Il blog di Antonio Tombolini

Diario Francofortese /1, Amazon vuole (anche) i libri italiani

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Eccoci alla Frankfurter Buchemesse 2009, la fiera del libro più importante del mondo, nel senso che anche gli editori americani vengono qui a fare affari.
Per la verità la fiera comincia domani, ma per me è cominciata oggi, con l’incontro, preparato da mesi, con quelli di Amazon Europe. Ecco cosa posso dire: fanno sul serio, molto sul serio, e da domani incontreranno gli editori italiani, per proporgli di vendere su Amazon sia i libri di carta che gli ebook per Kindle. La notizia quindi è che Amazon vuole cominciare a vendere sul serio anche i libri di carta (o physical books, come dicono loro) italiani, in competizione con le librerie online nostrane. Cosa risponderanno i nostri editori? Come reagiranno ibs.it, lafeltrinelli.it, bol.it?
Quanto a SBF, si sono complimentati con noi per il lavoro che abbiamo fatto con La Stampa (curandone la versione Kindle), cosa che ci varrà l’inserimento nella recommended list (mooooolto ristretta) dei fornitori di servizi di conversione che Amazon sottopone a tutti gli editori europei. Ovviamente ne siamo mooooolto soddisfatti 🙂

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  • In effetti se Amazon sbarca in it con il suo Front-end è ovviamente molto piu competitiva delle farraginose e povere di contenuti, interfacce e-commerce del mercato attuale dei libri. Però da un lato, i ns portali hanno acquisito spazio e forza con gli editori, non so quanto lasceranno spazio, e poi, da piccolo artigiano, mi irrita un po’ la ‘prepotenza’ del mainstream. domanda: il mercato delle applicazioni web è già diventato come quello automobilistico?

  • Caro Paolo, io lavorando a Dublino conoscono alcuni degli IT di amazon e ti posso assicurare che è gente davvero preparata.
    Sotto il profilo del cloud computing sono avanti anche a google.
    Ad ogni modo la risposta alla tua domanda è no.
    La questione non si configura come una battaglia “davide contro golia” ma si configura sotto il profilo degli sforzi che una azienda intende fare in una certa direzione.
    Amazon spinge e si impegna un sacco in direzione ebook, agli editori italiani non frega niente.
    Se gli editori italiani fossero stati lungimiranti a quest’ora le cose potrebbero andare anche al contrario, ma così non è stato.
    Se continua così amazon si “papperà” la gran parte del mercato ma semplicemente perché gli italiani nel frattempo sono sempre stati a dormire.
    E per noi lettori è una fortuna che ci sia amazon altrimenti stavamo bene con il libro tradizionale per altri 100 e 100 anni ancora.

  • ciao Fabio, io non parlavo tanto degli e-book quanto dei physical-book (x citare Antonio) di cui antonia parla a proposito dell’interesse di Amazon. Secondo me, è vero che i siti di e-commerce nostrani sono decisamente poco competitivi con amazon, e probabilm dipende anche dal fatto che non c’è dietro alla poltrona uno con Bezos, ma forse anche da una mancanza di infrastrutture, investimenti, e professionalità (e anche scarsa competitività internazionale) che rendono più difficile per un imprenditore realizzare anche solo 1/10 delle iniziative di Amazon (per non dire dell’impossibilità di raggiungere quelle dimensioni e quindi quel potere contrattuale con il mercato). Paolo

  • Ciao Paolo,
    scusami se ho frainteso, capirsi attraverso poche righe di commento ad un blog non è semplice.
    Sulla mancanza di investimenti ti dò ragione, sulle infrastrutture e professionlità un po’ meno.
    Ci sono ottimi servizi di hosting in Italia e anche ottimi tecnici (troppo spesso trattati a pesci in faccia perché non hanno “la spintarella”).
    Dal punto di vista del libro il fatto di parlare italiano è un ottima barriera di ingresso per lasciare fuori i competitors stranieri, almeno fino ad ora lo è stata.
    Durerà?

  • Ciao, … non parlavo di professionalità individuali, sappiamo che l’italiano è bravo specialmente in intuizione e astuzia, ma di strutture e ruoli. Nel mondo anglo, trovi tipologie di ruoli precise, molto piu stratificate, con la loro professionalità. E in + un mercato che sostiene il tutto (es. in canada un ‘programmer senior’, cioè uno di livello SUN se deve programmare in java, costa 100.000 $ /anno. In IT qs figura proprio non esiste, x’ qui il mercato dei programmer bravi si divide tra smanettoni, dottorandi vari di ingegneria, free-land anche bravi ma non affidabili… e personaggi simili…. e 100.000 eu /anno , chi arriva a guadagnarli, non è (piu’) un programmer). Scusa l’esempio specifico, ma qs cultura si riflette nel fatto che Amazon possiede le infrastrutture sw e i tool vari che conosciamo, mente ibs, da qs punto di vista, è come il finalista del torneo tennistico Telecom vs Federer.
    … interessante l’ultima domanda. Io ho un po’ paura di no…

  • Anche se è un esempio specifico Paolo ha fotografato perfettamente la situazione IT italiana lato “quelli che si sporcano le mani”. Un programmatore qui e considerato al più un cacciavitaro.

  • Ora mi inimicherò i più, anche perché non avrò agio qui per motivare: un programmatore E’ un cacciavitaro. Il valore aggiunto al suo lavoro deve trovarlo altrove: o diventa architetto, o resta un cacciavitaro. Scrivere codice è una commodity.

  • (disclaimer: lavoro per un competitor italiano di amazon) Il vero problema in Italia non è che manchino tecnici preparati o che ci manchino le idee, il fatto è che mancano i soldi. Qui non c’è modo di fare piani di investimento faraonici, non c’è venture capital, non c’è borsa, non ci sono investimenti sulle idee, in fondo c’è anche poco mercato. In definitiva credo che quello che esiste in Italia sia molto rispetto alle briciole che sono state investite. Rggeremo contro Amazon? Non lo so, il fatto è che siamo un mercato talmente piccolo (quello dei libri in italiano) che non ci dedicherà troppa attenzione.

  • conosco (anche se ancora poco) Antonio e credo di capire il suo pdv. Però non è un ragionamento sociale, nel senso della società della produzione: … il programmatore-cacciavitaro (cmq x programmer io intendo anche chi progetta il kernel di android, non solo chi fa i servizietti web) dovrebbe avere il suo ruolo ben definito e ben pagato se qualche architetto vuole realizzare applicativi e servizi come quelli che propone Amazon o Google. Altrimenti, si procede (come del resto faccio io) un po’ all’italiana: si segue una tesi all’università, si prende un pezzo dell’amico del CNR, si paga qualche studente o ex studente di Ing. e così via… magari puo’ andare bene. E qualcuno è riuscito anche a farci i soldi sbarcando in California, o chessò… pensa di farli, alleandosi con imprenditori che stanno costruendo e vendendo in Brasile. E investono sul Web. .. xo’ è tutto un bordello. Non ci sono standard, non ci sono Business Venture (ovvio: chi investe in un mercato improvvisato di qs genere? a metà tra Ellis Island e la L.A. postmoderna di Blade Runner), e dove le sw hose di 100-200+ dipendenti lavorano per la P.A. in un mercato clientelare e protetto? (dove il business è quello degli anni 70, o giu di lì, e il Social Networking è un modo x passare il tempo) … discorso complesso…
    Paolo

  • Cosa significa programmatore = cacciavitaro?
    Più o meno come dire: architetto = muratore
    matematico = manovratore di pallottorieri
    filoso = ingarbugliatore di parole
    Mi sembra un pochino riduttivo!
    Io sono una persona che nella vita sviluppa software, odio che mi vengano attribuiti appellativi.
    Perché non li usate su voi stessi se vi piacciono tanto?

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