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Parte Prima
DIRITTO E TEMPO NELLA FILOSOFIA GIURIDICA ITALIANA
Capitolo III
Il diritto come valore universale: Enrico Opocher
§21 L’universalità come continuità temporale
Il XIII Congresso della "Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica" su Diritto e tempo (Pavia – Salice Terme, 28-31 maggio 1981), segnala già di per sé la rilevanza del tema che, in campo filosofico giuridico, trova solo in Germania un analogo.
Bastino le parole introduttive dell’allora presidente della società, Enrico Opocher, a testimoniare l’importanza dell’occasione di studio offerta dal Congresso:
"Se, infatti, è vero che quella del tempo rappresenta una delle più fruttuose vie di accesso al cuore dei problemi filosofici (basta pensare ad Agostino, a Bergson, ad Heidegger), è anche vero che, sul piano del diritto, il problema è stato posto solo in Italia ed in Germania nel corso dell’ultimo trentennio e, per lo più, in forma rapsodica. Sicché, a parte Gerhart Husserl, la cui opera Recht und Zeit resta sempre fondamentale per il nostro tema, si può ben dire che la maggior parte degli studiosi che si sono occupati della questione sono presenti a questo Congresso"1.
Affronteremo nei prossimi capitoli le posizioni più rilevanti emerse nel corso del Congresso, facendo riferimento soprattutto alle tre relazioni tenute da Luigi Bagolini, Sergio Cotta ed Enrico Opocher, iniziando ora da quest’ultima.
Opocher2 distingue due aspetti della questione diritto e tempo. Il primo riguarda "la prospettiva del diritto come valore e, più particolarmente, la compatibilità, nel valere assiologico del diritto, di ‘temporalità’ e ‘universalità’"3.
Il secondo aspetto del problema concerne invece il "contenuto specifico del diritto e cioè la questione dell’uso che il diritto fa del tempo e, insomma, di quello che si potrebbe definire come il ‘tempo giuridico’"4.
Dalla soluzione del primo problema dipende, secondo Opocher, la determinazione stessa del senso del diritto come valore, o la sua riduzione a "mero strumento di controllo sociale"5.
Il concetto di valore implica la sua universalità. Ma la indubitabile temporalità cui è sottoposto il diritto non contraddice proprio all’universalità di ciò che vale?
Opocher individua in questa posizione una falsa aporia, riconducendone le radici "ad un presupposto estremamente discutibile (…) E cioè il presupposto ‘platonizzante’ per il quale i valori sono tali solo se si pongono al di fuori del tempo e, quindi, della storia, e dell’esistenza"6.
I valori sono tali in quanto valgono per l’esistenza, mentre una loro pretesa atemporalità li renderebbe estranei ed ininfluenti rispetto ad essa:
"Ciò che è fuori del tempo non esiste, perché è al di là dell’esistenza. (…) Il carattere universale della loro validità non ha, dunque, nulla a che fare con la ‘atemporalità’"7.
Come è dunque possibile fondare temporalmente il concetto di universalità, in modo che, partecipando del tempo, e mantenendo così il legame con l’esistenza, esso non si riduca alla particolarità del contingente?
A questo interrogativo Opocher risponde sostituendo alla pretesa atemporalità dei valori universali la loro continuità nel tempo:
"Esso (il carattere universale dei valori, ndr) implica, piuttosto, la ‘continuità’ attraverso il tempo. Il che significa che la validità assiologica del diritto esprime, sotto l’aspetto temporale, la continuità e dunque la inesauribilità della funzione giuridica"8.
E’ dunque il continuo e permanente esserci del diritto nella storia, al di là delle sue variabili forme positive, che mostra temporalmente l’universalità del diritto come valore.
Ma qui sorge un interrogativo. Tale fondazione si riduce al rilievo empirico della costante presenza del diritto, rilevata finora in ogni forma della coesistenza umana? Se così fosse, ci troveremmo ad ammettere una universalità assiologica ricavata da dati empirici e contingenti (sia pure "continui" nel tempo fino ad ora), cadendo in un’evidente contraddizione.
Certo lo sforzo di Opocher mira più oltre, affermando che la continuità empiricamente rilevabile della funzione giuridica non è tanto il fondamento del valore universale del diritto, quanto piuttosto la sua conseguenza dal punto di vista temporale, come sembra ricavarsi dai passi citati, in cui è la validità universale che "implica" la continuità, ed "esprime, sotto l’aspetto temporale, la continuità".
Ma ci si chiede allora: in che cosa la continuità differisce dalla atemporalità del valore? Se la continuità infatti è una conseguenza, e non una determinazione essenziale (ché sarebbe solo empiricamente rilevabile) del valere assiologico, essa resta esterna all’essenza del valore, che risulterebbe così, in se stesso, ancora una volta platonicamente atemporale.
NOTE
1 Enrico OPOCHER, Diritto e tempo, in AA. VV., La responsabilità politica. Diritto e tempo, a cura di Rinaldo ORECCHIA, Milano, 1982, pp. 12-13 (torna al testo).
2 Enrico OPOCHER, Diritto e tempo, cit. (d’ora in poi DT). Dello stesso autore, che tra i primi ha affrontato in Italia la questione diritto e tempo, cfr. pure Diritto e tempo, in "Philosophie Sociale Juridique et Politique", Amsterdam-Louvain, 1953; Diritto e tempo, in AA. VV., Actes du XIème Congrès International de Philosophie, Bruxelles, 1953, pp. 85-91; Legge e verità: riflessioni su di un passo platonico, in "RIFD", 1973, pp. 754-764 (torna al testo).
3 DT, p. 152 (torna al testo).
4 Ibidem (torna al testo).
5 Ibidem (torna al testo).
6 Ibidem (torna al testo).
7 DT, p. 153 (torna al testo).
8 Ibidem (torna al testo).
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