E’ un gran risultato tuttavia credo che la cautela in questi casi sia d’obbligo. Premesso che non accetto il tasso di crescita del PIL come indicatore macroeconomico del benessere di una nazione, vorrei far notare come alla crescita non si sia affiancata una crescita dell’occupazione nè un apprezzamento del dollaro. Segnale che le imprese vanno un po’ caute su questa ripresa (probabilmente anche per un cambiamento nell’accettare rosee aspettative dopo le batoste degli ultimi anni). In ogni caso è una buona notizia quella della ripresa del mercato Usa. Segno che è possibile uscire dal torpore degli ultimi due anni. Vorrei far notare inoltrecome negli Stati Uniti ci sia molto più realismo e pragmatismo nelle politiche economiche che in Europa. Mentre qua da noi si guarda al patto di stabilità e ai tassi di inflazione come ad un dogma irrinunciabile, negli USA non si ha paura ad uscire dalla crisi con i deficit di bilancio e con il Keynesismo (anche se militare, non credo infatti che gli stanziamenti a favore delle spese militari non abbiano avuto ricadute sull’economia del paese.Non si crea dal nulla un +11% negli investimenti)Infine non vorrei fare la Cassandra ma leggo che una parte della crescita è dovuta all’aumento dei consumi personali. Negli states negli ultimi mesi in seguito al boom del mercato immobiliare c’è stata una gran corsa a chiedere finanziamenti (le famiglie usa hanno una propensione al risparmio infima) sull’accresciuto valore delle abitazioni da spendere in beni di consumo. Cosa succederà se malauguratamente la bolla immobiliare dovesse esplodere? Quanti fallimenti familiari dovremmo contare negli Stati Uniti?
Alessandro, pare che le spese militari non c’entrino proprio. Perdonami, ma dire che il pil non e’ indicatore del benessere sta diventando un luogo comune trito e ritrito. E’ ovvio che non lo e’ in assoluto, e che non lo e’ per la situazione di singole persone. Ma e’ CERTO che una crescita di questa portata segnala SENZA DUBBIO un complessivo miglioramento del benessere complessivo di un paese. Vero e’ che la ricaduta occupazionale e’ ancora scarsa. Come e’ vero pero’ che la ricaduta negativa della fase recessiva sull’occupazione non era stata, in USA, cosi’ preoccupante (i tassi di disoccupazione peggiori degli states sarebbero obiettivi ottimali da sottoscrivere subito per noi!). Concordo con te col pragmatismo sano di chi non si fa tante pippe con le “scuole economiche” e decide, in rapporto ai cicli, la reazione migliore da adottare, all’interno comunque, va detto, di un quadro liberista di riferimento (sul mercato interno, che’ verso l’esterno gli USA sono protezionisti quasi quanto l’UE, purtroppo). Quanto alla spinta che viene dai consumi: si’, puo’ preoccupare, forse. Ma sai bene che il livello di esposizione debitoria di un paese (come di un soggetto qualsiasi, su base individuale) va valutata non tanto in assoluto, quanto in funzione del livello di garanzia e di affidabilita’ che il sistema complessivo riconosce a quel paese (o a quella persona), e da questo punto di vista… Inoltre, pare che la spinta piu’ forte dei consumi (quasi +30%!) venga dall’acquisto non tanto di immobili, ne’ di beni di consumo, ma di beni durevoli, il che’ e’ in genere sintomo di solidita’ della tendenza. Certo e’ che exploit come quello del terzo trimestre non sono ripetibili (lo stesso Bush ha messo in guardia da questo tentando di tenere a freno le aspettative), ma come dato di “inversione di tendenza” (e dunque di capacita’ di governare l’economia in questa direzione) non c’e’ male. Se poi paragoniamo questa capacita’ di governo dell’economia con quella dell’UE…
L’industria USA legata alle spese per la difesa è enorme. C’è un’azienda per esempio che fa da magnare per l’esercito, scatolette, congelati e cose del genere – ne comprai delle azioni sul NYSE un po’ di tempo fa – che ha decine di migliaia di dipendenti. La crescita del Pil ha a che vedere con la guerra in Iraq. Altrochè. Forse anche il disastroso debito pubblico e la diminuzione di fondi statali per la social security hanno a che fare con le spese per la Difesa. Che dite? Mi sa che tra un anno quando Greenspan dovrà alzare i tassi di interesse perchè il dollaro non varrà una sega e l’inflazione sarà aumentata l’economia USA rallenterà alla grande. Tobia
E’ un gran risultato tuttavia credo che la cautela in questi casi sia d’obbligo. Premesso che non accetto il tasso di crescita del PIL come indicatore macroeconomico del benessere di una nazione, vorrei far notare come alla crescita non si sia affiancata una crescita dell’occupazione nè un apprezzamento del dollaro. Segnale che le imprese vanno un po’ caute su questa ripresa (probabilmente anche per un cambiamento nell’accettare rosee aspettative dopo le batoste degli ultimi anni). In ogni caso è una buona notizia quella della ripresa del mercato Usa. Segno che è possibile uscire dal torpore degli ultimi due anni. Vorrei far notare inoltrecome negli Stati Uniti ci sia molto più realismo e pragmatismo nelle politiche economiche che in Europa. Mentre qua da noi si guarda al patto di stabilità e ai tassi di inflazione come ad un dogma irrinunciabile, negli USA non si ha paura ad uscire dalla crisi con i deficit di bilancio e con il Keynesismo (anche se militare, non credo infatti che gli stanziamenti a favore delle spese militari non abbiano avuto ricadute sull’economia del paese.Non si crea dal nulla un +11% negli investimenti)Infine non vorrei fare la Cassandra ma leggo che una parte della crescita è dovuta all’aumento dei consumi personali. Negli states negli ultimi mesi in seguito al boom del mercato immobiliare c’è stata una gran corsa a chiedere finanziamenti (le famiglie usa hanno una propensione al risparmio infima) sull’accresciuto valore delle abitazioni da spendere in beni di consumo. Cosa succederà se malauguratamente la bolla immobiliare dovesse esplodere? Quanti fallimenti familiari dovremmo contare negli Stati Uniti?
Alessandro, pare che le spese militari non c’entrino proprio.
Perdonami, ma dire che il pil non e’ indicatore del benessere sta diventando un luogo comune trito e ritrito. E’ ovvio che non lo e’ in assoluto, e che non lo e’ per la situazione di singole persone. Ma e’ CERTO che una crescita di questa portata segnala SENZA DUBBIO un complessivo miglioramento del benessere complessivo di un paese.
Vero e’ che la ricaduta occupazionale e’ ancora scarsa. Come e’ vero pero’ che la ricaduta negativa della fase recessiva sull’occupazione non era stata, in USA, cosi’ preoccupante (i tassi di disoccupazione peggiori degli states sarebbero obiettivi ottimali da sottoscrivere subito per noi!).
Concordo con te col pragmatismo sano di chi non si fa tante pippe con le “scuole economiche” e decide, in rapporto ai cicli, la reazione migliore da adottare, all’interno comunque, va detto, di un quadro liberista di riferimento (sul mercato interno, che’ verso l’esterno gli USA sono protezionisti quasi quanto l’UE, purtroppo).
Quanto alla spinta che viene dai consumi: si’, puo’ preoccupare, forse. Ma sai bene che il livello di esposizione debitoria di un paese (come di un soggetto qualsiasi, su base individuale) va valutata non tanto in assoluto, quanto in funzione del livello di garanzia e di affidabilita’ che il sistema complessivo riconosce a quel paese (o a quella persona), e da questo punto di vista…
Inoltre, pare che la spinta piu’ forte dei consumi (quasi +30%!) venga dall’acquisto non tanto di immobili, ne’ di beni di consumo, ma di beni durevoli, il che’ e’ in genere sintomo di solidita’ della tendenza.
Certo e’ che exploit come quello del terzo trimestre non sono ripetibili (lo stesso Bush ha messo in guardia da questo tentando di tenere a freno le aspettative), ma come dato di “inversione di tendenza” (e dunque di capacita’ di governare l’economia in questa direzione) non c’e’ male. Se poi paragoniamo questa capacita’ di governo dell’economia con quella dell’UE…
L’industria USA legata alle spese per la difesa è enorme. C’è un’azienda per esempio che fa da magnare per l’esercito, scatolette, congelati e cose del genere – ne comprai delle azioni sul NYSE un po’ di tempo fa – che ha decine di migliaia di dipendenti. La crescita del Pil ha a che vedere con la guerra in Iraq. Altrochè. Forse anche il disastroso debito pubblico e la diminuzione di fondi statali per la social security hanno a che fare con le spese per la Difesa. Che dite?
Mi sa che tra un anno quando Greenspan dovrà alzare i tassi di interesse perchè il dollaro non varrà una sega e l’inflazione sarà aumentata l’economia USA rallenterà alla grande. Tobia