Il blog di Antonio Tombolini

Google Play, la mossa falsa di Google?

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Se devo dirla da mercante di ebook quale sono (and proud of it!), sono felicissimo: dopo Amazon ed Apple, anche Google entra finalmente, dopo tanti annunci confusi con un disegno chiaro e coerente, nel mercato dei contenuti digitali, ebook inclusi: si chiama Google Play (non è ancora accessibile in Italia, così per darvi un’idea della libreria vi ho messo un link tramite proxy). Il campo di battaglia è definito: i 3 big (Google, Amazon, Apple) e altri operatori locali (piccoli e grandi) che specie nei contenuti editoriali (in cui la lingua è il contenuto stesso) avranno ottime carte da giocare. [E no, non credo proprio che Kobo riesca nell’intento di inserirsi tra costoro come player globale, temo andrà incontro ad una seria batosta]. [E no, non credo neanche che Barnes & Noble, col suo Nook, si avventuri davvero fuori dai confini USA, dove sta facendo molto bene, per arrischiarsi in mare aperto a competere su scala globale con costoro].
Il modello di Google Play è lo stesso di Amazon ed è lo stesso di Apple: vendiamo musica, film, applicazioni, libri… insomma, contenuti digitali, e vediamo chi la vince.
Anche nello specifico degli ebook niente di nuovo: i formati gestiti sono PDF e ePub, la lettura avverrà attraverso il browser oppure scaricando l’ebook su un tablet o un ebook reader tradizionale, i DRM sono quelli (odiosi) di Adobe anche per Google (che magari su questo avrebbe potuto fare di meglio).
Risultato: il mercato – che fino a un paio di giorni fa stimavo, almeno per il 2012, dovesse quadruplicare rispetto al 2011 – potrebbe ulteriormente accelerare. Un classico nuovo mercato nel senso letterale del termine, un mercato che prima non c’era, destinato a incrementi esponenziali per i prossimi dieci anni almeno. Chi ci lavora già non può che esserne felice.
Ciò detto, oggi ho voglia di giocare a fare il CEO di Google, e vi dico: Google ha sbagliato alla grande! Come passo a dimostrare.
Google, come tutti sanno, fa la gran parte dei suoi ricavi (il 90% almeno, a quanto pare) grazie alla pubblicità online, di cui è quasi-monopolista su scala globale. Come ha fatto a guadagnarsi questa posizione? Facile: Google è il motore di ricerca più rilevato perché più usato, e più usato perché percepito come il più autorevole. Come tale è il posto in cui – se vuoi fare pubblicità per vendere il tuo prodotto online – non puoi non andare. Non è un segreto per nessuno il fatto che Google, sia attraverso il cosiddetto posizionamento naturale che attraverso gli annunci pubblicitari pagati, è una delle fonti più rilevanti – se non la più rilevante, come nel caso del nostro Ultima Books, dove pesa per il 45% degli accessi – dei flussi di visitatori, e quindi di clienti.
Forte di questa posizione, Google si pone però da tempo il problema di come crearsi un flusso di ricavi alternativo, che possa accelerare ulteriormente la sua crescita, e possa fungere anche da ruota di scorta per il caso in cui i flussi pubblicitari dovessero per qualsiasi motivo rallentare o addirittura diminuire: ricordo che questa prospettiva è tutt’altro che peregrina, visto che è vero che la pubblicità online è tutt’ora in crescita, ma che tale crescita è dovuta ad un effetto di trasferimento dalla pubblicità offline, che prima o poi rallenterà, poiché la raccolta pubblicitaria totale (online + offline) è comunque in forte calo. Preoccupazione sacrosanta, dunque, quella di Google.
Con tutte le cose che sa fare, e tutte in genere piuttosto bene, Google ha (aveva) di fronte a sé diverse opzioni. Di quella che ha tentato con Google+ per competere con Facebook non voglio neanche parlare, e stendo un pietoso velo. Se però l’opzione dovesse essere, come pare, questa di Google Play, Google rischierebbe non solo di non riuscire a competere con Amazon ed Apple già saldamente dentro quel mercato, ma addirittura di mettere a rischio il suo business attuale, la sua raccolta pubblicitaria, il cui successo si basa tutto e solo sulla autorevolezza del suo motore di ricerca.
Mi spiego con un esempio: fino ad oggi, se voglio vendere un contenuto digitale (sia esso un libro, un album musicale, un’app, ecc…) di sicuro investo su Google. Magari anche solo per migliorare il posizionamento organico del mio sito, oppure dedicando a Google un budget pubblicitario vero e proprio. Ma cosa accade se Google decide, con Google Play, di diventare mio concorrente mettendosi a fare il mercante come me? Potrà mantenere la stessa autorevolezza percepita? Anche se non dovesse farlo, non verrà a nessuno il sospetto che cercando un certo libro Google possa privilegiare un link che porta al suo negozio, anziché al mio? E non è esattamente questo il modo migliore per minare il suo asset principale e metterlo a rischio?
Ecco perché io, come CEO di Google, oggi stopperei subito Google Play. Non per restare con le mani in mano: accelererei invece, e alla grande, su Google Apps, ovvero sui servizi business ed enterprise a pagamento dedicati a professionisti e aziende. Chi usa Google Apps sa bene quanto siano potenti già ora gli strumenti che mette a disposizione, e quanto ancora più potenti siano resi dalla integrazione di ciascuna delle parti, e quanto valore questo può portare nella gestione aziendale. Se solo Google adeguasse prezzi e soglie di ingresso, e accelerasse a più non posso, potrebbe davvero ambire a scalzare Microsoft dall’ultimo fortino che continua a presidiare, quello degli uffici, puntando a sostituire con Google Apps sia il sistema operativo (che diventa irrilevante) che la suite di Office.

2 Commenti

  • [Bonus hint: studiare è importantissimo! Solo così è possibile poi capire che tutto quello che hai imparato non serve a niente, se non a essere buttato via per andare oltre].
    Ciao Antonio,
    ho trovato questa tua affermazione in rete (è del 2006) pensi ancora oggi quanto detto allora, e se sì lo pensi in senso assoluto ?
    Buona giornata!

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