere proporzionati di conseguenza!
Diventa quindi fondamentale il “passaparola” sul libro e le consumer reviews, le recensioni dei consumatori che “portano” altri consumatori. ITunes funziona già così, non solo per la musica, ma anche per le “App” per esempio
Antonio in teoria tutto questo sarebbe bello, in realtà poteva andare bene 10 anni fa. Ora is to little and to late.
Io come molti altri sai quanta musica posso sentire quanto, come e dove mi pare senza pagare un centesimo? Anzi ti dirò io sono tra quelli che ha ancora CD impolverati e affitto DVD dalla videoteca sotto casa. Io ho però 42 anni 🙂
Oggi casualmente su twitter ho intercettato della musica appoggiata su drop.io e me la sto ascoltando.
Su Drop.io ci metto quello che voglio: video, musica, testi e se voglio lo blindo con una password e ancora se proprio mi gira stabilisco che i dati si distruggano in una settimana, un mese o un giorno.
Come ti dicevo troppo poco e troppo tardi e la recessione farà il resto perché tutti tra 1 e 0 euro sceglieranno 0.
C’è una speranza che qualcuno compri ancora e quella speranza risiede nella qualità del prodotto. Io ad esempio faccio politica comprando un DVD anche se l’ho già visto perché se il film è valido il produttore deve essere finanziato.
Faccio un esempio questo film: http://www.apple.com/trailers/sony/ohorten/ non lo vedrà praticamente nessuno. Quando uscirà penso che lo comprerò anche a caro prezzo così il regista egli attori potranno continuare a fare film simili. Batman me lo vedo con gli amici e amen.
No Roldano, non tutti sceglieranno 0, non per tutto. E sei tu stesso a smentirti una riga più giù: la differenza la fa la qualità del prodotto. E non solo nel senso che tu indichi (pago non per comprare quel prodotto ma per supportare chi l’ha fatto perché ne faccia altri così), ma anche nel senso dei “valori non copiabili” che possono essere incorporati a un prodotto, di cui parla Kevin Kelly quando accenna al “better than free”. Resto all’esempio: lo so anch’io, posso ascoltare (e ne ascolto!) tutta la musica classica di tutti i compositori che voglio, quando voglio e quanto voglio. Ma se voglio un accesso immediato, sicuro, di quailtà, ricco di metadati, a QUELLA esecuzione di cui mi hanno parlato, di cui ho letto, che ho trovato… no, 0,99€ per ascoltarmi tutto l’album (o per leggermi tutto il libro) no, non sono troppi.
[Troppi, troppissimi, concordo, restano gli 0,99€ per l’acquisto di una traccia (per lo più drm-mata) su iTunes, praticamente lo stesso prezzo dei CD di plastica, questo sì!]
La mia esperienza: nel 2001 beccai Napster, non mi sembrava vero, avevo tutta la musica rock che desideravo gratis. Mi feci oltre 200 CD in poco più di due mesi. Io ascolto solo in macchina (ad alto volume, ebbene sì è più forte di me:-) e quei CD ancora li ho in auto. Poi venne eMule ma ormai i CD che mi piacevano costavano 10 Euro e li compravo al negozio, belli e pronti. Tant’è che non ho scaricato neanche una canzone da eMule, anche se ho scaricato il programma sul mio PC e lo tengo là. Poi venne iTunes: l’ideale perché i CD a volte contenevano 4 canzoni belle su 10. Ed ora, da novello “scaricatore abusivo” di canzoni, sono diventato un novello acquirente di songs su iTunes. Tenendo conto del fatto che è nato iTunes Plus che permette di fare dei brani quello che voglio, finalmente ora posso fare anche i miei famosi CD da viaggio!
Per finire…mi sta venendo voglia di comprarmi anche qualche disco in vinile, li ho visti nelle Feltrinelli e pare che se ne vendano ancora!
Antonio guardiamoci in faccia quanti pischelli di 20 anni stanno scrivendo qui sopra? Io ho 42 anni e certo che compro, ma le generazioni future quelle che non frequentano i barcamp perché non danno i crediti per l’università? Loro o free o paga mammà. Io ho detto speranza mica certezza 🙂 Aggiungi che se ai gggiovani si continua a dare solo stage e cococo quelli diventano cinici dentro e non comprano più per abitus mentale
Eddai Rolda’, non fare la parte del vecchio saggio e disincantato, che è troppo presto 🙂
Leggo uno strisciante moralismo che non è il tuo in quel che dici: noi compriamo ancora perché siamo ancora di buoni principi, i ggiovani invece, o free o paga mammà, signora mia, non c’è più religione… No, non credo sia così. Neanche io sono disposto più a pagare per ciò che non aggiunge valore a ciò che già esiste, tutto qua. Ribadisco: gli spunti di Kevin Kelly restano fondamentali in questo:
http://antoniotombolini.simplicissimus.it/2008/02/meglio-che-gratis.html
non se po’ fa più il provocatore e proprio vero non c’è più la religione di una volta 😀
Ora vado a leggere Kevin Kelly e divento un po’ più strutto 🙂
Comunque il mio non è moralismo ed anzi cerco sempre di valorizzare quello che fanno molti giovani veramente bravi ed impegnati ma sconosciuti.
Io sto a metà via. Non ne avrò 40 ancora per un po’… ma i 20 sono oramai lontani.
Concordo con Roldano; è assurdo pagare per qualcosa che è disponibile gratuitamente. Poi io il vinile l’ho ascoltato solo di striscio… sono stato abituato subito alle audiocassette, quindi nemmeno il vinile da collezione mi rievoca granchè.
Una canzone registrata è una fatica fatta una volta sola; una rendita insomma. Se i cantanti vogliono i miei soldi devono darmi come minimo uno spettacolare concerto. La rendita (anche musicale) deve morire.
Sui libri (sulla musica, non spiego perché – ché non lo so – ma è diverso), ma sui libri, trovo che Antonio abbia perfettamente ragione.
Il problema, o, forse, il tema, è che di ragione siamo fatti ma anche di pancia. Ed è con quella, soprattutto, che – chi più, chi meno – ragioniamo. Augh.
Cesenatico, andiamoci piano col qualunquismo. Dietro una canzone registrata in studio (o dietro un testo memorizzato in un file) c’è sì chi l’ha cantata una volta, e amen, e c’è sì uno che l’ha digitata sulla tastiera una volta, e amen. Ma c’è chi l’ha creata, quella cosa lì. E il processo creativo è una cosa delicato, verso cui nutrire (e educare a nutrire!) un profondo rispetto. E nutrire rispetto significa anche tributare il giusto compenso a chi quel processo creativo mette in atto.
Certo, la situazione a cui tendere mi sembra chiara: passare dal “consumo di cultura” come “acquisto di un prodotto”, che costa tot, alla “partecipazione alla cultura”, col compenso da parte di ciascuno all’autore sulla base di ciò che mi piace e nella misura in cui mi piace. In qualche modo nella forma del compenso (e dunque del compenso) determinato a posteriori da chi fruisce dell’opera in termini di “supporto” a chi la fa (tutti gli attori della filiera di produzione/distribuzione dell’opera).
Del resto credo che la rete e le sue logiche condurranno verso questo approdo anche il puro e semplice acquisto di merci: dove sta scritto che il prezzo deve farlo per forza il venditore? Viviamo o no un’epoca in cui il potere si sposta sul compratore? E allora perché non potrebbe essere lui a farlo? (si badi che già accade in tutti i mercati in cui strutturalmente il compratore ha più potere del venditore: il fenomeno in atto dunque è soltanto quello per cui anche nei mercati dei prodotti di largo consumo il potere si sta spostando sul compratore).
Non è qualunquismo ma una realtà (sempre più) quotidiana con cui chi crea deve fare i conti. Poi massimo rispetto e stima a chi ha intuizioni musicali o di qualsiasi altro tipo; ma non è con le repliche delle informazioni che ha creato che potrà far soldi, indipendentemente da chi stabilisce il prezzi.
Forse domani i musicisti neanche pubblicheranno CD. Magari distribuiranno gratis solo i primi 30 secondi di ogni canzone dell’album e poi faranno concerti spettacolari grazie al passaparola. Oppure i più oziosi si accontenteranno di campare coi diritti della radio (finchè dura).