Tutto (per me) comincia da qui (pubblicato nel 1999, vissuto dal 1997).
Qualche anno fa incontro (in rete) gapingvoid, e mi pare di trovare consonanze.
Nel 1999 scrivevo così:
Si va al mercato per comprare e per vendere. Ma questa nobile attività commerciale può essere strumentale e funzionale all’incontro, facendo dell’incontro e del dialogo tra le persone il suo stesso scopo. Per questo si andava al mercato, per incontrare persone, comprando e vendendo.
Oggi, il Marketing Più Avanzato (la cui più terribile e cinica incarnazione è il cosiddetto Cause Related Marketing, il marketing della buona causa, quello che strumentalizza ai suoi fini perfino l’amore e la solidarietà), cui auguro di cuore la più atroce delle morti, arriva cinicamente a rovesciare tutto, suggerendo al lupo cattivo di mascherarsi da innocua vecchietta per instaurare una buona relazione (oh, naturalmente one-to-one, s’intende!) e… piazzare all’ingenua Cappuccetto Rosso, quando meno se l’aspetta, un’offerta (oh, naturalmente customizzata, personalizzata, s’intende!) che non si può rifiutare.
Ma l’ingenua Cappuccetto Rosso si è aperta un account per l’accesso a Internet, ed è molto più sveglia di prima… ed è ormai in numerosa e crescente compagnia.
In queste ultime settimane, a distanza di otto anni da allora, Hugh McLeod si sta concentrando sull’idea del prodotto come Social Object:
The Social Object, in a nutshell, is the reason two people are talking to each other, as opposed to talking to somebody else. Human beings are social animals. We like to socialize. But if think about it, there needs to be a reason for it to happen in the first place. That reason, that “node” in the social network, is what we call the Social Object.
Naturalmente questo discorso ha molto, anzi tutto a che fare con la morte del marketing (e dunque anche della pubblicità). Riassunto delle puntate precedenti:
- Il mercato nasce come sostantivo, come nome del luogo deputato all’atto mercantile del comprare e del vendere.
- La rivoluzione industriale ci porta in dote la produzione di massa, e per la prima volta l’offerta supera la domanda: ci sono più automobili che guidatori. Non basta più andare al mercato, ma occorre creare mercato laddove non c’è.
- Il mercato subisce uno scivolamento semantico: da sostantivo (di luogo) si trasforma in verbo (azione): to market, fare, creare mercato, marketing.
- Coerentemente con la necessità di marketing, di fare mercato, per smaltire la produzione di massa e consentire le economie di scala (unica fonte, in questo schema, del profitto) la comunicazione legata al mercato si trasforma e diviene anch’essa di massa: non è più una conversazione tra venditore e compratore, ma un soliloquio unidirezionale, la pubblicità, dove uno parla ai molti della massa, anzi più propriamente alla massa, cercando di indurla all’acquisto.
- La rete, con la sua logica fatta di siti (luoghi) può favorire una riappropriazione dell’area semantica originaria del mercato come luogo in cui si va e si è insieme agli altri (il marketing perde la g e diviene market in, ancora gapingvoid), e dunque del comprare e del vendere come una delle modalità possibili della relazione umana.
La cosa essenziale in tutto ciò è il radicale ribaltamento della prospettiva: nel marketing la relazione umana-tanto-umana-troppo-umana (il marketing 1-2-1, fino al marketing della buona causa Emergency-style, ecc…) è strumento del fare mercato, dell’atto mercantile di vendita/acquisto.
”l’ingenua Cappuccetto Rosso si è aperta un account per l’accesso a Internet, ed è molto più sveglia di prima… ed è ormai in numerosa e crescente compagnia“
Nel post-marketing, nel Neo-mercato si va al mercato (come in altri luoghi) al fine di avere relazioni umane: anche l’atto mercantile di vendita/acquisto diviene strumento e occasione di ciò che davvero ha valore: la relazione.
Ecco perché il lavoro che sta facendo Hugh McLeod, nel senso di riconcepire i prodotti (da parte dei mercanti) come Social Objects, io direi come catalizzatori di relazioni umane, riveste un interesse profondissimo.
Andiamo un po’ al sodo, con qualche esempio.
Tutti i prodotti, naturalmente, possono essere Social Objects, ciascuno a proprio modo e misura. Fuor di dubbio però che ce ne sono alcuni che possono esserlo in maniera quasi obbligata. A me capita la fortuna di trovarmi ad avere a che fare con alcuni tra questi:
- Il vino e il cibo (San Lorenzo): c’è atto più sociale del mangiare e del bere?
- I libri e il loro futuro in forma di ebook (Simplicissimus Book Farm… a proposito, iscrivitevi alla mailing list sugli ebook, ho bisogno di scambiare idee su questo!): esistono semplicemente in quanto Social Objects, tanto che quando non lo sono vanno (meritatamente, seppur con grave danno ambientale ed economico, se sono di carta) al macero.
- Gli animali da compagnia (Aniwell): e qui il concetto di relazione si allarga dall’àmbito semplicemente umano a quello dell’esistente.
Ecco le cose su cui sto – ovviamente da procrastinatore cronico – meditando in quest’alba del 2008.
Una cosa concreta voglio però dirla subito riguardo al vino.
Mi è arrivata, sulla scorta di questi pensieri, come una folgorazione alla lettura di un post di Fiorenzo e ai successivi commenti qui:
sono certo che il vino abbia un potenziale ancora largamente inespresso, un valore che ancora nessuno (almeno in Italia) è stato in grado di cogliere. Sono convinto che questo potenziale e questo valore possano trovare in rete il luogo migliore per esprimersi ed essere condivisi. Sono convinto che sia maturo il tempo per una grande e importante iniziativa imprenditoriale, per un grande e importante mercato del vino online, che veda all’opera insieme le energie migliori che si stanno esprimendo.
Ecco perché, dopo un primo tentativo andato deserto, sono di nuovo a lanciare da qui l’idea di un VinoCamp, una non-conferenza sugli stati generali del vino in Italia, da fare però con un orientamento preciso: discutere di come mettere in piedi un vero, grande, bello, importante mercato del vino online in Italia.
Sepoffà?
Post-scriptum delle 19:23 di sabato 5 gennaio: mi accorgo ora, grazie a Twitter, che Federico Fasce ha pubblicato un post sul Social Object nel suo blog praticamente in contemporanea. Leggetelo e poi tornate qua. Secondo me Federico commette lo stesso errore che commettono qui sotto, nei commenti, Gianpaolo e Andrea, e a cui rispondo sempre nei commenti. Errore che rischia di fare anche gapingvoid. Non si tratta di creare SO, di fare di un prodotto un SO. Un prodotto, ogni prodotto, ogni cosa, è sempre, di per sé, un SO, un catalizzatore di relazioni. Il problema è capire di quante e di quali relazioni. E conviene farlo, perché, eccovi rivelato il Sacro Graal del Commercio, udite udite: il valore del (mio) prodotto è direttamente proporzionale alla quantità e qualità delle relazioni che catalizza. Relazioni di merda = prodotto di merda, per dirla con una fredda equazione.
secondo me il vino (dopo l’iphone 🙂 ) è il social object per eccellenza, quindi grande antonio e per qualsiasi camp vogliate fare, il mio ristorante è a vostra disposizione!!!
Sai benissimo che non ti potrai liberare di me.
Per allargare il ragionamento sul vino io vorrei dire che e’ tutta la filiera del vino ad avere un potenziale inespresso.
Prendi come funziona oggi il giochino:
1. io azienda mando il mio rappresentante in giro per clienti per vendere il mio portafoglio di prodotti, 5-8 vini al massimo.
2. il cliente fa l’ordine, ma mi deve comprare almeno 60-72 bottiglie, altrimenti i costi di trasporto e gestione sono alti.
3. lui magari non vorrebbe, ma lo fa ugualmente, tanto ha gia’ deciso che mi paghera’ piu’ o meno dopo un anno, quando finalmente al mio agente che nel frattempo sara’ passato altre 4 o 5 volte, fara’ il nuovo ordine per l’anno successivo.
4. io lo so che e’ cosi’, e per affrontare i grandi costi finanziari che questo presuppone, sono costretto a includere un costo per questo sistema nel mio margine.
5. nel frattempo il vino sta nei magazzini dei clienti per il tempo maggiore del dovuto; l’agente avra’ fatto il giro dei clienti a vuoto numerose volte; l’ufficio avra’ ripreso la fattura in mano 3 o 4 volte piu’ del necessario, facendo fax, lettere, telefonate; i corrieri continueranno a fare il loro lavoro con inefficienza e costi alti.
Si puo’ migliorare? Secondo me si’. Come? Parliamone.
Su gapingvoid: ci sono delle domande che ieri ci facevamo rispetto al fatto che tutti i prodotti dovrebbero essere Social Objects, altrimenti non hanno ragione di esistere. Il principale dubbio e’: come fai a far diventare un social object un ricambio auto, oppure un pacchetto di tovaglioli di carta, oppure un software di utilita’ noioso ma indispensabile. Eppure sono oggetti che hanno un mercato, fatti da aziende che li producono e li vendono. Il che si scontra un po’ con un altra affermazione di MacLeod che e’ quella che dice che se il tuo prodotto non e’ un Social Object non hai un mercato. Forse sarebbe piu’ corretto dire che alcuni oggetti possono e devono esserlo, ma altri? Tu che ne pensi?
Dopo aver letto MAcLeod e soprattutto questo libro
http://ohmymarketing.wordpress.com/2007/12/12/nuovo-libro-sul-comodino-marketing-non-convenzionale/
sono giunto alla conclusione che non tutti i prodotti (e tutti i vini) hanno bisogno di essere social (e viral) ma soltanto quelli le cui caratteristiche oggettive non bastano a descriverne le reali qualità.
PEr scegliere un lettore mp3 posso leggere le caratteristiche (GB, dimensione display…prezzo) ma in base a queste nessuno comprerebbe un ipod, per dato che è diventato cool e appena lo hai in mano ti rendi conto perchè tutti gli altri non ne valgono la metà in termini di usabilità, ecco allora ti è chiaro. Ma l’ipod è nato per essere viral con le sue cuffie bianche in un mondo di cuffie nere, la sua rotella a sfioramente in un mondo di pulsanti…etc…
Per il vino è un altro prodotto (e lo sai meglio di me) dove le caratteristiche oggettive che magari sono in etichetta (DOCG, uvaggio, alcol….) assolutamente non bastano nè servono a capire se ti piacerà o meno!
E quindi anche per il vino (come per i prodotti nuovi innnovativi e i cui veri PLUS non sono identificabili mediante la lettura di un fact sheet) c’è bisogno di pensarlo social e virale.
Ed ecco perchè magari la gente preferisce il Capatosta al Poggio Valente nonostante tu non becchi grappoli e bicchieri come loro!
Ti ho convinto?!?
per fare un esempio che capisca anche antonio (;-) dalle solo caratteristiche non avrei mai avuto voglia di comprarmi un Iliad e avrei optato per un Cybook o il Kindle, dopo aver visto il video “virale” dell’intervista su Pixel, invece…
Ahahahahah fantastico!
Ho visto la tua modifica sul BarCamp wiki prima di leggere questo post, e ho detto la mia su tumblr… facendo la stessa connessione tra vino e social objects 🙂
Perfettamente d’accordo, direi che è una strada da esplorare con passione, magari affiancandosi al filone dei WineCamp internazionali, l’ultimo dei quali dovrebbe essersi svolto in francia nei giorni scorsi.
Keep in touch (e buon anno!)
Ottimo Riccardo, le affinità non sono mai casuali! 🙂
Gianpaolo e Andrea… siete bocciati! 🙂
Evabbè, siccome sono buono siete solo rimandati a settembre, hehe.
Allora, seguitemi: non si tratta di “fare in modo che un prodotto diventi SO” (Social Object da ora in poi). Un prodotto *è sempre, di per sé, comunque, anche un SO, un catalizzatore di relazioni*. Se non lo fosse, nessuno se ne occuperebbe.
Il problema è:
1) relazioni di chi?
Da questo punto di vista ci sono prodotti-SO più universali di altri (un ricambio o un accessorio auto catalizza relazioni eccome, perfino di passione, per alcuni, do you remember MOMO, tanto per dire? Un vino, un telefonino, un libro ecc… sono da questo punto di vista catalizzatori, SO, molto più universali, coinvolgono molta più gente.
2) relazioni… quali?
Già, perché ogni prodotto è un SO, anche quando le relazioni che catalizza sono povere, sciatte, squallide, o negative ecc…
Il problema del mercante, quindi, non è “fare in modo che un prodotto sia un SO” (lo vedete che non ce la fate a liberarvi del marketing con la g, quello che deve “creare” una realtà che magari non c’è?). No, il problema del mercante è *aprire gli occhi*, e capire che un prodotto, ogni qualsiasi prodotto, compreso *il mio prodotto* è un SO, un catalizzatore di relazioni: ma sono tante o poche, buone o cattive, sciatte o curate, piacevoli o spiacevoli?
Ecco che l’accento si sposta sull’ascolto (per capire che relazioni sta catalizzando il mio prodotto) e sulla partecipazione “alla pari”, per “usare” il prodotto come SO anche per instaurare relazioni sperabilmente positive tra me (che lo produco, o lo vendo, o lo consegno, o lo riparo…) e chi lo usa (lo compra, lo regala, …).
Perché fare tutto ciò? Sedetevi, e tenetevi forte, perché sto per rivelarvi la Chiave di Volta del Commercio:
– perché il valore del mio prodotto è direttamente proporzionale alla quantità e qualità delle relazioni che catalizza.
Io non sono così sicuro che un prodotto sia sempre un catalizzatore di relazioni. Cioé, sicuramente buona parte dei prodotti lo sono, e la stragrande maggioranza dei prodotti creano relazioni almeno per qualcuno.
Ma esistono comunque prodotti a basso valore emotivo che non hanno alcun ruolo da SO: il dentifricio, per esempio.
In ogni caso il discorso che facevo di là su FB e su Google non cambia, anzi, mi sembra confermato da quello che dici: anche se FB sviluppa una quantità enorme di relazioni, la qualità di queste è così bassa da non renderlo – nel lungo periodo – un prodotto vincente.
Argomento interessante. Val la pena approfondirlo: ho la sensazione di esser stato troppo categorico nel mio post 🙂
Per il VINOCAMP ho già dato la mia disponibilità a partecipare — sperando che venga fatto entro certi limiti terrotoariali 🙂 — sono curioso di vedere e sentire il nostro AT. 🙂
giusto voi di everywine che fose siete gli unici a guadagnare due lire in italia con il vino online…
Ciao Antò, io ci sono.
Sul tema.
Ok, sono d’accordo, tutto può essere SO.
Però sarebbe interessante capire cosa si intenda con relazione o meglio, quando si intenda come instaurata o perfezionata.
Prendiamo per esempio la carta igienica: la relazione tra chi ne è fan / interessato / ambasciatore, semplice utilizzatore ecc. quando nasce ? Quando questa fa parlare qualcuno su quello specifico oggetto / strumento / servizio ?
Ma il discorso è se possibile anche più complesso. Credo che molti di voi converranno con me che una delle abitudini meno condivisibili dei nostri vicini d’oltralpe sia quella di NON avere o NON avere QUASI mai il bidé all’interno del bagno. O non c’è o sta in un altra stanza. Alla fine ci si può trovare in una situazione così scomoda che la carta igienica può diventare importante se non essenziale. Il bagno francese come il bosco.
Ma allora i social objects sono anche forieri di storie e una relazione non vive mai sola se non vuole spegnersi all’istante. Le relazioni sono interconnesse l’una con l’altra. Un po’ come quel gioco che uno dice acqua, l’altro dice azzurro, l’altro dice cielo, l’altro dice nuvole, ecc.
Divertente ! 🙂
abbi pazienza, ma non sono del tutto convinto. Che valore come SO ha il vetro del fanale della mia auto, opure le viti che lo fissano? Eppure sono prodotti fatti per il mercato, con un mercato ben preciso, con aziende che li producono, persone che li fanno, ecc. Mi pare che il concetto sia chiaro. Queste aziende esistono, e forse la maggior parte dei prodotti e’ fatta come quelli, come i tasti del PC dai quali sto scrivendo, ci sara’ bene qualcuno che li produce. Che SO sono qusti oggetti?
Forse una formula c’è …
Dato ad SO un valore da 1 a 100.
Il valore SO è non è uguale per tutti i prodotti, ma è direttamente proporzionale all’emotività stessa del prodotto.
E’ indubbio che il vino ,come tanti altri prodotti , conivolgano emotivamente più di un paio di viti per un fanale, e di conseguenza spingano ad instaurare maggiori relazioni sociali, ma secondo la teoria degli SO, anche le viti hanno cmq un loro valore potenziale.
@ andrea (burde)… sei troppo gentile.. ce ne sono molti altri che fanno meglio di noi. Noi semplicemnte cerchiamo di fare sempre del nostro meglio.
Ciaooooooooooooooooooo
Antonio, d’accordo su tutto ma hai dimenticato di ricordare che qualcosa del genere, seppure con un’angolatura particolare, lo faremo presto, con la tua regia ed il tuo contributo tecnico, con una discussione via skype e a più voci sullo state of the art del movimento dei wine blog in Italia. Da questa discussione penso potrebbero poi nascere altre discussioni e perché no, un wine camp, anche sul tema più specifico, “come mettere in piedi un vero, grande, bello, importante mercato del vino online in Italia”, da te proposto
Federico, Gianpaolo, e tutti gli altri: ma cribbio, non vi ricordate più di quando studiavate i limiti a scuola? Tutti i prodotti sono inevitabilmente SO, quali più quali meno. Quelli che lo sono poco lo saranno per un limite che tende a zero, e quelli che lo sono molto per un limite che tende a infinito. La sostanza non cambia: cambia e di molto l’atteggiamento. Non si tratta di “trasformare” il nostro prodotto per farne un SO, ma di capire che già lo è, e concentrarsi su che tipo di relazioni instaura, e su queli altri potrebbe instaurare ecc…
Quanto al vetro del fanale della tua auto, Gianpaolo, stai tranquillo che esiste senz’altro al mondo (sono certo basterebbe una googlata ben fatta per dimostrarlo) più di un car-geek che saprebbe ben distinguere tra un vetro e l’altro.
Nella mia vita precedente mi ritrovai a vendere antenne di telefonia mobile e satellitare per automobili: beh, vi garantisco che c’è dietro un mondo straordinario, e relazioni tutt’altro che “misere”.
Ciò detto, la cosa è pura matematica, riducibile a formula: *il valore di un prodotto è direttamente proporzionale al valore del rapporto tra la quantità e la qualità delle relazioni che genera o in cui si trova coinvolto.
Questo spiega perché io condivida totalmente l’opinione di Federico su Facebook: mentre la quantità di relazioni è per definizione un numero positivo, e sta al numeratore, la qualità delle relazioni è un valore che può essere anche negativo, e quindi un prodotto che ha al numeratore un numero grande e al denominatore un numero negativo ha valore negativo. E più aumenta la quantità (numeratore) più “negativo” diventa il suo valore.
Per tornare al vino: io non ridurrei il VinoCamp a filosofia, ma punterei al sodo. Al di là dei dettagli su cui potremmo discutere, mi pare che qui siamo d’accordo su quel che intendiamo con vino come SO, e mi piacerebbe sfruttare l’occasione, se ce la facciamo, per mettere a fuoco una concreta idea di business e verificare la sua fattibilità sotto i vari aspetti.
Da ultimo a Franco Ziliani: no Franco, non credo che si tratti della stessa cosa. Quello che tu hai in mente, sulla falsariga di quanto fatto in America, è un confronto sullo stato del food-blogging. Al VinoCamp invece, di blog, sinceramente, proprio non vorrei parlare 🙂
Eh, dal Tombolini c’è sempre da imparare 🙂
Allora Antomio, allargarlo al “non-on-line”, no?
Bella l’idea di un grande mercato del vino.
Quello che tu, Antonio, hai in mente è una vetrina dei vari produttori all’interno di un portale? Uniformare l’interfaccia utente-produttore in maniera che tutti abbiano uno spazio “uguale”, ma organizzata come una specie di blog, di social network, in cui i fruitori si possano mettere apprezzamenti, suggerimenti e critiche?
(p.s.: a me è capitato di parlare di dentifricio e di carta igienica con gli amici)
[…] Antonio Tombolini propone il VinoCamp, ma faremo addirittura di meglio … Mi è arrivata, sulla scorta di questi pensieri, come una folgorazione alla lettura di un post di Fiorenzo e ai successivi commenti qui: […]
@gianpaolo, offline… e chi ha detto di no? 🙂
@federico, dai, non dirmi così che mi fai sentire più vecchio di quello che sono! 😛
@Yuri: più semplice, Yuri, più semplice. Non una vetrina all’interno di un portale (roba vecchia, già nel linguaggio, non trovi?). Bensì una grande Piazza del Vino, con tutte le bancarelle dei produttori, e tutto il vino che c’è lì acquistabile, ovviamente, sia da privati che da operatori. Un servizio eccellente (dalla selezione dei vini, alle info, agli eventi, agli imballi, alle consegne, ecc…) e orientamento alla sociality, alle relazioni, che devono essere visibili e al centro di ogni cosa.
PS A me per l’ultimo dell’anno una coppia di amici ha regalato un tubo con dentro 4 rotoli di splendida carta igienica rosso fuoco! 😀
OK, ora bando alle chiacchiere: facciamo ‘sto VinoCamp? Vi va di mettere ipotesi di data e di luogo nel sito deputato? Sia chiaro, non sarò io a trainare: se VinoCamp ha da essere, che sia, se no amen:
http://barcamp.org/VinoCamp
Ma per fare del vino, quello bono, un prodotto SO (Social Object) basta farlo costare un CA (zzo). Mi sembra semplice, scontato e ovvio.
[…] network, è proprio un social object. (Qui si possono leggere vari esempi di Social Object. Anche Antonio Tombolini e Federico Fasce parlano dei social object, presentando diversi […]
Corsaro, sai che questa non l’ho capita?
[…] entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site. Antonio Tombolini propone il VinoCamp, ma faremo addirittura di meglio … Mi è arrivata, sulla scorta di questi pensieri, come una […]
[…] entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site. Antonio Tombolini propone il VinoCamp, ma faremo addirittura di meglio … Mi è arrivata, sulla scorta di questi pensieri, come una […]
[…] entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site. Antonio Tombolini propone il VinoCamp, ma faremo addirittura di meglio … Mi è arrivata, sulla scorta di questi pensieri, come una […]
[…] entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site. Antonio Tombolini propone il VinoCamp, ma faremo addirittura di meglio … Mi è arrivata, sulla scorta di questi pensieri, come una […]