Sento annunciare con grande pompa una novità di livello addirittura “mondiale“: BookRepublic fornirà a MLOL (a pagamento, non saprei di quanto) che a sua volta offrirà alle biblioteche (a pagamento, non saprei di quanto) gli ebook di alcuni editori. Ecco la novità, come da apposito comunicato stampa:
In base all’accordo le oltre 2.300 biblioteche italiane aderenti alla piattaforma MediaLibraryOnLine (MLOL) potranno dare in prestito ai propri utenti gli ebook contrassegnati con watermark (o Social DRM) distribuiti da Bookrepublic. Ed è proprio in questo particolare che sta la rivoluzione. Se la protezione “DRM Adobe” poneva limiti per gli utenti (di tempo e di supporti), il contrassegno chiamato “watermark” questi limiti non li ha più: ogni ebook indicherà al suo interno la biblioteca di origine del prestito e altri dati relativi all’utente e al download, rendendo così tracciabili eventuali usi impropri. Ogni utente accreditato avrà la possibilità di scaricare un ebook ogni 14 giorni. Scaricata la copia, il titolo rimarrà occupato per i 14 giorni successivi e sarà soltanto prenotabile da altri utenti (a meno che la biblioteca non ne abbia acquistate più copie).
La novità, pare di capire, è tutta e solo nel fatto di non fare uso della tecnologia DRM di Adobe. Pessima tecnologia, per inciso, ma l’unica ad oggi in grado di gestire, su un numero sufficiente di device, una limitazione che a me pare essenziale al concetto stesso di prestito: quella temporale, la durata. Senza durata predeterminata, senza un termine posto alla fruizione, di qualsiasi bene si stia parlando, non c’è né può esserci prestito. E chi si occupa di libri dovrebbe aver caro l’uso delle parole.
Forse però sono limitato io, e mi sfugge qualcosa: vi prego dunque, convincetemi del fatto che si possa ottenere un prestito senza limiti di tempo, e mi precipiterò subito in banca a chiederne uno.
La vera mistificazione (parola forte, mi rendo conto, ma è quella che ci vuole), però, è un’altra: si dà fiato alle trombe di una presunta (e fasulla) novità mondiale, nel momento in cui si pone in atto, confermandolo, il modello dominante ovunque, a partire dagli USA, di prestito degli ebook, totalmente insostenibile (e infatti negli USA sta ormai progressivamente crollando, con gli editori che si sfilano giorno dopo giorno). Modello che se poi viene applicato, come accade, alle biblioteche civiche, che spendono denari pubblici (cioè nostri) diviene a mio avviso addirittura moralmente inaccettabile.
Ho provato a spiegarlo mille volte, l’ho spiegato anche al Congresso Nazionale Bibliotecari, apparentemente non contestato e approvato da tutti, eppure niente, si continua su quella strada. OK, rispiego tutto per l’ennesima volta, seguitemi.
Ecco cosa succede oggi negli USA (prima tra tutti Overdrive), ed ecco cosa succede anche in MLOL, compresi i titoli di BookRepublic di cui all’annuncio odierno, compresi i titoli di Edigita, e comprese altre piattaforme come MLOL che si accingono a fornire ebook alle biblioteche:
- L’editore, o il distributore che rappresenta più editori, o la piattaforma specializzata per le biblioteche che distribuisce i distributori (anche questa poi…), va alla biblioteca e gli dice “guarda quanti bei titoli ho in catalogo, ti piacerebbe averli disponibili come ebook da poter prestare?“.
- “Ma certo!“, risponde la biblioteca, che ovviamente cerca di fare il suo dovere, consistente (anche) nel disporre di libri da dare in prestito.
- “Bene, riprendono gli altri, ecco cosa devi fare: fai finta che siano come i libri di carta, dimmi quali titoli vuoi e quante copie di ciascun titolo vuoi, e mi paghi un prezzo per ogni copia. E già che ci siamo magari mi anticipi anche un tot di prezzo a prestito, facciamo tipo una ventina, che mi pagherai anche se mai nessuno chiederà quel titolo“.
Lo ripeto, vorrei fosse chiaro: stiamo parlando di denaro pubblico!
Ecco, tutto ciò è assurdo, secondo me. Fossi io il bibliotecario risponderei così:
“Ma come signor distributore, tu metti a disposizione TUTTO il tuo catalogo, con TUTTI i tuoi titoli presso TUTTE le librerie online, da Amazon in giù, senza che questi debbano pagare nulla, e da me invece vuoi dei soldi subito? E perché mai? E poi per cosa? Per fare in modo che io biblioteca sia costretta, come nel mondo di carta, a fare l’indovino, rischiando sistematicamente di pagare per titoli che nessuno vorrà mai in prestito, o all’inverso non comprando copie sufficienti di libri che molti vorrebbero in prestito anche contemporaneamente? E dove sarebbero i vantaggi del digitale?“.
Ecco allora cosa bisognerebbe fare con le biblioteche:
- i distributori integrano i loro sistemi con le biblioteche (o con le piattaforme che le rappresentano, ammesso che siano necessarie, e comincio ad avere forti dubbi), così come già fanno con le librerie online, consentendo alle biblioteche il pieno accesso e la piena disponibilità di un numero illimitato e concomitante di licenze su tutti i titoli disponibili
- la biblioteca, così come la libreria online paga solo l’ebook che ha venduto nel momento in cui ha venduto, paga al distributore SOLO l’importo concordato per ogni prestito nel momento in cui fa il prestito.
Non è difficile, giusto? E consentirebbe una effettiva soluzione ai problemi di insostenibilità economica dell’assetto cartaceo. E taglierebbe tutti gli sprechi consistenti nello spreco di denaro pubblico per cose che nessuno chiederà mai. Ma nessuno lo fa. Anche voi, perdonatemi, amici bibliotecari: tutti lì a battermi le mani al vostro congresso, perché certo che dev’essere così, però poi tutti pronti ad accettare i diktat dei vari distributori e delle varie piattaforme, che vi impongono le loro condizioni, e a cui voi vi assumete la responsabilità di destinare, del tutto innecessariamente, denaro pubblico.
E tutti oggi a gridare urrà perché, udite udite, nientedimeno, l’utente può scaricarsi gratis ogni 14 giorni un ebook e quello manco gli si cancella dall’ereader (sottinteso: chi l’ebook invece se lo compra, evidentemente è scemo).
Ecco perché se con STEALTH ci muoveremo, distribuendo i nostri editori presso le biblioteche, sarà se e solo se qualcuno si deciderà a sposare il modello pay-per-rent, facendo pagare alle biblioteche civiche (coi soldi di tutti noi!) solo ed esclusivamente un importo (molto contenuto) per ogni singolo effettivo prestito che faranno. Così la biblioteca non dovrà spendere soldi (pubblici) per “comprare” ebook che nessuno chiederà mai in prestito, né si troverà a rifiutare il prestito di un titolo perché “non l’abbiamo comprato” o perché (ridicolo!) “è già in prestito” presso un altro utente.
Ma non basta: ci muoveremo così solo ed esclusivamente su un piano di parità. Per essere più chiari: finché le biblioteche daranno spazio alle modalità già attivate, per non fare nomi, da Edigita e da BookRepublic, pagando a costoro un tot a titolo di acquisto “a prescindere” (cosa che a nessuna libreria online con scopo di lucro Edigita e BookRepublic si sognano di chiedere!), e un tot di prestiti “a prescindere“, noi non renderemo disponibili i titoli degli editori da noi distribuiti. O li renderemo disponibili solo a quelle biblioteche che rifiuteranno l’altro modello, cominciando finalmente a far valere sul serio il loro ruolo di civica istituzione.
Ma non basta ancora, cari amici di BookRepublic e cari amici di MLOL: non ho bisogno di dimostrare a nessuno cosa penso io dei DRM di Adobe, ovvero tutto il male possibile. Sono cervellotici, fatti male, e fatti per non far leggere ebook alle persone normali. Lo scrivo dal 2005, quando molti di voi, sugli ebook, avevano idee ben diverse da quelle che per fortuna hanno oggi. Ciò detto però tollero ancora meno ormai la demagogia dei cosiddetti Social DRM spesa a vanvera a ogni pié sospinto: se mai ci decideremo a rendere disponibili, alle condizioni di cui sopra, gli ebook dei nostri editori per il prestito bibliotecario, ebbene quegli ebook (che vendiamo come è noto nella quasi totalità SENZA DRM) per il prestito bibliotecario saranno muniti di DRM a tempo (per ora di Adobe, sono gli unici disponibili, se ce ne saranno di migliori ben vengano) atti a limitare il tempo di fruizione del file alla durata effettiva del prestito. Senza di che non si capisce perché mai gli editori dovrebbero alimentare un canale di prestito accanto ad un canale di vendita vero e proprio.
AUGH! 😀
Uh uh! Beh a me non sembra tanto male, almeno e’ un modo legale con una licenza apposita perche’ le biblioteche possano acquistare e dare in prestito ebooks senza gli impicci che il drm Adobe può causare agli utenti. Che poi ci possano essere modelli migliori non lo scopriamo adesso… Ci si arriverà, intanto questo e’ almeno un passo. Mi dici quale altro caso conosci di prestito di ebook con watermark per cui giudichi l’annuncio addirittura una mistificazione? (disclosure: Ledizioni che rappresento e’ fra gli editori aderenti a questa proposta, nonché aderente a stealth. Ledi partecipa alla realizzazione del sistema di watermark lending)
“convincetemi del fatto che si possa ottenere un prestito senza limiti di tempo, e mi precipiterò subito in banca a chiederne uno”… io ci andrò lunedì, chissà cosa mi risponderà il direttore…
Antonio, qualche riflessione da parte di una persona che lavora (come operaia) in una biblioteca pubblica.
In primo luogo, “il bibliotecario”. Come tende a fare un altro grande dell’editoria che amiamo, Mario Guaraldi, tu parli come se esistesse qualcosa che si possa chiamare “il” bibliotecario in un modo che non ha corrispettivi nella realtà. I bibliotecari non sono né una forza economica né qualcosa di somigliante a un ordine professionale. Sono nel peggiore dei casi umili impiegati sottopagati che si trovano a fare quel lavoro per caso, e nel migliore umili impiegati sottopagati che riescono a dare un servizio ai cittadini lavorando contro amministrazioni pubbliche che non li sostengono e dirigenti la cui professionalità appartiene ad altre ere (in alcuni casi, geologiche).
Se parliamo di biblioteche pubbliche in particolare, non esiste per costituzione alcuna forma di coordinamento fra la piccola biblioteca di un paese e quella del paese a fianco, a meno che non si creino (nei limiti imposti dalla iperburocratica legislazione sugli enti pubblici) consorzi che costano mesi di lavoro solo per nascere. Uno dei pochissimi consorzi esistenti di questo tipo è appunto quello delle biblioteche che stanno dietro a MLOL. Ma anche fatto questo sforzo, è un sogno immaginarsi che organismi di questo genere abbiano di per sé un potere di contrattazione forte. Non ce l’hanno, perché le biblioteche non sono attori alla pari nel mercato dell’editoria.
E le biblioteche non sono attori alla pari perché il loro scopo è far sì che i i libri (gli ebook ecc.) siano resi disponibili a persone che, altrimenti, non andrebbero in libreria a comperarseli. Se ci focalizziamo sulla funzione distributiva della biblioteca (lasciando stare altre cose come l’aggregazione sociale, l’information literacy, la conservazione), la questione è tutta qui. Sicché il prestito digitale pure senza restituzione (chiamiamolo come vuoi, cessione, vendita…) non mi pare in concorrenza con la vendita dell’ebook al cliente che paga come il prestito del libro di carta non è in concorrenza col lavoro delle librerie. Personalmente, da lettrice, ho smesso di comprare libri di carta da anni, e non mi sono messa a comprare ebook quando sono arrivati: aspetto che sia la biblioteca a fornirmeli e sarò molto grata alla biblioteca che mi eviterà il fastidio di dover imparare a togliere il DRM.
Tutti applaudono al tuo modello, ma poi non si comportano di conseguenza. Vero, e dovuto al fatto che gli organismi pubblici sono ancora concepiti con la stessa autonomia di movimento e la stessa leggerezza della caserma dei gendarmi di Pinocchio. Ma allora proponilo tu, questo modello, ma proponilo in un modo che sia attuabile realisticamente. E un aut aut come quello che proponi non lo è. MLOL è anche una piattaforma tecnologica, migliorabile, ma che funziona e costa poco: se credi veramente che i distributori possano integrare i loro sistemi con le biblioteche facendo a meno di interfacce tecnologiche create da terze parti stai guardando un film di fantascienza. Esistono ancora infiniti casi in cui le biblioteche non hanno neppure un sito web su cui possano aggiornare in tempo reale gli orari di apertura, figuriamoci un’infrastruttura di questo tipo. E se poi non dev’essere MLOL sarà un’altra piattaforma, e ben venga la concorrenza. Ma oggi, Antonio, il tuo ragionamento taglia fuori te e i tuoi editori, e impedisce ai cittadini per cui io tento di lavorare di godere delle loro opere. Ne usciamo tutti sconfitti, no?
Sorvolando, in questa sede perchè ne ho già parlato in altre, su punti che però ritengo assai interessanti come quello dell’accesso vs possesso, della contemporaneità dei prestiti, del limite dei 14 giorni, del pagamento da parte delle biblioteche per ogni transazione di prestito, tutti importantissimi e a parer mio da risolvere nel futuro, vorrei soffermarmi su un passaggio dell’intervento di Virginia: “E le biblioteche non sono attori alla pari perché il loro scopo è far sì che i i libri (gli ebook ecc.) siano resi disponibili a persone che, altrimenti, non andrebbero in libreria a comperarseli.”
Giorni fa, Ferrerio, lanciava l’idea di far pagare un tot. ai lettori (attenzione, non alle biblioteche) per ogni transazione di prestito. Che ci sia in questo proprio il tentativo di abbracciare una fetta di clienti altrimenti non raggiungibile? Quando si dice che le vie del signore sono infinite…
Concordo poi con la collega sull’analisi del potere contrattuale delle biblioteche e ti sollecito anch’io a proporre un modello che sia attuabile realisticamente. Non ci sembrerebbe vero di avere la possibilità di scegliere tra differenti proposte.
Virginia, Marilena: sottoscrivo tutto quel che dite qui, e raccolgo l’invito, vi prometto che ci proverò.
A voi però, ma soprattutto a Nicola (strano caso – anche se non unico – di editore con più distributori, non si capisce perché, ma questo è un altro discorso), vorrei sottoporre qualche altra osservazione.
Se quel che io propongo è più giusto (mi pare che tutti dicano così), resta allora da capire come mai nel piccolo (BookRepublic, Edigita) e nel grande (Overdrive, Ingram, Amazon…) nessuno degli operatori lo faccia, e tutti si affidino all’altro modello, quello che insisto a definire “mistificante” (un prestito che non è un prestito, l’acquisto non necessario di ebook e licenze che nessuno userà mai, e spreco di denaro pubblico). Faccio peccato a dire che fanno così perché, finché dura, gli conviene? OK. Che almeno però non si mascherino da eroi benefattori e paladini della causa delle biblioteche. Ma vengo anche a loro, e a MLOL: mi dispiace, ma non accetto neanche da loro la logica del “beh, intanto c’è questo, prendiamo questo che è meglio di niente”. E no, amici miei, questo È peggio di niente! Ecco perché, seguitemi: uno dei vantaggi del digitale consiste nel poter meglio dare pari opportunità ai titoli di piccoli editori, a quelli di nicchia, a quelli ultraspecialistici, che nel mondo di carta e delle librerie sono penalizzati perché antieconomici. Ma cosa succede se una biblioteca deve a priori decidere di spendere soldi su certi titoli e non su altri, di comprarsi più “copie” (questa è la cosa più indigeribile!) di certuni piuttosto che di cert’altri? Non sarebbe forzatamemte portata a privilegiare i soliti noti, con la stessa logica delle librerie mainstream, venendo meno a un’altra delle sue funzioni? Il tutto, si badi bene, mentre le librerie, insisto, che sono imprese con fini di lucro, beneficiano invece da parte degli stesso operatori, come è giusto, di tutti i titoli senza tirar fuori un centesimo. E perché questi così magnanimi benefattori non lo consentono invece alle biblioteche? A volte, per andare nella giusta direzione, bisogna cambiare quella che si è intrapresa. E quella intrapresa, caro Nicola, non è “qualcosa”, non è “meglio di niente”, non è “un passo avanti”, no. È un passo nella direzione snagliata. Per questo, Virginia e Marilena, magari noi di Simplicissimus ci proveremo a proporne uno nell’altra direzione, ma per questo non potrà che essere “alternativo”, non si possono fare contemporaneamente passi avanti e passi indietro.
A me pare che, con la sua “provocazione”, Antonio abbia messo l’accento su alcuni punti che spesso vengono taciuti o sottaciuti:
1) per ora nessun modello di digital lending può ritenersi soddisfacente, o almeno ugualmente soddisfacente per tutti gli attori in campo. Occorre quindi continuare la ricerca, nel modo più aperto possibile. L’accordo BR-MLOL ha sicuramente il merito di incamminarsi su una strada liberata dai DRM e di aver tolto l’obbligo di “restituzione” della copia prestata. Ma, dal punto di vista economico, la formula scelta non è così favorevole come viene annunciato un po’ propagandisticamente, almeno per le biblioteche, le quali dovranno pagare a) un canone; b) l’ebook a prezzo di copertina; c) € 0,50+ Iva per ogni download. In questo modo il prezzo finale è sicuramente superiore a quello della corrispondente copia cartacea, se l’ebook totalizza almeno qualche prestito. Non so su che conti si basi Nicola per argomentare diversamente, ma a me sembra che le cose stiano così.
2) l’abbattimento della differenza tra prestito e acquisto (condivido l’osservazione di Antonio: il fattore tempo è alla base del concetto di prestito), anche se inizialmente e apparentemente può costituire un appetitoso vantaggio per il lettore, rischia poi di alimentare un circolo perverso che si ritorcerà contro biblioteche e lettori. Alimenterà la presunta concorrenzialità di prestito e acquisto, scontenterà molti editori, che quindi non sottoscriveranno l’accordo, priverà le biblioteche di un’importante funzione dei mediazione culturale ed editoriale, tenderà ad appiattirle nel ruolo di distributori di download.
Il punto che a me sembra però più discutibile di tutti è la proporzionalità che l’accordo stabilisce tra costi per la biblioteca e numero di prestiti effettuati. In sostanza, un incentivo capovolto, che mette in ulteriore difficoltà ogni politica di promozione della lettura e di diffusione dell’ebook e rischia di pesare come una tassa su ogni prestito conquistato. Bisognerebbe andare oltre i due capisaldi del digital lending per come si sta configurando anche nel nostro paese: il meccanismo one copy one user e il sistema del pay-per-download. Il primo fondato sull’imitazione dell’analogico e il secondo sulla sua dematerializzazione. Da questo punto di vista non mi pare che la proposta di Antonio del pay-per-rent si differenzi sensibilmente. E anche mettere sul conto delle biblioteche solo ciò che viene effettivamente scaricato dai lettori, benché più equo come meccanismo, rischia di togliere alle biblioteche ogni discrezionalità negli acquisti, ogni funzione di orientamento e di aggregazione, non dei contenuti, ma dei lettori. La biblioteca paga il conto, ma non decide più nulla.
Se vogliamo, o dobbiamo, continuare a imitare l’analogico, perché non farlo proprio negli aspetti che riguardano la funzione della biblioteca come responsabile della collezione e del suo accrescimento, come agenzia di servizi e di consigli per il lettore? La biblioteca dovrebbe poter scegliere i titoli, cartacei o digitali, acquistarli, pagarli il prezzo di copertina o il prezzo che può sortire da una responsabile contrattazione tra le parti, e, una volta avutoli in consegna, farli fruttare quanto più può, prestandoli, promuovendoli, discutendoli, facendoli leggere. E non avendo altro interesse, altro tornaconto, che questo. Se no a cosa servono, a cosa serviranno, le biblioteche?
Mi scuso per un errore di battitura nel precedente commento, la persona di cui parlavo era Ferrario e non Ferrerio e il riferimento ai lettori, che citavo, si trova nella parte finale del suo post, pubblicato pochi giorni prima del lancio dell’accordo MLOL-BookRepublic:
“Ripeto e sottolineo. Le biblioteche possono essere un partner molto prezioso per gli editori che vogliono sperimentare forme innovative di relazione diretta con il lettore.
Un editore con il quale ho discusso di questo argomento ha aggiunto un pezzo a questo ragionamento che mi sembra bellissimo. E perchè non chiediamo al lettore che prende in prestito un libro una cifra molto piccola (si parlava di 10, 20 centesimi) che diamo direttamente all’autore? L’autore vedrebbe riconosciuto e remunerato il suo diritto e il lettore sarebbe indotto a riconoscerlo.
Ci sono, in giro, editori rivoluzionari.”
http://blog.bookrepublic.it/2012/02/19/ebook-in-prestito-ha-senso-restituirli/
Credo che semplicemente il mondo degli editori voglia cancellare il prestito. Tutti questi sono aggiustamenti parziali con tecnologie che si superano in fretta da sole in vista di una eliminazione del concetto stesso, che poi valga per le biblioteche oppure per i privati (non fermiamoci agli interessi della biblioteca) ha poca importanza. Il prestito delle biblioteche per i libri analogici oggi non è affatto gratuito e purtroppo lo sa bene Ferrieri, anche se l’informazione sul relativo “conto” nel bilancio dello stato non circola mai. Il prestito digitale ha anche il costo dell’IVA al 21% in quanto digitale: un’assurdità dietro l’altra. A me pare che VERAMENTE il mondo digitale stia cambiando i paradigmi di tutto e che il momento che stiamo vivendo sia IBRIDO nella forma e nei contenuti. Le soluzioni sono tutte approssimative, temporanee, “pezze” su una tela più grande, nessuna perfetta/definitiva: si sperimenta più che scegliere. Quello che vorrei evitare è la persistenza di un altro modello analogico: che una scelta fatta poi ti leghi per l’eternità alla stessa (abitudine dell’utente, diffusione generale, ecc.). Insomma, avete ragione tutti quanti! Antonio E Giulio E Nicola da una parte, Virginia e Marilena dall’altra. E per riprendere l’ultimo mex di Marilena sulla retribuzione diretta agli autori: visto lo scandalo SIAE, non è detto che finalmente salti, e che si possa arrivare proprio lì.
[…] la principale differenza tra prestito e acquisto. Su questo si sono appuntate le affilate critiche di un altro protagonista del mondo dell’ebook italiano, Antonio Tombolini, creatore […]
Ho letto con molto interesse il dibattito in corso. Ho qualche dubbio che esplicito con l’obiettivo di alimentare la discussione.
1) Se il fattore tempo può essere considerato parte essenziale del concetto di prestito, non mi riesce di comprendere come anche l’atto della restituzione debba essere incluso nella nostra nozione di biblioteca (digitale). Siamo portati ad assumere la corrispondenza fra questi due termini perché nel “mondo fisico” l’attività della restituzione è la condizione necessaria affinché un documento in uso (cioè temporaneamente “sottratto” alla biblioteca) possa tornare disponibile nella collezione, entro un tempo definito, per consentire un nuovo accesso. Ma quando la condizione di disponibilità all’uso pubblico (la vera funzione della biblioteca) può essere garantita anche in assenza di restituzione, perché continuare a pretenderla (intendo: se e quando il mercato non la richiede)?
Non è forse questa la funzione della biblioteca: rendere disponibile un contenuto informativo e garantirne, a tutti, sebbene talvolta in tempi diversi, l’accesso pubblico (gratuito)?
Dal punto di vista dell’editore invece le riflessioni di Luca mi hanno in parte persuaso. Un utente “preleva” da una biblioteca pubblica (quindi gratuitamente) un titolo che entra definitivamente a far parte della sua collezione personale. Perché mai questo utente dovrebbe acquistare quel titolo (semmai fosse interessato a farlo) se ottiene lo stesso risultato con un prestito gratuito? Di qui il “circolo perverso”…
Ma… Se il “mondo digitale a venire” stesse anche realizzando un mutamente di paradigma per il quale diviene sempre meno rilevante per tutti (biblioteche, editori, librerie, ecc.) la distinzione fra accesso (con o senza restituzione virtuale) e possesso? Non potrebbe essere che nel “mondo digitale a venire” la collezione personale “contenuta” in un ebook reader sia percepita da una persona tanto remota (virtuale?) quanto quella conservata nel server (della biblioteca? dell’editore?) a cui potrà comunque accedere “just in time”? Quale di queste realtà è più “sua”?
E se, di conseguenza, in quel “mondo digitale a venire” la corrispondente differenza di funzione (acquisto e prestito) che oggi attribuiamo in modo univoco (a librerie e biblioteche) perdesse del tutto (o in gran parte) il suo significato? (per intenderci: non solo per le biblioteche rispetto all’”acquisto” ma anche per le librerie rispetto al “prestito”?).
Questo significa che il “mondo digitale a venire” realizzerà la metafora di Hegel? Quella della “notte in cui tutte le vacche sono nere”? O peggio (e di conseguenza)! L’incubo di un accesso alla conoscenza del tutto sottratto allo spazio pubblico?
Niente affatto. Almeno se, come credo, resterà valida la distinzione più “profonda” fra accesso/possesso privato (a pagamento; nelle diverse forme possibili, acquisto, abbonamento, ecc.) ed accesso/possesso pubblico (gratuito ma non illimitato). Distinzione che continuerà a trovare giustificazione nelle finalità pubbliche di accesso alla conoscenza e fondamento nel fatto che sarà sempre necessario definire condizioni che regolamentano (cioè alla fin fine limitano) l’accesso pubblico (che ha precisi vincoli di bilancio) con l’obiettivo di estendere i benefici (“redistributivi” in termini di finanza pubblica) al maggior numero possibile di cittadini (ad esempio: differimento dell’accesso, numero massimo di accessi concorrenti o per utente, e così via..).
2) Il secondo dubbio riguarda la scelta. Pongo la questione brevemente ed in termini espliciti. La scelta del bibliotecario nel “mondo fisico” è necessaria. Se l’offerta deve essere limitata (da ragioni di costo e di spazio) occorre decidere con quali titoli costruire una collezione. Ma se l’offerta “virtuale” (pubblica) di titoli (cioè prima della decisione dell’utente) potrebbe non avere limiti (che non siano di natura economica o di accesso) perché decidere a-priori di ridurla? E’ una domanda aperta. Scegliere di farlo significa attribuire alle biblioteche, in un certo senso, un ruolo editoriale. Il che ha anche senso. Rilevo solo che “non scegliere” non impedisce di per sé alla biblioteca di continuare ad esercitare un suo ruolo di mediazione fra lettore e informazione.
La mia impressione è che non esista (e forse non possa costitutivamente esistere) un unico modello di digital lending. Cioè un modello che sia, per le biblioteche, sempre preferibile con riferimento a tutti i contesti di servizio e per tutte le tipologie di collezioni. In linea generale ritengo che il digitale debba essere per le biblioteche pubbliche l’occasione per perseguire contemporaneamente l’obiettivo della crescita dell’offerta di contenuti (oltre i limiti imposti dal “reale fisico”) e di ridurre i costi di accesso. Ovvio. Ma, più concretamente, credo che questo obiettivo debba (e possa) essere perseguito misurando le soluzioni caso per caso. Un esempio? I modelli proposti da Luca Ferrieri e da Antonio Tombolini riceverebbero valutazioni diverse (almeno in termini di convenienza economica) se fossero applicati a collezioni caratterizzate da opposti indici di circolazione. Tanto più è elevato l’indice di circolazione di un titolo quanto più risulta conveniente il modello (di acquisto) proposto da Ferrieri. E viceversa. Per un’ampia parte della collezione (a bassa circolazione) sarebbe conveniente adottare la soluzione proposta da Tombolini (che consentirebbe anche di perseguire con maggiore efficacia l’obiettivo di offrire agli utenti una maggiore quantità di titoli).
La riflessione che Serena fa quando dice “Quello che vorrei evitare è la persistenza di un altro modello analogico: che una scelta fatta poi ti leghi per l’eternità alla stessa (abitudine dell’utente, diffusione generale, ecc.)”devo dire che inquieta non poco anche me. E quindi la rilancio, perchè, per le biblioteche che si apprestano a fare la scelta di una piattaforma di distribuzione di contenuti digitali questa credo sia una delle prime preoccupazioni.
Sarà possibile avere libertà di movimento nel momento in cui sul mercato si affacceranno nuove e più soddisfacenti proposte?
E se si, cosa andrà perduto nel passaggio da una piattaforma ad un’altra?
Oggi, con l’analogico, abbiamo la certezza che il libro (o qualunque altro documento), una volta acquistato rimarrà in biblioteca e potrà essere prestato per un numero infinito di volte fino al suo logoramento.
Col digitale, allo stato delle cose, sarà ancora possibile tenerne copia per la consultazione. Ma avremo ancora la possibilità di darla in prestito una volta effettuata la migrazione da una piattaforma ad un’altra? Credo di no, a meno che, cosa improbabile, a tutte le piattaforme non aderiscano gli stessi editori. Ma anche in questo caso, dovremo riacquistarla o “fara fede” il primo acquisto?
Ecco, tutti dubbi che, a parer mio, devono far ponderare bene i rischi che si corrono nel fare una scelta, che va comunque fatta, e ai quali gli editori, i distributori e i bibliotecari devono poter dare una risposta insieme, pena il rimanere al palo. Per tutti.
Come al solito arrivo buon ultimo; e solo per riproporre tal quale il mio pensiero così come risulta dal finale della Conferenza tenuta alla Braidense di Milano nell’Aprile 2010:
“Davvero il sistema bibliotecario mondiale, nelle sue mille sfaccettature e caratterizzazioni , può essere paragonato al sistema di circolazione sanguigna nel corpo umano: qui pulsa il sangue della cultura .
Non ho nessun pregiudizio nei confronti dei circuiti commerciali: mi limito ad osservare che essi bastano a loro stessi. Il criterio di selezione di un best-seller attiene alle regole del mercato. Il libro-merce, mi sta benissimo. Basta trattarlo per quello che è: una merce. Ma il libro a contenuto culturale e scientifico è ben altra cosa. Confondere i due libri, indipendentemente dal fatto che siano fatti entrambi di carta o siano entrambi in veste e-book, sarebbe un errore clamoroso.
Io credo che il mondo bibliotecario debba fare sentire chiaramente la propria voce nell’agone attuale, dicendo con chiarezza che cosa chiede al mondo dei produttori di contenuti che posseggono anche il Copyright degli stessi (con esclusione cioè dei fornitori di servizi di self-publishing a pagamento che per l’appunto non posseggono alcun diritto sui titoli che pubblicano in maniera mercenaria). (…)
Così come ogni libro nasce col proprio ISBN così l’editore digitale dovrebbe imparare a dotare il suo e-book di tutti gli standard suggeriti dal sistema bibliotecario per garantire il suo utilizzo remunerato e la sua fisiologica circuitazione su scala planetaria.
Mi domando anzi, a costo di ripetermi, se non sia pensabile che i sistemi bibliotecari nel loro complesso possano divenire fisiologicamente anche il circuito privilegiato di vendita di quello stesso contenuto digitale che viene dapprima offerto in prestito.
Nell’attuale “babele” di interessi, più che di formati o di standard , l’esigenza culturale e scientifica del fruitore del servizio bibliotecario dovrebbe diventare la bussola di riferimento per tutti i protagonisti in campo”.
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