Il blog di Antonio Tombolini

Hotel duoMo, a Rimini

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[Disclaimer: conosco personalmente il proprietario dell’hotel di cui mi accingo a parlare. Se pensate che questo possa condizionare i miei giudizi, beh, ci avete visto giusto: ormai non giudico mai niente se non in base a ciò che le persone mi ispirano. Le cose mi interessano assai meno.] Hotel duoMo, RiMini
Fine settimana movimentato: venerdì scorso il BookCamp a Rimini, la decisione di rimanere a dormire lì la sera presa all’ultimo momento, l’automobile lasciata nel parcheggio davanti a Castel Sismondo con regolare tagliandino con su scritto “ore 8.00”, per poi scoprire, il sabato mattina, era stata prelevata alle 6.00 del mattino per essere sostituita da un mare di bancarelle del mercato ambulante del sabato di cui, la sera prima, non c’era traccia di avviso. Il sabato mattina trascorso sotto un sole cocente alla ricerca del deposito ACI per recuperare l’auto, e infine l’happy end: eccomi qua di domenica mattina che mi accingo a preparare un buon pesto. Evabbè.
Di BookCamp riparleremo, ora mi piace raccomandarvi, se vi capita, di passare almeno una notte all’hotel duoMo di Rimini, come è capitato di fare a me venerdì notte. Mi piace, mi piace un sacco. Non è fighetto, non è cool, è semmai uno sfacciato monumento agli anni ’80 (o a quel che avrebbero potuto essere), un vero e proprio sogno, dichiarato e realizzato senza compromessi.
Per fare un’opera così ci vuole del fegato, e il mio amico del fegato ne ha da vendere. Ma ci vuole anche, soprattutto, conoscenza, passione, amore. Ho sentito il suo fegato, il suo coraggio, in come ha trattato l’ingresso e la reception, e l’interior design degli ambienti e delle camere. Ho sentito la sua passione nel bagno in camera, dove ti senti come se fossi in barca, in una bella barca. Ho sentito l’amore che ci ha messo vedendo le bottiglie dei distillati e tutto il resto a disposizione senza controllo alcuno nell’honesty bar in corridoio, nel calpestare il pavimento finalmente morbido (ebbene sì, il pavimento è morbido), nell’ampiezza e nel comfort del letto, nella connessione wifi a disposizione e gratuita. Più di tutto poi nel fare la doccia più bella che mi sai capitato di fare in vita mia.
Beh, andateci. Lo so, alcuni di voi poi mi odieranno, altri mi irrideranno, ma che importa: so già che più d’uno, andandoci, capirà quel che ho raccontato.
[PS Nota personale ad uso di un amico: adesso però non fare che ogni volta che parlo di un ristorante o di una camera d’albergo tu ti precipiti nel giro di 24 ore come hai fatto qui… 😉]

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  • anche io ci sono stata l’anno scorso e mi è rimasto nel cuore! è davvero stupendo, avevo una stanza con un bagno strepitoso, diventato il mio punto di riferimento se mai riuscissi a ristrutturare casa e quel pavimento…
    che dire, andrei a rimini solo per andare lì, anzi lo farò senz’altro…

  • In cotanto design e comfort avrebbe proprio sfigurato un avviso: “attenzione a parcheggiare nella via che domani c’e’ mercato ”
    🙂

  • Condiviso totalmente il parere sulla doccia!!! sembra di essere sotto una cascata naturale… qualche dubbio invece sull’ingresso un filo esagerato per i mei gusti

  • Ma perché non dare un taglio più personale e quasi agiografico alle tue parole? Perché non racconti un po’ dell’avventura del tuo amico? Del perché ha scelto Ron Arad? L’architettura è sempre spersonalizzata, come se non fosse un racconto di uomini e fatiche, come se un giorno non ci fosse e il giorno dopo comparisse come per incanto. I racconti dei travagli, delle difficoltà e delle gioei di certe intraprese sono invece necessari.
    PS: impossibile però scacciare l’idea delle discoteca, almeno a giudicare dalla foto che alleghi. Ma non ho mai visitato l’oggetto in questione, quindi non mi permetto di insinuare oltre.

  • Hai ragione Martino. Gli è che il taglio personale deve necessariamente coinvolgere la persona in questione, e lui, il mio amico Pierpaolo, non lo vedo, ahimé, ormai da cinque-sei anni. Ma se lo riacchiappo…

  • Ah, nascondo qui, un po’ in sordina, l’ultima delle mie profezie, così evito i soliti schiamazzi di quelli che poi mi sfottono (fino a quando poi accade che si avverano, hehe): le discoteche non vanno più. Segnatevelo e ne riparliamo alla prima occasione. Alla luce di ciò, anche il sapor di discoteca della hall (solo di quella, ché poi negli spazi camere si passa al sapor di nave d’altri tempi, nel senso di nave di sogno del passato o di astro-nave di sogno del futuro), dicevo quanto al sapor di discoteca esso mi sembra già assumere (e sempre più avrà) un ruolo di reperto e documentazione storico-archeologica molto importante. Ecco sì, l’avevo già scritto nel post, in effetti: “uno sfacciato monumento agli anni ’80”.

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