Da quando bazzico Slow Food (ora meno), e cioè almeno dal 1997, mi avevano sempre detto che l’associazione non avrebbe mai consentito di abbinare il suo nome a iniziative enogastronomiche commerciali private. La realtà mi appare oggi alquanto diversa.
La fredda cronaca:
- Qualche tempo fa, nell’aprile 2003, Oscar Farinetti, patron di Unieuro (sì, quelli che hanno ridotto il povero Tonino Guerra alla macchietta dell’ottimista, ma questo è un altro discorso), cede la catena al Gruppo Dixons, incassando adeguato guiderdone.
- Il Farinetti, piemontese e appassionato di enogastronomia, pensa di mettere in piedi nell’enogastronomia di qualità lo stesso meccanismo basato sulle grandi superfici di vendita già collaudato nell’elettronica: nasce Eataly (gestire il limite, per l’appunto, come recita il claim).
- L’Agenzia di Pollenzo spa è società che dal punto di vista finanziario ha realizzato investimenti negli anni fra il 2003 e il 2005 per complessivi 22,6 milioni di Euro per la ristrutturazione del complesso architettonico carloalbertino di Pollenzo, finanziata in parte con successivi aumenti di capitale e in parte con l’accensione di un finanziamento pari a 8 milioni di Euro con il pool di banche San Paolo IMI – Banca di Roma, e a fronte di tali investimenti ha realizzato, nell’anno 2005, un fatturato pari a Euro 806.000 composto da canoni di affitto e da rimborsi spese ricevuti da Banca del Vino, Università di Scienze Gastronomiche, Ristorante Guido e Albergo dell’Agenzia, attuali locatari della struttura.
- Il 28 maggio 2004 Oscar Farinetti viene nominato, pare a seguito di un ingente investimento e su proposta di Carlin Petrini, Presidente del CdA della Agenzia di Pollenzo spa, società a capitale misto pubblico-privato, attraverso cui Slow Food gestisce l’Università di Scienze Gastronomiche, la Banca del Vino, l’Albergo dell’Agenzia, nonché le strutture e attività ad essa connesse.
- il 30 gennaio prossimo apre i battenti a Torino Eataly, il più grande centro enogastronomico d’Italia, 11.000 (undicimila) metriquadri di prodotti tipici a profusione.
- Nel sito di Eataly fa bella mostra di sé, in tutte le pagine, un link Eataly – Slow Food.
- Andandolo a vedere, ci si dice che a quello di Torino seguiranno altri centri, sempre di dimensioni significative (da un minimo di 5.000 ad un massimo di 10.000 metri quadrati) ed in luoghi di grande fascino a Genova, Milano, Verona, Roma, Bologna, Firenze, Napoli, Bari e Palermo.
- Proseguendo nella lettura si arriva al paragrafo SLOW FOOD ITALIA, dove si legge che la benemerita Associazione ha accettato il ruolo di consulente strategico di Eataly, individuando in questo progetto una forma moderna e innovativa di distribuzione alimentare, da affiancare (proprio nelle grandi città) ai progetti di filiera corta che l’associazione sostiene in tutto il mondo. Ci si accorge così che si tratta dello stesso testo che viene pubblicato proprio ieri nel sito Slow Food per annunciare l’apertura di Eataly. Ne proseguiamo quindi la lettura di là.
- Slow Food, elencati i motivi che l’hanno spinta ad accettare tale consulenza (motivi di ispirazione ideale, ben s’intende), si preoccupa di chiarire la partecipazione al progetto non ha quindi natura speculativa (come d’altro canto non potrebbe essere per un’associazione no profit): Slow Food Italia non ha quote azionarie di Eataly, non riceverà provvigioni sulle vendite, non gestirà spazi commerciali o di ristorazione, non concederà l’utilizzo del proprio marchio (che comparirà solo nelle attività gestite direttamente dall’associazione, come ad esempio le iniziative didattiche, e negli spazi dedicati ai Presìdi).
Uhmmm… passiamo a qualche domanda:
- Il fatto che Slow Food non incassi da Eataly provvigioni sulle vendite, significa che la sua consulenza a Eataly è svolta a titolo gratuito? In tal caso, potrebbero usufruirne anche altri soggetti privati alle stesse condizioni?
- Se invece, come sembra più plausibile, a fronte della sua consulenza Slow Food riceve da Eataly un adeguato compenso, cosa vuol dire affermare che la partecipazione al progetto non ha natura speculativa? Forse che ricevere soldi in forma di provvigioni ha natura speculativa e riceverli invece in forma di onorario non ce l’ha?
- Che senso ha precisare che Slow Food non concederà l’utilizzo del proprio marchio, quando il proprio nome è presente in tutti i luoghi e materiali di comunicazione propri di Eataly, online e offline (come peraltro appare giusto, visto che si avvale di tale consulenza proprio a questo scopo)?
- La consulenza che Slow Food presta a Eataly è concessa in esclusiva, o potrebbe oggi chiunque avvalersene allo stesso modo?
- Se la risposta a quanto sopra fosse negativa, c’entra niente il fatto che Eataly sia controllata dalla stessa persona che riveste la carica di Presidente della Agenzia di Pollenzo spa, o la cosa è del tutto casuale?
In calce al comunicato di Slow Food su Eataly, si precisa opportunamente che l’Associazione, attraverso Sebastiano Sardo sebasardo@slowfood.it, è a disposizione per ogni ulteriore informazione: ne approfitterò per girare a lui le domande di cui sopra, premurandomi di farvi conoscere, come giusto, le sue risposte.
[Disclaimer: il sottoscritto in materia è tutt’altro che neutrale. Viene infatti da una lunga militanza in Slow Food, interrotta per mancata condivisione delle linee di sviluppo intraprese, nonché da quasi dieci anni di iniziative e interessi professionali relativi proprio al settore enogastronomico].
ottime domande, Antonio.
dire che ora son curioso di sapere le risposte é banale? vabbé, saró banale: son curioso di sapere le risposte 😉
bel post, grazie.
Idem, mi metto in coda d’attivazione per una eventuale replica. Ottimista pure io.
Avevo sentito della vicenda, ma pensavo che il coinvolgimento fosse diverso. Sigh.
Che dire, Antonio? Sono francamente curioso di capirci qualcosa. Quando ero responsabile Slow Food a Firenze, altri delegati toscani mi contestavano il fatto che io “campassi” lavorando nel settore enogastronomico, quasi fosse una colpa. In tutta onestà devo ammettere che da Bra mai nessuno mi ha posto obiezioni di alcun tipo. Mi sembrava un vantaggio per Slow Food riuscire ad organizzare facilmente le cose, a beneficio dell’associazione. A livello locale, però, la pressione è diventata sempre più forte e quindi, per non scontentare nessuno, mi sono fatto da parte.Quello che mi fa sorridere è che, alcuni dei toscani che mi contestavano, oggi “campano” di enogastrnomia! A parte il mio vissuto, a me fa piacere capire cosa è cambiato rispetto al passato, tutto qui.Restiamo in attesa
Ce ne po´fregá de meno ? e se ce ne deve fregare: cui non prodest ? cioé voglio dire che vabbe´: Slow Food
contravviene ( se contravviene) al proprio statuto. Saranno i soci a protestare o c’é solo Antonio a sollevare la critica ? Ma se Antonio non fa parte dello Slow Food, che gliene importa ? é perché il capitale dell’ Agenzia di Pollenzo é
misto pubblico e privato ? e quindi anche di Antonio ? oppure riveste lo Slow Food & Co un’ importanza tale a livello nazionale che deve rispondere a tutti di ogni propria azione ed iniziativa ?
E se Slow Food si vuole sposare con Eataly c’é qualcuno che ci perde qualcosa ? C´é solo curiositá intellettuale o c’é la (giusta) attenzione di un operatore come Antonio che sa qualcosa di piu´di quella che so io ? Aumenterá il prezzo del lardo di colonnata o saranno sbracati i prezzi dei conigli di grotta ischitani ? Eataly é il lupo vestito da agnello o
la volpe che si associa con il gatto. E noi, abbiamo paura di diventare burrattini ? Insomma per tornare all’ inizio e senza ironia: perché la cosa é tanto importante ?
Caro amico, io ho lasciato Slow Food fin da quando mi sono accorto che qualcuno lo stava trasformando in un business molto lucroso. E tutto quello che viene fatto da Slow Food è lucro. Non ci trovo niente di male, ma non si deve giocare sull’equivoco del “no profit”. Una ONLUS non non distribuisce, neanche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la sua esistenza, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge o siano effettuate a favore di altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale che, per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima ed unitaria struttura. E tuttavia una ONLUS impiega gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse. Una ONLUS ha la possibilità di assumere personale, in una certa percentuale. L’Associazione potrà svolgere attività direttamente connesse a quelle istituzionali, ovvero accessorie in quanto integrative delle stesse, nei limiti consentiti dal D. Lgs. 4.12.97 nr. 460 e successive modificazioni ed integrazioni. Le ONLUS possono ricevere donazioni e il relativo importo è detraibile dalla dichiarazione dei redditi del donante. Insomma che Slow Food abbia creato una vasta rete di affari, dal nulla, o, se vogliamo, dalla semplice idea iniziale, questo credo sia un fatto incontrovertibile. Un caro saluto. Nino Dejosso.
@ Nino ( se sono io il “Caro Amico” cui ti rivolgi, ma credo che la tua risposta sia buona per tutti ): intanto grazie per la spiegazione.
A leggerti bene peró sorgono ancora domande :
(a) lo Slow Food e´una ONLUS ?
(b) se affermativo: cé da dedurne che contravviene al dettato della legge ?
e se vero perché non viene denunciata e perseguita, ma solo “chiacchierata” ?
Mi sembrano punti non da poco.
Invece del fatto che da una semplice idea iniziale abbiano creato una vasta rete di affari: buon per loro e – ripeto – a noi cosa toglie ?
Cordialmente,
Carlo
perchè sia solo “chiaccherata” non saprei, il nostro è uno strano paese…
questo è lo statuto:
http://associazione.slowfood.it/associazione_ita/ita/statuto_int.lasso
In Italia le associazioni senza fine di lucro, oratori compresi, hanno diritto a contributi ed agevolazioni fiscali di ogni genere, compreso tariffe postali agevolate.
Forse ci toglie questo?
Caro Antonio,
Voglio anzitutto scusarmi per il ritardo con cui ti rispondo, ma in questi giorni non ho modo di antrare in Internet se non a notte fonda.
Ho letto con interesse le tue considerazioni e riflessioni, introdotte da una vera e propria inchiesta (…mi sembra di far parte della Enron o della Monsanto tale e tanta attenzione viene dedicata alle nostre faccende!)
A scanso di equivoci, prima di rispondere alle tue domande vorrei fare alcune precisazioni:
1) Slow Food è prima di tutto un’Associazione internazionale articolata in varie associazioni nazionali; di queste la più importante è Slow Food Italia, la quale possiede interamente le quote di due srl: SLow Food Editore e SLow Food Promozione.
2) Quando ci si riferisce a SLow Food come onlus si deve fare riferimento alla FOndazione SLow Food per la biodiversità, un organismo che è nato per raccogliere fondi da destrinarsi allo sviluppo dei Presidi internazionali dei Paesi economicamente più deboli e che è giuridicamente e patriomonialmente del tutto autonomo dalla casa madre.
Per quanto riguarda la collaborazione tra Slow Food e Eataly:
Slow Food Promozione s.r.l. ha svolto e sta svolgendo in favore di eataly un’attività di consulenza esterna al progetto, non si occuperà minimamente della gestione del negozio di Torino e di quei futuri negozi che Eataly vorrà aprire. Tale attività non è stata svolta a titolo gratuito.
Le motivazioni che ci hanno spinto ad accettare la proposta di Eataly, per quanto possano interessare, sono molto semplici: l’idea di un grande punto vendita che proponga al grande pubblico prodotti “da snicchiare” a prezzi accettabili ci sembrava in sintonia con le nostre idee. Proprio per questi motivi questa collaborazione non è mai stata nascosta: non c’era nulla da nascondere o di cui vergognarsi.
Per quanto riguarda i presunti “lucri” all’interno di SLow Food, per quanto mi riguarda posso mettere a disposizione di tutti gli amici del blog la mia dichiarazione dei redditi e il mio estratto conto. E non mi sembra che nessuno dei miei colleghi si stia arricchendo -Petrini in testa-.
Spero di aver soddisfatto la tua curiosità
Un fraterno saluto
Sebastiano
A Patrizia – che se é dolce come é tosta, beato chi le sta vicino – sono bastate
tre righe per spiegare il tutto a tutti.
A Sebastiano – che sprizza correttezza da tutti i pori – ci sono volute tante piu´righe per spiegare che Slow Food non é sempre Slow Food: dipende da
quello che c’é scritto dopo. E che tutto e´legalmente corretto.
Non dubito del fatto che i responsabili di Slow Food si siano garantiti ferratissimi pareri legali prima di permettere ad una societá Slow Food onlus di riversare, il proprio capitale morale, l’ avviamento, il goodwill ed i benefici di immagine e materiali (francobolli a prezzo scontato etc) a due o piu´Slow Food srl profit. (E chi non lo sapeva, si informi.)
Visto peró che per l’uomo della strada Slow Food e´ Slow Food e basta, forse qualcuno all’ interno dell’associazione (onlus), avrebbe dovuto sentire l’ esigenza di segnalare in modo inequivocabile la differenza, che non mi sembra poca. (Ne avrebbe anche guadagnato in prestigio e considerazione, ma questo é un altro punto)
Non so se esista un ente di controllo sulle onlus e mi mancano le conoscenze legali specifiche, ma credo che una authority preposta avrebbe di che sindacare circa l’uso e la destinazione che l’onlus fa del proprio capitale
morale. Specie se poi questo va a beneficio di due o piu´srl profit la cui ragione sociale e´in gran parte identica o fortemente sovrapponibile, e di fatto sovrapposta, nel parlare quotidiano.
Sebastiano rimanda in sostanza ad un “caveat emptor” che mi sembra, a dirla mite, poco in armonia con lo spirito di difesa-dei-consumatori che e´stato alla base della nascita dell’ associazione (onlus).
Ed ora capisco perché il Tombolians si mette a fare domande.
E poi, Sebastiano, non sempre quello che é corretto e legale é anche “giusto”.
Carlo (e Antonio),
chapeau.
Scusami Carlo, allora chi è che decide che cosa è “giusto” e cosa è “sbagliato”? Può una cosa essere scorretta e illegale ma “giusta”? Booo.
Qui entriamo nella filosfia del diritto e non é che sia il mio cavallo di battaglia. Effettivamente hai ragione : é la Legge che decide quello che é giusto perché é legale. Altrimenti si apre la porta al soggettivo etc. Mi contraddico ? Si.
Peró il senso comune del giusto non lo ho inventato io e se qualcuno (Tombolini io ed altri) percepisce l’ uso dello Slow Food come una interpretazione “creativa” della legge sulle onlus, qualcosa sotto ci deve pur essere.
Adesso sto andando via, ma ci rimugino sopra e poi ti rispondo piu´accuratamente, sperando che qualcuno nel frattempo sappia mettere a fuoco l’ occhio di bue e trovare le parole giuste su questa che giusta o no, legale o meno rimane una bella questione. Perché non c’é nessun dubbio che una srl profit profitta del goodwill accumulato da una onlus.
“Scorretta” puo’ essere vago, ma “illegale” sicuramente si’, ci possono essere casi di cose “illegali” ma giuste a farsi. Nei casi in cui la legge e’ ingiusta e da cambiare, ma le istituzioni colpevolmente latitano. Succede non troppo raramente.
Anche se questa direzione dell’implicazione mi pare comunque un’aggiunta rispetto al caso ipotizzato da Carlo, che e’ l’inverso: possono esserci cose legali e tuttavia ingiuste a farsi.
Me ne vengono gia’ in mente almeno tre o quattro;-)
Chi decide il giusto o l’ingiusto? Come sempre: noi stessi o, per la precisione, la nostra coscienza morale, della quale rispondiamo in toto di fronte al resto del mondo.
No Filippo , qui ci ingarbugliamo, io da un verso, tu da un altro. Giá Socrate ne ha dette un paio sulle leggi giuste e non giuste: e che vogliamo metterci in concorrenza con i Maestri della Filosfia ? Torniamo invece al punto: io mi associo allo Slow Food onlus e gli dó la mia fiducia, ne sposo le idee ed il fatto che sia onlus. Ora tutto sta a come la onlus impiega questa fiducia. Andando per passi; se la onlus decide di creare una srl, lo fa con i soldi della mia fiducia e quella di tanti altri. Quindi me ne informa e me ne chiede permesso ( inchieste, votazioni, elezioni). Se questo é stato fatto allora io come socio ho accettato il cambiamento, lo sdoppiamento e come socio ho poco da dire. Come contribuente, forse, qualcosa da dire la avrei, ed é qui che Antonio solleva la questione cui nessuno ancora ha risposto a dovere.
(cioé Sebastiano ha spiegato come stanno le cose, non perché stanno cosí)
Personalmente rimango con l’ impressione (giusta ? non giusta?) che c’é un passaggio che in tutta la sua chiarezza legale, limpidissimo non é. Forse é la cronologia che mi confonde : lo Slow Food non profit viene prima e diverso tempo prima delle srl profit. Forse sarebbe solo una questione di forma: cambio nome alle srl profit e non confondo nessuno. E qui bisogna chiedersi: perché i responsabili
non hanno tenuto separato in modo inequivocabile le due cose ? giá una risposta a questa domanda metterebbe molto in chiaro. Una srl ha una ragione sociale, una onlus un nome. C’é differenza abissale in termini legali e commerciali tra nome e ragione sociale.
Insomma per finirla: o mi manca qualche elemento di valutazione oppure
questo fatto della sovrapposizione dei nomi tra onlus e profit mi assomiglia a quelle polizze di assicurazione, dove sí, l’assicuratore ti dice tutte le condizioni contrattuali, ma te le scrive in caratteri minuti minuti. E sta a te leggerli bene.
Se e´questo lo spirito della Slow Food onlus, srl é questo dei caratteri minuti minuti : allora perché non dirlo piu´chiaramente. In modo talmente chiaro che sia comprensibile a tutti i normali soci e potenziali tali? e se secondo Sebastiano tutto é chiaro perché la costruzione fa sorgere dubbi ad un navigato ed attento operatore come Antonio Tombolini ?
Cari amici, non siate ingenui! E’ OVVIO che Slow Food non sia un’associazione francescana. Ma quando mai! Quello che fa girare le scatole è che continuano a voler farci fare la tessera (che è pure cara) e poi te li ritrovi a far pubblicità e fornire “immagine” a Eataly (perchè di questo si tratta). Si decidessero: o un’associazione (vera) o un’attività commerciale. La verità è che fa un po’ male rinunciare a tutte quelle belle tessere pagate da tante anime candide, quindi, direttamente, non vendono neanche una caramella. La verità è che Eataly avrebbero tanto voluto farlo loro (pensate un po’: un bel Salone del Gusto permanente… quanti bei soldini sonanti), ma non farebbero nemmeno una tessera. Che fare? Stanno lì, né carne e né pesce (proprio loro!), in attesa che Carlin (che ormai ad Heidegger ci sputa in un occhio) dia loro la luce.
Che noia.
Giulia
Aspetta Carlo,
forse non ho capito bene, ma slowfood cioè “LA” slowfood di quando ti associ non è una onlus. La onlus è la fondazione per la biodiversità, almeno io l’ho capita così. Mi sbaglio?
Scusa ma è tardi e non riesco a rispondere all’interessante discussione legale/giusto si o no, magari domani è meglio 🙂
Da tempo Slow Food non è più Slow Food. Fine della musica. Ma vai a spiegarlo a quella mandria di buoi che assale il salone del gusto o Cheese e che non sa distinguere tra mortadella e caciocavallo… viva la bretagna, basta che se magna…
Giulia lo ha capito, Poldo lo ha capito. Quanti altri non lo hanno capito ? e a quanti non interessa capirlo ? Non credo nessuno voglia disconoscere i meriti
storici della Slow Food, ma non ci guadagnerebbero di piu´ passando dai caratteri minuti minuti a chiarezza da corpo tipografico normale ? anzi io la cosa “che ora ci gettiamo nel commercio con la qualitá come la intendiamo noi” la sbandiererei ai quattro punti cardinali, proprio per gratificare quella che Poldo chiama “la mandria di buoi” (non concordo sulla definizione) e fidelizzarla ancora di piu´.
Invece di perdere tempo in tante acrobazie PR e distinguo
legali, forse si potevano usare le energie per coinvolgere i soci e comunicare
i fatti della vita in modo piu´netto. Peró la srl é loro e sapranno bene come giostrarsela.
e bravo Antonio 🙂
da torinese, ti aggiungerò che sta megaoperazione di Eataly….. boh…. qualche dubbio me lo fa sorgere….. ma restano vaghi dubbi a fronte di una grossa novità per una città che si lagna sempre di star per morire, mentre gli altri le fregano tutto e mentre il mondo intorno (Milano, Roma, le capitali europee…) è SEMPRE E COMUNQUE più fico….. ci avremo forse qualche complesso? Lasciamo perdere, almeno per ora
tornando a Slow food: la tessera non è obbligatoria e basta non farla, il Salone del gusto neanche e basta non andarci (ma ci vanno tutti…. e che sia un’operazione anche commerciale mi pare non solo evidente ma lampante, visto il costo del biglietto di ingresso…..). D’altra parte è evidente che se vuoi metterti a spiegare al mondo (e alla Monsanto, p.es.) come andrebbero gestite le cose per mantenersi fuori da certi meccanismi inarrestabili di mega-speculazioni una certa attenzione a quello che fai (almeno dal punto di vista della comunicazione, se non altro….) ce la devi mettere PER FORZA. Se non lo fai bene, ti becchi i sospetti e dubbi e domande e insinuazioni del Tombolini di turno (e di molti altri) e questo di sicuro non aiuta a MANTENERE UNA CERTA CREDIBILITA’, cosa oggigiorno piuttosto difficile anche senza combinarne nessuna……
quindi a mio parere: attenzione miei cari di Slow food, a non “inquinare” l’aria che tira, quando è buona e si basa su un meccanismo delicatissimo come quello della fiducia della gente, ci dobbiamo stare attenti proprio tutti…….
Ciao Antonio, è sempre un piacere 🙂
Milena
Giulia sei un mito. Come parlano chiaro le donne d’oggi… più e meglio degli uomini. Concreta e spontanea. La voce della verità. Fai una cosa, Giulia, anzi non farla: non fare più la tessera Slow. Perchè continuare a finanziarli? Se vuoi “sostenere” loro e i produttori attigui, acquista i libri (ben fatti, tutt’oggi, invero) e le squisitezze dei presidi: così ti soddisfi senza farti il sangue amaro. Slurp Food!
Mi sono riletto con calma tutti gli interventi e sono tornato sul sito di eataly per cercare di capire bene la questione. Ho partecipato alla creazione di un presidio, quello della pesca regina di Londa, in Toscana. Pochissimi produttori che richiavano davvero la scomparsa. Mi ricordo che una delle questioni che ponevano era quella se poter impiegare il marchio Slow Food sulle confezioni in vendita e fu loro spiegato che questo non era possibile poichè avrebbe messo l’associazione su un piano diverso rispetto a quello della salvaguardia dei prodotti, inserendosi a pieno titolo nel settore commerciale. Ora, vedendola con gli occhi di allora, mi sembrava effettivamente che mancasse un tassello nell’organizzazione dei Presidi, poichè queste persone erano realmente incapaci di organizzarsi a livello commerciale. In tutta l’operazione, quindi, come già avete detto, è mancata una comunicazione adeguata sul progetto che, di fatto, sconfessa quanto era stato affermato in precedenza. Se questo sia giusto(in quanto legale lo è di sicuro) credo siano i soci in primis a doverlo decidere, senza però togliere agli osservatori esterni la possibilità di criticare e sollevare obiezioni
Giusto Leonardo,
secondo me hai centrato il problema. Chi decide (o dovrebbe decidere) cosa è “giusto” che faccia slowfood? Essendo un’associazione, a rigor di logica i soci dovrebbero decidere… chi altro sennò? Poi certo, chi si trova all’esteno può tranquillamente criticare queste scelte, ma non è questo il problema secondo me. Il fatto è che, secondo la mia esperienza “dentro” slowfood, i soci possono decidere ben poco. Slowfood infatti non mi è mai apparsa un’associazione strutturata molto democraticamente, se non sbaglio fino ad un paio di anni fa il socio non poteva neppure eleggere il proprio fiduciario, che era scelto “dall’alto” senza nessuna consultazione della “base”. Oggi mi pare che questa cosa sia stata cambiata, sarà poco ma penso sia un passo in avanti.
Caro baldinik, non a caso è stato cambiato llo statuto dell’associazione. Se non attua principi democratici, non può accedere a fondi pubblici e l’elezione del fiduciario è stato ilprimo tassello!
Ma allora, torniamo a bomba: se i fondi sono pubblici, sono anche di Antonio e quindi Antonio ha tutti i diritti di porre domande cui non mi sembra ci sia la calca per rispondere, da parte di Slow Food. Certo uno non é che puó stare a rispondere a tutti quelli che gli fanno domande, peró comunque un minimo di gentilezza vera…. In fondo tutto questo interesse é anche segno di considerazione e rispetto. A meno che rispetto e considerazione non godano di partcolare prioritá in una srl profit. Insomma se la lumaca uscisse dal guscio due minuti per dire pane al pane e vino al vino. (A proposito di Vino al Vino: mi preoccupa il silenzio di Franco Ziliani su questo argomento. Silenzio assenso ? o meritato sabbatico ?)
Ciao Antonio, ciao ragazzi.
Mi è stato segnalato il tuo post dall’amico giandomenico e con piacere vedo che il dibattito si infiamma. Personalmente provo vergogna ad aver fatto la tessera per tanti anni e l’aver anche collaborato con l’associazione nei presidi e in condotta. Molti degli interventi critici, sprtt quelli di chi è stato dentro SF, sono condivisibili. Aggiungo ancora che molte persone che lavorano per SF scrivendo, facendo corsi dei master, e altro, sono a busta paga di Eataly, primo fra tutto SebaSardo, al quale va la mia personale stima, ma che se è stato mandato avanti a replicare al blog signifca che in SF il problema interessa ben poco. Ascoltando gli amici soci vedo che ciò che viene rimproverato è sprtt la mancanza di coerenza con le parole, i progetti e gli ideali di una volta.si è rotto un sogno, per molti di noi che forse per la prima volta nella vita ci siamo sentiti partecipi di un progetto culturale e “politico” per non dire ideologico, su temi lontani dalla politica tradizionale ma molto vicini a noi e al ns.ambiente e futuro.Evidentemente, hanno fatto il passo più lngo della gamba, il visionario Petrini è costato un pò troppo e ora si rende necessario vendere SF a Farinetti.Perché non diciamolo una volta per tutte?? SF non esiste più, ora esiste Eataly.Farinetti è il capo Carlin il guru.Io penso che vivremo ugualmente, ma se lo dicessero chiaramente riacquisterebbero un pò di quella coerenza persa nei mille bicchieri dei vini tre bicchieri, che nemmeno il mio gatto apprezzerebbe.E non meravigliamoci, ormai l’andazzo era noto da anni.Certo, dispiace, ma ce ne faremo una ragione.
Avete notato che Antonio è l unica voce fuori dal coro?
Chissà come mai…
Raspulla
Nessuno è capace di confessarsi semplicemente invidioso qui dentro, vero?
Invidioso di cosa, scusa paradox?
volevo rispondere a Leonardo Romanelli.Sono socio Slow da piu di 20 anni ed ho partecipato ai vari ultimi congressi,da quello provinciale, al regionale sino al Nazionale e ti confermo che lo statuto e’ cambiato, ma le elezioni, sia del fiduciario che del governatore regionale financo del presidente nazionale, vengono fatte per alzata di mano!! nulla a che vedere con una libera e democratica elezione a scrutinio segreto.
Ha nessuno è mai passato in mente che Eataly possa dare molto fastidio a Esperya . Chiedetelo a Antonio e chiedetegli anche come mai Esperya non è stata più accettata al salone del gusto di Torino.
Se nel progetto di Eataly non partecipava Slow Food sicuramente altri avrebbero approffittato. Cercate di vedere oltre i vostri paraocchi e provate a visitare Eataly dal 30 gennaio cisì magari vedendo e non olo parlando vi renderete conto.
un caro saluto
Roberto
Personalmente, anch’io sono socio da numerosi anni ( e da più di 5 Fiduciario di Condotta) e posso anche concordare con chi ravvisa un comportamento di Slow Food più simile ad una ditta commerciale che ad una Onlus (e non no profit).
Sento immediatamente di smentire Dalila su alcune cose:
Vero che lo statuto è cambiato, ma è altrettanto vero che le cariche sono annuali (in particolare quelle dei Fiduciari).
I Governatori non vengono votati per alzata di mano ma sono eletti dai Fiduciari in assemblea regionale (qui per alzata di mano).
Vero che il voto è per alzata di mano ma poco chiaro è il perchè, per Dalila, una forma di espressione di volontà così aperta e chiara debba ingenerare un senso di scarsa democrazia.
Ricordo a chi lo sa e riferisco a quanti non lo sanno che il consesso elettorale è formato da Fiduciari e Governatori che sono dei VOLONTARI e non dei dipendenti.
Quindi non ravviso in un’Associazione la necessità di un voto a scrutinio…che fanno se non siamo d’accordo…ci licenziano?…cerchiamo di leggere i documenti e se partecipiamo di ascoltare tutti gli interventi…invece di stare nei corridoi…
Alla votazione per la rielezione e/o elezione delle cariche nazionali si sono avuti solo 4 voti contrari…3 uomini e 1 donna…li conosco e li ho sentiti tutti nessuno di loro ha scritto su questo blog…ora dato che non sei tu tra quelli che hanno votato contro o hai votato a favore se eri contrario\a (e questo non ti consente di parlare della forma di voto..oppure non avevi diritto di voto.
Io lo avevo e non mi lamento della forma scelta dall’Associazione..l’alzata di mano è di alta democrazia e evita le zozzate da Franco Tiratore.
Diversa e sicuramente un po più spinosa è la questione Eataly.
Sicuramente siamo di fronte ad un’operazione commerciale del sig. farinetti e sicuramente la collaborazione di SF, qualunque ne sia la forma, è alquanto imbarazzante, ma inviterei un po tutti ad essere un po più scafati e a guardare cosa si fa con tale operazione (che sicuramente porta utili a terzi…questo non lo nego!)
Potrà mai il produttore del Salame pezzente della Montagna Materana (Presìdio Slow Food) sopravvivere nella sua grande biodiversità alla pressioni delle grandi catene commerciali?
Diciamoci la verità, ma in quanti sanno di cosa parliamo?
Come lui ve ne sono tanti altri che rischiano una definitiva estinzione di fronte ai negronetto o ai galbanini….
Il fine potrà giustificare i mezzi?
…io voglio ancora pensare che sia così, anche se la risposta di Sebastiano non è che mi sia piaciuta tanto.
Grazie dello spazio e saluti a tutti.
Fiduciario
@ Fiduciario: il fine non deve mai giustificare i mezzi, altrimenti torniamo nella giungla. Ma a parte questa nota filosofica, si capisce bene il tuo grido di dolore
e i problemi che poni. In realtá il destino del salame pezzente sta a cuore a tutti.
Le soluzioni ? mi sembra scarseggino le proposte costruttive, peró una cosa
si potrebbe fare, la piu´semplice. Che SF annunci – magari con un nuovo manifesto, dacché trenta’anni sono molti – che ora hanno scelto di passare dalla attivitá di promozione ideale alla consulenza al mercato. Cosa buona, legittima e magari foriera di grandi miglioramenti per tutti i consumatori. Nulla di cui vergognarsi, anzi. Basta dirlo.
Non posso che concordare con Carlo Merolli sulla necessità politica e morale di rieditare un manifesto di principi più consonbo alle finalità che si perseguono e maggiormente esplicativo di dove c’è la Onlus e dove non c’è…anche per il rispetto della libertà di scelta degli associati che non hanno ancora “letto” in chiaro i reali mutamenti.
La chiarezza è decisamente d’uopo… e lo dice uno dei consulenti gratuiti……(ho reso perchè affermo ciò che affermo…???)
Per quanto riguarda il ritorno alla giungla con la giustificazione dei mezzi adoperati non mi trovi d’accordo.
Ti farò un esempio significativo, noto sicuramente all’ottimo Tombolini.
Circa 2-3 mesi fa la CE ha organizzato la Giornata Europea per l’alimentazione sana.
Nella sala dei Convegni trovavano posto stand di Mc Donald’s, Burger King, ecc….
Ora se una Comunità Europea, e il suo Presidente (sulle cui qualità morali non mi soffermo) anzichè spingere per una grandissima biodiversità, qual’è quella che l’intera Europa può esprimere, si fa ostaggio di multinazionali che servono escrementi travestiti (e anche male!) da cibo, quale arma ci resterà?
Il fine deve giustificare i mezzi, e non solo perchè l’alternativa è la fine di tanti produttori e di una cultura alimentare della quale in alcune aree ci vergogniamo perchè specchio di tempi di fame e pellagra, ma anche perchè strumenti più forti non ce ne sono offerti.
Allora, a mio modesto avviso e nel rispetto di tutte le altre opinioni presenti in questo blog, ben vengano le consulenze e gli strumenti alternativi di promozione…anche le “Reti anarchiche” rette dalle Condotte o dalle iniziative di soci e non (con e senza fine di lucro!).
Il vero rischio odierno, a mio modesto modo di vedere, non è cosa sia diventato SF o una qualsiasi altra Associazione ma la confusione culturale e “l’affinamento commerciale” raggiunto da Gruppi Alimentari e Cartelli Gastronomici.
Siete mai entrati in un Mc Donald’s di recente?
Io e alcuni del mio direttivo lo stiamo facendo da mesi…non mangiamo…. raccogliamo campioni e informazioni e tramite un Professore Universitario svolgiamo analisi dei prodotti serviti….
Non mi soffermnerò su cosa parzialmente abbiamo già ottenuto e che sarà oggetto quanto prima di un’azione di Condotta dalla quale ci deriveranno anche risvolti penali che abbiamo comunque messo in computo, ma su come la Multinazionale abbia corretto il tiro…si è vestita di salutismo, di finta trasparenza sulla filiera…ecco, questi cambiamenti d’impostazione sono frutto di una emulazione di SF e delle sue linee, ma in se contengono anche l’immensa forza di cambiare con risultato che è e resta in capo a soggetti come la Mc Donald’s…..
come ci si può opporre a tutto ciò?…..
Il fine deve giustificare i mezzi…alternative non ve ne sono..almeno per il momento.
Allora ben venga anche Eataly, così come fu la benvenuta Esperya e tante altre che ne seguirono il “virtuoso” esempio…anche se partite da presupposti e chiarezze diverse.
Cordialità
(P.S.: il mio nome e i miei recapiti – tutti – sono fornibili a mezzo e-mail a tutti coloro che me ne faranno richiesta … non vi è alcun anonimato!)
Visto che concordiamo su i punti base, prendo due righe di tempo per ribadire: se il fine ha bisogno di essere giustificato da mezzi non approvabili, legali, corretti, democratici (continua tu) non e´un fine approvabile, legale, corretto, democratico etc. Lo so, e´pratico ed accattivante, spesso fa risparmiare tempo e spesso magari coglie nel segno, peró bisogna che ci abituiamo all’esercizio che il nostro vivere quotidiano si costruisce con e sulla chiarezza ( la legge) e non sugli espedienti.
La prendo alla larga ed alla seria: se per combattere il terrorismo una societá accetta mezzi non chiari e democratici, ha giá perso la prima battaglia contro il terrorismo. Tu dirai ” Merolli ma sei partito de brocca ?! Che centra SF con la lotta al terrorismo ?” Niente – ovviamente – ma il modo di pensare é lo stesso.
Una associazione tipo SF che ha qualche montagna di consensi alle spalle ha l’ obbligo di fare tutto senza espedienti e senza mezzi che giustifichino il fine.
Lo vedi anche tu: una bella assemblea, un bel comunicato PR, un bel manifesto Tombolini stava tranquillo, ed i soci ancora piu´orgogliosi di essere soci. Invece adesso qualcuno, i piu´serii, i piu´consapevoli, comincia a scricchiolare, la fede é meno forte. Il dubbio, l’inoddisfazione serpeggiano perché le critiche in fondo immotivate non sono.
No credimi: il fine giustifica niente. Tutte balle inventate da uno scrittore alla fame e piaggiatore di un principe assassino. Roba di cinquecento anni fa, che non ti fa fare un passo avanti. I mezzi giustificano se stessi e ne rispondono in prima persona.
caro fiduciario, il suo esempio della CE mi ha fatto ripescare dalla memoria un esempio altrettanto edificante:
Salone del Gusto 2000, un piccolo produttore di caffè veneziano e Lavazza sponsor della manifestazione. Il caffè del produttore veneziano non si poteva far assaggiare, perchè in concorrenza (?) con quello orrendo (ma questo è solo un mio inutile giudizio) dello sponsor.
I produttori, si sa, utili idioti, sono dei rompiscatole: vogliono persino far assaggiare i loro prodotti, non capiscono il fine superiore, la missione di un’associazione…a loro interessa solo che la gente provi e poi compri.
Come vogliamo definire questa politica di Slow Food?
Forse anche voi siete “ostaggio di multinazionali che servono escrementi travestiti (e anche male!) da cibo”?
Se la risposta è che il fine deve giustificare i mezzi, non saprei cosa risponderle. Ho sempre pensato il contrario e non ambisco a convertire nessuno.
Lei, caro fiduciario, si domanda: “quale arma ci resterà?”.
A occhio e croce, date le sue premesse del fine giustificatorio, proporrei una dittatura di Petrini e dei suoi…
ps: strana la storia dell’anonimato che non c’è virtualmente, ma di fatto c’è, ma si sa il fine deve giustificare i mezzi…
@ Fiduciario: mi sembra che, anche fra i soggetti coinvolti in prima persona nel movimento Slow Food, non ci sia completa chiarezza.
Slow Food, Slow Food Italia e le singole condotte territoriali sono semplici associazioni, come definite dal codice civile, non ONLUS (Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale), come definite da una norma che ha rilievo squisitamente ed ESCLUSIVAMENTE fiscale (contributi, esenzioni, agevolazioni… solite cose).
Detto questo, una “semplice” associazione può benissimo esercitare – direttamente o indirettamente – anche attività commerciali (si pensi al Touring Club Italiano, che nei fatti è una piccola holding del turismo) e PRODURRE utili, che dovrebbero contribuire al perseguimento dei fini associativi. E’ invece vietato DISTRIBUIRE gli utili stessi (chiamali anche profitti, avanzi di cassa, residui di fondi… come preferisci) fra i soci.
Ciò vale sia durante la vita dell’associazione, sia quando viene sciolta.
In proposito, lo statuto vigente di Slow Food Italia – quello approvato lo scorso anno a Sanremo, pubblicato qui: http://associazione.slowfood.it/associazione_ita/ita/statuto_ita.lasso – è molto chiaro e all’art. 45 dispone che: “Lo scioglimento dell’Associazione è deliberato dal Congresso, appositamente convocato, il quale nominerà uno o più liquidatori e delibererà in ordine alla devoluzione del patrimonio che dovrà comunque essere elargito, per la parte residua al soddisfacimento delle obbligazioni sociali, a uno o più Enti riconosciuti che perseguano finalità analoghe a quelle dell’Associazione, scelti dal Congresso all’atto della delibera di scioglimento, salvo diversa disposizione imposta dalla legge”.
Che poi ad alcuni (o a molti) soci SF certi atteggiamenti risultino sgraditi, questo mi pare “buono, pulito e giusto”. Roberto Burdese ha dichiarato che la decisione di collaborare con Eataly è stata presa dalla segreteria nazionale e dal consiglio dei governatori ALL’UNANIMITA’.
Chi è in disaccordo, quindi, è con questa unanimità che dovrà fare i conti. Se chi il dissenso è della maggioranza dei soci, ciò significherà – in futuro – dover intervenire democraticamente per cambiare i vertici dell’associazione.
Un saluto a tutti.
Carlo permettimi di dissentire, tu dici a proposito del fine che giustifica i mezzi che tanto piace al nostro Fiduciario : "Tutte balle inventate da uno scrittore alla fame e piaggiatore di un principe assassino".
Non è vero, lo scrittore sarà stato pure alla fame, ma non ha mai detto una scemenza simile.
Nel cap. XV si legge solo: "…mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa. E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero; perché elli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare, impara più tosto la ruina che la perservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessità."
e ancora:
"E io so che ciascuno confesserà che sarebbe laudabilissima cosa uno principe trovarsi di tutte le soprascritte qualità, quelle che sono tenute buone: ma, perché non si possono avere né interamente osservare, per le condizioni umane che non lo consentono, gli è necessario essere tanto prudente che sappia fuggire l'infamia di quelle che li torrebbano lo stato, e da quelle che non gnene tolgano guardarsi, se elli è possibile; ma, non possendo, vi si può con meno respetto lasciare andare. Et etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizii sanza quali e' possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considerrà bene tutto, si troverrà qualche cosa che parrà virtù, e seguendola sarebbe la ruina sua; e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola ne riesce la securtà et il bene essere suo"
Cosa se ne ricava?
Semplice: tutti vorrebbero che il principe fosse buono, la condizione umana però non lo consente, allora il principe deve: "fuggire l'infamia di quelle (qualità) che li torrebbano lo stato, e da quelle che non gnene tolgano guardarsi, se elli è possibile".
Cosa c'entra tutto questo con il fiduciario SF?
Forse niente, forse solo un monito, ma, fossi in lui, ci penserei: persino il principe deve fuggire l'infamia di quelle qualità che li torrebbano lo stato…
Solo nel cap. XVIII si parla di mezzi:
" Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e mezzi saranno sempre iudicati onorevoli, e da ciascuno laudati; perché el vulgo ne va preso con quello che pare e con lo evento della cosa; e nel mondo non è se non vulgo; e li pochi ci hanno luogo quando li assai hanno dove appoggiarsi. Alcuno principe de' presenti tempi, quale non è bene nominare, non predica mai altro che pace e fede, e dell'una e dell'altra è inimicissimo; e l'una e l'altra, quando e l'avessi osservata, li arebbe più volte tolto o la reputazione o lo stato."
Il volgo è interessato solo al successo, non ai mezzi usati per conseguirlo, Machiavelli, da osservatore interessato alla verità effettuale della cosa, registra non una sua opinione, ma un dato della realtà del '500, come dei nostri giorni, come del resto il volgo slow fodd docet alla perfezione.
Lo dicevo che era tosta Patrizia. Ed il “..Machiavelli avrebbe detto volentieri. io non sono stato machiavellico.” E´vero: é l’interpretazione che si porta appresso e per cui glie se ne fa carico. Nella difesa della “lettera” del Machiavelli hai ragione da vendere: non filosofo approvante ma mero e sobrio cronista.
Va bene, finche rimaniamo al testo, ma la biografia ci dá un altro angolo di entrata: al tempo della stesura de “Il Principe” il Machiavelli stava ” a tocchi” e pensa di dedicare il libro prima a Giuliano de´ Medici, poi a Lorenzo. Il quale poco recepisce della grandezza dell’ opera come altrettanto poco aveva recepito delle qualitá del Niccolo´funzionario statale. “Leccaculo” o piaggiatore forse é troppo, ma i tempi duri a quei tempi erano veramente duri….
Secondo me se avesse avuto successo materiale, forse il Principe non lo avrebbe scritto. Ma questa é un’altra storia.
Il problema é che SF non nasce come volgo. Nasce come sanissima reazione di pochi (non volgo, non malestanti) al fastfood ed alle oscenitá dell’ industria alimentare. Sará diventato volgo, massa, ora. Ed é ora che ha bisogno di srl e di avvocati, di distinguo e di “machiavellismi”. Rimane una valutazione, quella che il fine giustifica i mezzi, concreta, in tutta la sua tanto dettagliata legalitá, peró restrittiva e pessimista e che non dovrebbe avere ragion d’essere.Perché ” se il mondo non é se non vulgo” allora tanto vale Wimpy Bar e Burger King.
Mi sa che “i dirigenti” di SF leggono magari questi posts e se la ridono sotto i baffi.
O forse neanche li leggono questi posts, visto che il silenzio da parte loro é da cliché: assordante.Loro privilegio. Ma se uno doveva mettere in moto un movimento tale per poi arrivare alla constatazione che “mundus decipi vult” allora forse era meglio lasciare stare.
Ciao a tutti raramente scrivo su blog, anzzi mai mi limito ogni tanto a leggere quello che voi scrivete. Ma oggi voglio farlo.
1)Perche sono socio Slow Food? Perche quello che fanno i ragazzi di bra (sono giovani lavoano per passione e nessuno alla fine ci guadagna se non il giusto e soprattutto tutti i mesi si impegnano perche si possa portare a casa lo stipendio) e i vari volontari in giro per il mondo mi piace, così come sono socio del WWF che fa le stesse cose ma salva gli animali.
2) Slow food è commerciale? Come potrebbero pagare gli stipendi a 200 persone (ripeto la maggior parte ragazzi sotto i 40, anzi forse tutti eccetto la vecchia guardia) e poi non pensate a quanto si sono arricchiti alcuni produttori grazie al Lancio Di Slow food dal primo salone del 96 a oggi… e non facciamo nomi…
3) Slow Food e la Tessera? Costa poco ti da una bella rivista e un libro in omaggio, e gli sconti alle manifestazioni… I 55 € a volte me li bevo in una sera con 2 coca e rum di merda… (quindi non mi lamento anzi)
4) Il Salone del gusto? Tutti a dire è caro e tutti a dire c’è troppa gente… Se il biglietto si abbassa magari ci mangiamo gli stend che verranno fatti di plastica commestibile… Ripeto spendo 55€ per andare a vedere un concero di 2 ore allo stadio al III Anello.
5) Eataly? Ci sono andato apposta, è bello architettonicamente bel recupero, i cibi sono buoni e vari i prezzi contenuti, e poi posso ogni tanto variare dalle solite cose che mi ritrovo a dover comprare in 3 minuti nel negozio sotto casa… Farinetti ci guadagna ben per lui, i produttori ci guadagnano ben per loro, dei ragazzi vengono assunti, ben per loro, Slow food ci guadagna e che è un’associazione di beneficenza… E poi Facciomo critiche a metro Carrefour e tutte quelle merdate di centri commerciali che nascono come funghi e che hanno prezza assurdi per una qualità pessima, li mi incazzerei se Slow food Facesse un accordo. E poi non è la prima volta che lo fa ricordo iniziative fighe con la coop ecc…
Fine, comunque per fortuna che SF c’è, i produttori di vino ringraziono i presidi ringraziano, tombolini se fosse stato meno ingordo forse avrebbe ringraziato a presto
Ps.
Vale la pena di proseguire a intervenire per esprimere le proprie idee e punti di vista?
Devo dire che questa domanda mi ha più volte impegnato in questi giorni.
Certo di fronte a tanto sfoggio di cultura …Il Principe di Machiavelli ….con chiose letterarie e critiche di tal levatura…ci si sente in difficoltà.
Soprattutto quando si è di bassa estrazione come chi scrive, quando si appartiene al Volgo degli scellerati e inconsapevoli appartenenti a Slow food.
Che fare?
La cosa migliore forse è e sarebbe tacere, ma il sapere che qualcuno potrebbe sentirsi ringalluzzito da tale comportamento, ritendno che l’interlocutore senza parole o vie di scampo abbia battuto in ritirata….resta davvero poco digeribile (giusto per rimanere in tema agroalimentare).
Il fine giustifica i mezzi.
Mai nominato il Machiavelli, che concordo sul fatto che non ebbe mai a pronunziare detta frase.
Sfigato? alla fame?
Consiglio di tornare sui libri.
Machiavelli proveniva da famiglia toscana nobilissima, sia da parte marterna che paterna, e ricoprì nella Firenze dei Medici esiliati alte cariche di prestigio – financo quella di informatore dei provvedimenti presi da altri importanti governi europei(una sorta di ambasciatore), e anche quando questi rientrarono il suo esilio si trasformò in un risiedere in un mondo dorato…la levata del giovin signore era anche il suo modello piuttosto che quello del principe.
Fu proprio durante il suo esilio a Sant’Andrea in Percussina che cominciò a scrivere Il principe…e credo che dopo una tortura avesse poco da elogiare.
Al dilà della chiosa della sig.ra patrizia, che mi lancia moniti che farebbe bene a tenere per se non foss’altro che so guardarmi i fatti miei da solo,(che è anonima quanto Il Fiduciario, tenuto conto che Patrizia si chiama anche mia cognata…) e che ad ogni costo vuole accomunarmi al Machiavelli, e mi costringe a vestirne i polverosi panni, la verità sulla frase attribuita, e questo giusto per non fare la figura dell’agricoltore ignorante, non sta nel significato che Lei gli attribuisce ossia:
“Cosa se ne ricava?
Semplice: tutti vorrebbero che il principe fosse buono, la condizione umana però non lo consente, allora il principe deve: “fuggire l’infamia di quelle (qualità) che li torrebbano lo stato, e da quelle che non gnene tolgano guardarsi, se elli è possibile”.”
..ma piuttosto nella volontà di valutare con un diverso metro, che non sia evocativo di un criterio morale (es. giusto o sbagliato), se i mezzi adoperati sono idonei a conseguire il fine politico.
In tale ottica corretta e sostenuta dai maggiori critici viventi della letteratura italiana ( che la invito a leggere) mi sento di somigliare e di avere elementi in comune con il machiavelli.
Inoltre, e non per rintuzzarla ma solo per sua completezza d’informazione, gli sgravi postali si danno anche ai giornali che vengono spediti per posta agli abbonati…financo per le riviste pornografiche…pensi un pò.
In merito al piccolo produttore veneziano di caffè…devo purtroppo correggerla ancora una volta è di Padova ed è tutt’altro che piccolo tenuto conto anche dei fatturati.
Importa caffè di eccellente qualità (su ciò concordo con Lei) da varie parti del mondo, dove lo paga meno della fame dei poveracci che lo coltivano e lo trova nei negozi per ricconi a non meno di 8 euro il quarto.
La Lavazza – il cui caffè personalmente mi fa c….e – ha da due anni avviato un progetto che si chiama “Tierra!”, che storna il 75% del prezzo finale (€.3,50 al quarto) ai produttori di varie aree del Perù, Honduras e Colombia…..non facciamoci incantare dai sensi…..
Non mi dilungherò oltre ma mi resta un quesito…perchè se avete capito tutto state qui a discuterne????
Se vi sono motivi per ritenere che Slow Food si muova nell’illegalità (fruire di agevolazioni statali senza titolo è decisamente illegale) perchè non inviate una denunzia agli organi preposti?
Se va sottoscritta con il proprio nome e cognome? non necesariamente, ma con nome e cognome cammina decisamente più veloce…..anche se poi si rischiano le querele.
Grande popolo il nostro.
Naviganti, scopritori ed…EROI.
Ciao Tombolini ci si becca in qualche manifestazione.
il caffè di cui parlo è questo:
http://www.caffedeldoge.com/frame.htm
L’episodio a cui mi riferivo data salone del gusto 2000.
Della carità pelosa o meno di Lavazza poco mi interessa, così come di quella di Caffè del doge, il punto era un altro. Un punto semplice, semplice:
quel caffè non si poteva far assaggiare per non infastidire Lavazza. Stop.
E’ inutile poi, signor Fiduciario dai nervi scoperti, che lei pratichi l’esercizio di spostare sempre le questioni: anche la carta stampata ha sovvenzioni di ogni tipo? O meglio, aggiungo io, è in gran parte finanziata dallo stato sotto varie forme? Chi se ne frega. Sbagliato l’uno come l’altro caso.
Una associazione no profit che in quanto tale viene agevolata e finanziata dalla collettività, tale deve rimanere.
Se fa una cosa profit deve pagare le tasse come tutti.
Ma, si sa, la Fiat è vicina a Bra ed è, come dire, maestra: le perdite si dividono, facendo pagare alla collettività la cassa integrazione, i bonus e chi più ne ha più ne metta e ovviamente, quando ci sono, i profitti rimangono in tasca al signor Fiat.
Patrizia Dalpiano
Via C. Maccari, 31
60025 Loreto (AN)
Così non mi confonde con sua cognata, non si sa mai…
Io non sposto le questioni e soprattutto rispetto profondamente le opinioni altrui, anche le sue…benchè ogni volta che si rivolge a me pur non conoscendomi esce parecchio fuori tracciato, a differenza di Merolli.
Leggo, però, testualmente nel blog un commento di tal Patrizia che incollo:
“perchè sia solo “chiaccherata” non saprei, il nostro è uno strano paese…
questo è lo statuto:
http://associazione.slowfood.it/associazione_ita/ita/statuto_int.lasso
In Italia le associazioni senza fine di lucro, oratori compresi, hanno diritto a contributi ed agevolazioni fiscali di ogni genere, compreso tariffe postali agevolate.
Forse ci toglie questo?
scritto da patrizia il 11.01.07 19:57″
Concordo sullo strano paese visto che tace sulla denunzia…tanta indignazione..e poi…
Se non è Lei la Patrizia che scrive Le faccio le mie pubbliche scuse per la questione Poste.
Se invece è Lei, allora ha la memoria corta!
La ringrazio dei suoi recapiti ma non potrò contattarla …preferisco mia cognata…
Ah! dimenticavo, i miei nervi stanno benissimo si faccia controllare i suoi.
Stia bene e impari a rispettare le idee degli altri, e soprattutto a tenere un contegno civile.
P.S.: Il caffè era Il Caffè del Doge ha pienamente ragione …lo confondevo con la Torrefazione di Frasi….(Verona e non Padova tra l’altro)
Signori Vi ringrazio dello spazio e Vi saluto tutti….
buona inciviltà a tutti.
mi deve scusare ma faccio fatica a seguirla.
Ero sempre io la patrizia delle poste.
Non credo di essere caduta in alcuna contraddizione.
Ragiono in modo semplice e ribadisco il concetto, visto he la sua abitudine a spostare le questioni.
Cosa toglierei?
I contributi postali e tutto il resto?
Lei o non vuol capire o preferisce mescolare le carte in tavola. Ribadisco per l’ennesima volta:
una onlus che si avvale delle agevolazioni di diritto tale deve rimanere. Se diventa un’impresa che crea profitti, deve ricevere analogo trattamento di tutte le altre imprese profit.
Quanto al contegno civile non capisco di cosa parla, mio caro fiduciario.
Tutti quelli che le replicano, per il solo fatto di replicarle sarebbero incivili?
Probabilmente,e per fortuna, abbiamo un’idea di civiltà diversa.
A tal proposito le ricordo che la questione di sua cognata l’ha sollevata lei. Aveva timore di confondersi, per questo le ho risolto il problema, ecco il motivo dell’indicazione delle mie generalità.
Riguardo il fatto che preferisca sua cognata a me, non sa quanto ne sia sollevata…
@ Fiduciario & @ Giovane socio povero : il nocciolo della questione é che la SF onlus ha raccolto – dal 1987 in poi credo – consensi e “goodwill” (capitale di avviamento morale ). E´dei soci ma nel momento in cui riceve contributi pubblici é di tutti. Non puo´ coinvolgersi in fini commerciali privati.
La SF invece per ” raggiungere gli scopi che si propone, Slow Food può partecipare a livello internazionale o nazionale ad organismi pubblici o privati, promuovere circoli, affiliare produttori ed operatori del settore, gestire in prima persona iniziative anche economiche che ritenga utili al proprio fine sociale; può promuovere fondazioni, centri studi, iniziative editoriali e promozionali, intraprendere tutte quelle attività che non contrastino con la sua natura associativa.
La differenza c’´e, ma si vede poco perché invece di separare le due entitá si e´continuato con il nome Slow Food travasando il goodwill onlus nelle operazioni commerciali di privati.
La critica originaria di Tombolini e di qualcun altro si concentrava su questo fatto. Che, fino a prova contraria, mi sembra incontrovertibile. La commistione c’é stata. Che poi sia bella, buona, dia bei risultati e vada bene alla maggior parte dei soci e di tutti noialtri, non c’entra nulla e non la sdogana dal punto di vista morale ne´ideale.
E´su questo punto la direzione SF continua a preferire a tacere, mentre giustamente reagiscono, in varii modi, ma sempre per convinzione e con intento difensivo, le prime file, i normali soci ed i fiduciari . Questi ultimi anche perché non possono fare altrimenti, in quanto, per statuto, sono tenuti a ” promuovere e realizzare tutte le iniziative strategiche caratterizzanti il Movimento, stabilite dagli organismi dirigenti internazionali e nazionali che, in alcuni casi, potranno essere indicate come vincolanti e obbligatorie”
Bravo Merolli.
Vedo, ma ne ero sicuro già dal primo scambio di opinioni che ho avuto con lei, che ha centrato perfettamente il punto.
Qui nessuno ha mai sostenuto se sia stato ben fatto o meno, in regola con i principi di una ONLUS o meno, la consulenza a EATALY.
Su questo le ribadisco che posso essere anche sulla sua linea, anche se da volontario, e perchè ci credo, ho il dovere, come giustamente lei fa notare, di difendere la posizione.
Il punto che altri non hanno ritenuto di dover affrontare, perdendosi in discorsi fuori traccia sui benefit di una ONLUS o su Machiavelli e altro, è proprio questo:
SLOW FOOD gestisce il limite? (questo era il quesito che poneva nel Blog Tombolini).
E se gestisce il limite fin dove esso è compatibile con la qualifica di ONLUS, quando prende parte ad un’operazione commerciale?
Premesso, e lo ribadisco con la speranza che non salti fuori da altri Manzoni o qualche altro grande della nostra letteratura, che a me EATALY e tutta l’operazione di consulenza non è piaciuta nè mi continua a piacere, però non mi scandalizza più di tanto la cosa per vari motivi:
1. non è la prima volta che SF fa un’operazione di pura consulenza aziendale – dette operazioni, anche se mascheratamente, sono state fatte anche per i Presidi o per grandi produttori – creando una rete virtuale, tutta sotto un comune marchio (SF);
2. anche operazioni innocue come gli attuali orti in condotta o la stessa Terra Madre rappresentano operazioni di carattere commerciale (vedi il Caffè di Huehuetenango, seguito da tecnici slow, torrefatto con maestri torrefattori nel carcere delle Molinette e immesso sul mercato prima attraverso SF ed ora con EATALY e SF).
Cosa c’è di diverso tra questo e EATALY?
Solo che in precedenza chi ci metteva la faccia era il produttore, mentre oggi è una SpA.
Grave? decisamente poco digeribile agli occhi di chi ha 16 anni di arcigola, SF e Sf Italia, ma è l’esatto fine al quale si è sempre teso….una rete in grado di contrastare le logiche di un mercato determinato dalle multinazionali.
Ma lei lo sa che da circa 6 anni le Condotte vendono tra i soci e tra loro prodotti del proprio territorio…una sorta di rete anarchica priva di ogni controllo di mercato?
Anche questo è commerciale. Eppure, questo non ha scandalizzato nessuno.
Niente scontrini, nessuna ricevuta, niente di niente, solo libero scambio di beni e moneta.
Vede, non è che si sia poi così lontani da EATALY. E’ solo che EATALY rappresenta il terzo incomodo che non doveva esserci. L’elemento che sposta SF (e non la Fondazione per la biodiversità) dalle ONLUS alle Holding.
Ritiene che questo non ingeneri malumori interni?
Garantrisco che molti vacillano malamente di fronte a tali scelte.
Ribadisco.
Va benissimo EATALY a condizione che si riediti il manifesto e si faccia un passo indietro verso la ONLUS…o uno avanti verso la SpA o Holding o quello che vuole.
Su questa posizione io e lei siamo in piena sintonia mi pare, anche se ci poniamo verso la questione con differenti gradi di fastidio.
Io dico che tutto sommato EATALY va bene, ma condiziono la sua accettazione ad una estraneità futura dell’associazione, se non per l’esercizio di un controllo sul trattamento dei produttori, o ad un passo dell’Associazione verso la dichiarazione societaria e l’abbandono del regime ONLUS.
In tale ultima ipotesi, giusto per chiarire meglio la mia posizione, aderirò alla Fondazione.
In merito al socio povero o giovane o giovane povero, la prego di non accomunarci…..è chiaramente un dipendente di Bra o parente di dipendenti….io sono un volontario, lo faccio gratis….. e credo che questo faccia la differenza, o no?
@ Fiduciario : soddisfatto della risposta, soddisfato dell’apprendere che qualche “vacillamento” esiste, soddisfatto che non sono il solo a pensare che il manifesto andrebbe rieditato, soddisfatto di aver avuto ragione quando parlavo di mancanza di limpidezza (mascheramenti). Visti gli ideali iniziali, non mi sembra il massimo, d’altra parte sono passati venti anni le cose cambiano. Rimane il fatto della commistione, ma se sta bene a voi soci o poco o nulla da aggiungere.
I rest my case.
@ Merolli e Fiduciario: ONLUS, ONLUS, ONLUS… ma quanto ignoranti siete? Non fate altro che evocare una realtà che non è quella dell’associazione Slow Food Italia (a proposito, anonimo Fiduciario, siamo sicuri che tu sia veramente tale?).
Slow Food Italia NON è una Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale e, infatti, NON gode delle agevolazioni fiscali concesse alle ONLUS! E’ una ONLUS l’associazione WWF Italia, per esempio: eppure anche loro pubblicano libri e riviste, vendono prodotti e concedono licenze di marchio (pensate agli infiniti gadgets col panda).
Nell’universo associativo ci sono tante realtà diverse: quello che le accomuna tutte è il fatto – incontrovertibile – che se producono utili non li distribuiscono e se, invece, non funzionano si sciolgono e devolvono il patrimonio ad associazioni aventi finalità simili.
@ Fiduciario: quanto ai Presìdi e a Terra Madre, mi lasci basito: liquidi anche loro come “operazione commerciale” e, già che ci sei, te la prendi pure con gl’innocentissimi “Orti in condotta”.
Il caffè delle Terre Alte di Huehuetenango sta affrancando dalla miseria e dallo sfruttamento un buon numero di famiglie: ti pare nulla?
Allora ti domando: se davvero stai reggendo una condotta (e a maggior ragione ne dubito, visto che tu per primo non credi in quel che stai facendo gratuitamente), perché lo fai? Masochismo?
Io sono un (semplice) socio di Slow Food Italia da undici anni. Mi è capitato diverse volte di contattare Bra, sugli argomenti più svariati, e ho sempre ottenuto risposte chiare ed esaurienti, anche sul tema Eataly.
Se poi preferiscono non intervenire qui, credo abbiamo molto di più – e di meglio – da fare che perder tempo con quattro astiosi pettegoli. Me compreso, ovviamente.
Si rosicava eh ai tempi…
che tristezza di post
Macché, rosico tutt’ora, stai tranquillo: sono convinto ancora più di allora che l'”abbraccio” farinettiano abbia intorpidito Slow Food, che ancora ha da riprendersi. Spero sempre che ci riesca, ovviamente, anche da socio.