Il blog di Antonio Tombolini

Nietzsche, Heidegger, l'Arco e la Freccia

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Sempre più mi convinco che nel binomio Nietzsche-Heidegger sia nascosta-rivelata l’essenza della nostra epoca (e che per questo siano i due pensatori più fraintesi, equivocati, rimossi e censurati nella loro autenticità, sostituiti dalle maschere che per essi l’opinione dominante ha predisposto: il Nietzsche decadente e wagneriano del superuomo, lo Heidegger algido e insensibile e nazista del discorso di Rettorato del ’33).

Sottopongo alla vostra attenzione un reperto, rinvenuto nel corso di pensieri condivisi con Ann Bises a proposito del tema di apertura che caratterizzerà il primo numero di Snodi.org ora in lavorazione: l’Arco e la Freccia del tempo. L’ho ritrovato, e ho provato una forte emozione. Si tratta dello Zarathustra di Nietzsche. All’inizio della sua missione tra gli uomini egli deve mettere in guardia gli uomini dal rischio che essi (in quanto "ultimi uomini" della modernità) corrono, e lo esprime così:

"Guai! Si avvicinano i tempi in cui l’uomo non scaglierà più la freccia del suo anelito al di là dell’uomo, e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare!"

Viviamo un tempo in cui le frecce dell’anelito degli uomini vengono scagliate tutte "al di qua" dell’uomo, verso obiettivi tutti umani, troppo umani (per restare a Nietzsche), di piccolo cabotaggio: gli obiettivi del denaro, del potere, del successo, piccoli o grandi che siano. E lanciare frecce a così breve gittata non fa che deteriorare l’arco, che "disimpara a vibrare".

Ecco un altro accenno importante: l’arco del tempo e la freccia del
tempo. Nella loro coappartenenza e nel loro equilibrato e mai
definitivamente conquistato e dinamico compenetrarsi abbiamo pensato e
pensiamo risieda l’essenza autentica di noi stessi, di ciò che
chiamiamo "uomo": e nella conquista (mai definitiva) di questo
compenetrarsi risieda il cammino di ogni "guarigione".

Nietzsche ci dà
qui forse un’indicazione in più, un’indicazione ulteriore, chiarendo
meglio in che cosa consiste questo compenetrarsi tra Arco e Freccia del
tempo.

Per la Freccia si tratta di puntare "al di là dell’uomo": al di
là dell’orizzonte della quotidianità, in una dimensione di
"trascendenza di sé". Non si tratta di "astrazione" dall’oggi, dalla
concretezza, tutt’altro: se la freccia non punta a questo
"oltre-se-stesso" (questo è il senso dello "über-mensch" di Nietzsche,
letteralmente l’"oltre-uomo", e non banalmente il "superuomo" come si
intende di solito; o perlomeno super-uomo solo nel senso dell’uomo che
ha l’anelito di "super-are" se stesso andando oltre di sé, cosa che
nulla ha a che fare col "superuomo" come essere "più potente" che
sovrasta gli altri), solo se la freccia punta così al di là
dell’uomo, l’arco non disimparerà a vibrare!

Dall’altra parte, l’equilibrio (instabile e sempre da conquistare) dell’essere umano
risiede sì in un "arco" del tempo (la sua quotidianità, nella
"ripetizione" continua del suo esserci), ma questo arco deve saper
"vibrare": una continuità e una ripetitività "vibranti", attente,
consapevoli, non distratte, non alienate, pronte allo scatto e al
successivo tornare a sé della corda.

E’ qui che Nietzsche (e poi soltanto Heidegger dopo di lui, e oggi più
nessuno) percepisce con chiarezza la tragedia della modernità: quel
"al di là" dell’uomo verso cui scoccare la freccia ci è stato fornito
per duemila anni dal "cristianesimo". L’al di là dell’uomo era l’al di
là di Dio, verso cui orientare la freccia e dunque così determinare
il criterio del proprio agire anche quotidiano (la vibrazione) in
funzione di essa.

Poi Dio è morto, ed è stato sostituito
dall’Imperativo categorico kantiano, che in fondo svolge la stessa
funzione di fondamento di un "al di là etico", verso cui mirare. Ma
anche questo è stato spazzato via dalla consapevolezza moderna della
"critica dei valori", che Nietzsche ha compiuto fino in fondo, mettendo
in luce l’essenza dei cosiddetti "valori" come niente altro che "punti
di vista" che la volontà di potenza pone e impone per la conservazione
e la crescita di sé, tutt’altro che "ideali", "altruismo", e quant’altro mascheri la verità dei pretesi valori universali o assoluti.

Il pericolo supremo si chiama ora nichilismo: anche in questo grande
fraintendimento. L’esito nichilistico del pensiero occidentale non è
il lascito di Nietzsche, è piuttosto ciò di cui Nietzsche muore, il
suo timore più grande: la paura che l’uomo (spazzati via gli idoli del
Dio e della Morale che comunque orientavano lo scoccare della freccia
in un illusorio "oltre se stesso") non sia all’altezza del compito che
la modernità gli chiede: essere egli stesso, per se stesso, il
fondamento scelto e voluto dell’"andare oltre se stesso", del
determinarsi per il trascendente
in un’epoca in cui la tirannia del
"sovrasensibile" sul "sensibile" è stata irreversibilmente
smascherata, e il "sensibile" costituisce ormai il conquistato unico
terreno della vita.

Un sensibile (questa la scommessa di Nietzsche e di
Heidegger) che contiene in se stesso (perfino biologicamente, verrebbe
da dire oggi con la scienza!) un anelito al suo "al di là", solo che
l’uomo voglia-possa comprenderlo e sceglierlo.

Si fa un gran parlare oggi di "guerra al nichilismo", e su questo sono
tutti d’accordo: chi la fa da destra (propugnando la restaurazione di
un Dio-Morale ormai morto e sepolto); chi lo fa da sinistra
(cincischiando attorno a un’ipotesi di ricostruzione di una "nuova
scala di valori", e cioè di ciò che non può più essere ricostruito,
perché smascherato dalla modernità nelle sue fondamenta inevitabilmente soggettive e relative). Entrambi cioè, destra e sinistra, in termini di
retroguardia.

Al nichilismo non si può fare "guerra": il nichilismo va accettato
come condizione del moderno. "Contro" di esso non c’è nulla da fare.
L’unica cosa che si può fare è andare "oltre" di esso, verso un nuovo
modo di vivere e di essere uomini, verso un "oltre-uomo", verso
"l’oltre" rispetto a ciò che la nostra civiltà occidentale ci ha
abituati a pensare quando pensiamo a una cosa chiamandola "uomo".

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  • caro Antonio, non ti nego che l’articolo suscita, certamente una grande ammirazione per la tua preparazione culturale e per come hai imparato a gestirla, ma sopratutto una curiosità che mi spinge a voler approfondire, curiosità dettata dal non amare molto in genere lo scorrere degli eventi ma intervenire e contribuire ove possibile, tanto più in questa occasione, visto l’argomento trattato che volente o nolente coinvolge il mio presente ma sopratutto il NOSTRO futuro.
    per cui se possibile, vorrei approfondire per capire come e dove la mia presenza fisica attuale sulla terra possa portare il suo microscopico contributo generale per la riacquisizione di nuovi ed attuali valori che siano di sostegno (a me in quanto essere umano)
    grazie

  • L’oltre-uomo mi fa pensare a ciò che si può essere e fare a partire dalla consapevolezza della propria finitudine nel tempo: per esempio ciò che un padre può fare e fa per i propri figli, in mille modi diversi.
    Mi fa pensare anche ad una dimensione spaziale di consapevolezza individuale (e poi collettiva) di ri-conoscimento di sè negli altri e degli altri in sè, e dunque a ciò che si può fare e si fa nel rapporto continuo con gli altri e magari per gli altri come per se stessi.
    La dimensione umana come centro e metro delle cose è la consapevolezza e l’accettazione del relativismo come spazio reale ed autentico. Ogni sopraffazione in senso lato dipenderebbe perciò dall’inconsapevolezza o dalla negazione della condizione umana, ed in sostanza da un atto di presunzione irragionevole contro l’uomo non più ri-conosciuto come se stesso.
    Da Radicale direi che la vera differenza con tutte le altre forze politiche sta proprio in questo: le altre portano la politica nella vita della gente, mentre i Radicali portano la vita della gente nella politica.

  • Aggiungo solo una cosa: il nichilismo è, per me, la negazione dell’uomo come centro e metro dell’esistenza umana. Il nichilismo è la conseguenza dela negazione presuntuosa dell’altro come se stesso e perciò della negazione di se stesso.

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