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Parte Prima
DIRITTO E TEMPO NELLA FILOSOFIA GIURIDICA ITALIANA
Capitolo II
Temporalità riconoscimento e diritto: Bruno Romano
§19 Il diritto come liberazione dall’angoscia dell’improvviso
La liberazione operata dal diritto è una liberazione di carattere essenzialmente temporale. Essa infatti consiste nel "liberare il singolo dal suo essere caduto nella temporalità dell’ora"38.
E ancora:
"Il diritto, fondato nell’unità dialettica kierkegaardiana di poter-essere e dover-essere prescientifica, al livello delle relazioni finite, la dimensione temporale dell’eterno ed opera quindi come liberazione delle relazioni esistenziali dall’angoscia della temporalità cosale, come liberazione cioè del rapporto lasciato all’etero-condizionamento della quantità dell’ora. La funzione del diritto è di custodire l’autenticità del rapporto dalla dispersione nella possibilità della possibilità"39.
Qui Romano introduce un elemento che, a nostro avviso, resterà problematico nell’àmbito di tutta la sua riflessione filosofico giuridica. Il diritto, afferma qui Romano – ma tale impostazione resterà immutata anche in seguito -, ha la funzione di liberare il singolo dall’angoscia di fronte al nulla in cui il suo essere cade, se vissuto fuori dalla sintesi di tempo ed eterno.
La problematicità di tale impostazione è data dal costante riferimento che Romano consapevolmente fa al concetto heideggeriano di temporalità. Come è noto, e come sarà meglio chiarito in seguito, in Heidegger l’angoscia non costituisce affatto una situazione da cui liberarsi. E’ in essa piuttosto che l’esserci si apre alla sua possibile autenticità40.
Certo, un giudizio sull’impostazione di Romano condotto, per così dire, sul metro di Heidegger, sarebbe scorretto, se non fosse tuttavia lo stesso Romano a richiamare la necessità di un confronto col filosofo tedesco, che sempre accompagna il suo pensiero.
Romano, pur confermando la sostanziale funzione anti-angoscia del diritto, afferma infatti perentoriamente:
"L’approfondimento del nesso diritto-tempo si compie con la ripresa dell’analisi heideggeriana ove la paura si lega a qualcosa di definito e l’angoscia, invece, al disagio profondo che logora l’esistente davanti al nulla"41.
La problematicità di tale passaggio diviene evidente ove si consideri che, secondo Heidegger, è proprio l’angoscia a consentire l’accesso dell’esserci alla sua temporalità autentica, a quella temporalità, cioè, che Romano stesso accoglie come unità ec-statica delle tre ecstasi temporali.
Del resto l’autore è consapevole del problema, e nell’opera su Kierkegaard sembra risolvere la questione accusando implicitamente di astrattezza l’analisi dell’angoscia condotta da Heidegger, a fronte della quale si ergerebbe l’esistenzialità concreta dell’angoscia da cui il singolo è chiamato a liberarsi:
"Scrive Heidegger: che ‘l’angoscia manifesta il nulla’ inteso come l’Altro dell’essente, cioè l’Essere. Questo nulla è il senso dell’angoscia originaria, metafisica. Al livello del divenire dell’esistente il nulla è il nulla della libertà, come negazione del suo poter-essere liberazione verso l’essere libero per la libertà"42.
Tale soluzione resta tuttavia soltanto apparente, poiché Heidegger ha cura di attestare esistentivamente il fenomeno dell’angoscia originaria, che non resta una costruzione puramente concettuale, ma è messa in luce come situazione emotiva autentica. Il problema resta pertanto aperto.
La divaricazione dell’analisi condotta da Romano sulla scorta di Kierkegaard, rispetto all’analitica esistenziale dell’Heidegger, comporta l’introduzione di una ulteriore nozione di temporalità, a nostro avviso ambigua: la temporalità dell’improvviso. Sarebbe questa a generare quell’angoscia da cui il diritto, temporalmente autentico, dovrebbe liberare il singolo:
"Al livello relazionale il rapporto esistenziale si salva dal cadere nella disperazione, originata dallo squilibrio della sintesi necessità-possibilità, se si libera dalla dimensione temporale dell’improvviso, capace solo di costruire nel semplice possibile, nel nulla, la continuità dell’esistenza. Questa liberazione, come quella individuale, ha bisogno dell’ingresso del credere. Il diritto, in tale prospettiva, ha il suo senso esistenziale, quale invenzione pratica del credere nel progetto esistenziale giuridicamente rilevante. Il credere è il superamento dell’immediatezza, della verità come Erlebnis, temporalmente è l’elemento correlativo all’unità delle ecstasi nel temporalizzarsi autentico della libertà"43.
Nella temporalità dell’improvviso, secondo Romano, l’esistenza è abbandonata nella pura possibilità di ogni possibile, sradicata da ogni effettiva realtà, e dunque vissuta in una temporalità che, senza ancoraggi sul reale, proviene dal nulla di un intangibile passato e va verso il nulla di un totalmente possibile futuro. Tale nulla è generatore di angoscia: il diritto, assicurando durata, continuità, e dunque realtà al rapporto coesistenziale, sottrae l’esistente dalla temporalità dell’improvviso, liberandolo dal nulla dell’angoscia.
Ma è proprio qui che il problema, anziché risolversi, si apre: il nulla dell’angoscia, di fronte al quale l’uomo si angoscia, e che Heidegger riporta alla finitezza dell’esserci in quanto mortale, è proprio un nulla da cui occorre salvarsi? Non potrebbe forse essere in quel nulla, che non è un niente, come Romano sa, che l’uomo può trovare la sua propria autenticità, la salvezza del suo stesso essere?
Insomma, questo nulla, che si rivela nel fenomeno dell’angoscia, deve essere ancora interrogato. Per esso ne va infatti della temporalità autentica dell’esserci, e con essa, come Romano ben vede, del diritto come fenomeno esistenzialmente e – aggiungiamo – ontologicamente fondato.
L’ipotesi che qui avanziamo è che l’opposizione tra i caratteri di una convivenza giuridicamente regolata o meno, esprima in realtà l’opposizione tra una coesistenza vissuta nell’autenticità del tempo come unità delle tre ecstasi temporali e inautenticità del tempo ridotto a mera successione degli istanti, senza passato e senza futuro.
Prospettare una temporalità dell’improvviso è, a nostro avviso, superfluo, oltre che in parte contraddittorio con le posizioni raggiunte da Romano sulla scorta di Heidegger44.
Così pure non sembra accettabile la riconduzione del concetto di possibilità alla temporalità inautentica della pura successione45. Il concetto fenomenologico di possibilità, infatti, rifugge per se stesso da una temporalità intesa come successione sconnessa e indifferente di istanti. La possibilità, in quanto poter-essere, è comprensibile solo nell’àmbito di un reciproco rinvio tra le tre ecstasi temporali, rinvio che comporta la loro stessa unità ecstatica.
Ciò che viceversa può ricondursi alla temporalità inautentica della pura successione irrelata è la mera fatticità. Solo il puro fatto può irrigidirsi nell’isolatezza di un accadimento istantaneo e puntuale.
Non è dunque dalla possibilità che la temporalità autentica è, per così dire, minacciata, quanto dall’assolutizzarsi della realtà, intesa come imporsi assoluto del fatto.
Nonostante la problematicità di tali passaggi, la riflessione di Romano ha ormai guadagnato il terreno più adeguato all’impostazione della questione diritto e tempo.
Non si tratta più di avvicinare ed esaminare due fenomeni estrinseci nelle loro possibili connessioni. La temporalità è il luogo in cui ne va dell’autenticità dell’esistenza e della coesistenza, dunque il luogo in cui ne va del senso e del fondamento stesso del diritto:
"L’analisi della temporalità del singolo rivela come il diritto sia un esistenziale originario dell’uomo"46.
La riflessione condotta sul tempo consente di riaprire la filosofia del diritto al compito di un pensiero essenziale all’esistenza dell’uomo, tutt’altro che riducibile alla elaborazione di una "teoria generale" o "dottrina pura" del diritto positivo, come insieme dato di norme all’interno di un determinato sistema.
La radicale irriducibilità della filosofia del diritto a dogmatica giuridica è data dall’estensione stessa del fenomeno diritto, che come tale non si lascia ricondurre alla pura datità delle proposizioni normative, ma si manifesta come esperienza giuridica che investe in tutta la sua ampiezza l’esistenza stessa dell’uomo:
"La storicità del diritto, quale esistenziale del singolo, non può essere estesa alle proposizioni normative. Queste rimangono atemporali e sono quindi aesistenziali. Proprio il pensiero dell’esistenza nella sua struttura temporale mette in evidenza la distinzione radicale tra il diritto, come fenomeno esistenziale-originario, e le proposizioni normative. In esse non si ha storia perché il loro mutare non è divenire ma radicale cambiamento. Il diritto esiste, le proposizioni normative semplicemente sono ed il loro essere è di esclusiva natura logica"47.
E ancora:
"Il divenire del fenomeno giuridico non si identifica dunque con la semplice concretizzazione tecnica delle proposizioni giuridiche, ma ha il suo senso nel divenire della realtà coesistenziale della libertà del singolo, che, nel nel rischio del giudizio giuridico, ripropone in ciascun caso l’integrale verità della struttura sintetica del se-stesso, che è nel divenire"48.
NOTE
38 SED, p. 279 (torna al testo).
39 SED, p. 281 (torna al testo).
40 Cfr. Parte Seconda (torna al testo).
41 Bruno ROMANO, Il riconoscimento come relazione giuridica fondamentale, Roma, 1985, pp. 219-220 (d’ora in poi RRG) (torna al testo).
42 SED, p. 283 (torna al testo).
43 SED, p. 286-287 (torna al testo).
44 Cfr. TG, p. 73, in cui il carattere "improvviso" e "subitaneo" è da Romano positivamente colto, con Heidegger, in opposizione alla "sicurezza" e alla "disponibilità" entro cui "l’uomo moderno" vorrebbe ricondurre il tempo (torna al testo).
45 Romano parla di una temporalità che cade nella "immediatezza dell’ora, quale successione di possibilità semplici", cfr. SED, p. 290. A noi sembra, tuttavia, che nell’àmbito della possibilità non sia nemmeno possibile parlare di "successione". La successione, piuttosto, necessita di fatti, in riferimento ai quali si determina, inautenticamente, il prima e il dopo. Le diverse possibilità restano invece, come tali, sempre com-presenti, e vengono annullate non in forza di un loro succedere l’una all’altra, quanto in conseguenza dell’annullarsi della possibilità nella fattualità del reale (torna al testo).
46 SED, p. 295 (torna al testo).
47 Ibidem (torna al testo).
48 SED, p. 296 (torna al testo).
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