Se non mi sentite più ripetere questo mio ritornello di sempre, la pubblicità è morta, è solo perché non ce la faccio più a rispondere ogni volta ai commenti triti e ritriti (ma come! Il mercato pubblicitario è in crescita ecc…). Ho già spiegato in tutte le salse che il fatto che la pubblicità è morta ha un significato ben preciso:
- a) la pubblicità, che è quella specifica forma di comunicazione volta a indirizzare un messaggio da un venditore a una massa indistinta di potenziali consumatori, costa sempre di più;
- b) la pubblicità rende sempre di meno, e dunque
- c) investire in pubblicità significa perdita sicura, anche quando apparentemente funziona (leggasi: fa aumentare le vendite).
Ci torno sopra giusto per dire che anche alla Procter & Gamble (dove di pubblicità qualcosa sanno) dicono così:
“Essere vicini ai consumatori con ogni strumento a disposizione e cavalcare la rivoluzione dell’interattività che offre maggiori rendimenti all’investimento pubblicitario” (Jim Stengel, Global Marketing Officer P&G)
Ora, lasciando stare l’obsoleta nozione di consumatore, e non facendo caso alla comicità intrinseca di chi ancora pensa di poter cavalcare la rivoluzione dell’interattività, a me pare di un certo rilievo che quel tal Jim, dalla posizione in cui si trova (e dunque, c’è da immaginare, non privo di dati a supporto) ci riveli che quella che chiama la rivoluzione dell’interattività (ovvero la rete) offra maggiori rendimenti all’investimento pubblicitario (e qui mi permetto di mettere in dubbio il lavoro del traduttore, che forse avrebbe dovuto rendere con un più corretto dell’investimento pubblicitario).
Se ne deduce che la pubblicità è morta, perfino in casa P&G. CVD.
[via Marchètting]
[…] sta la differenza con la pubblicita’ classica, che alcuni danno per defunta. E quindi, e’ vero che un tipo di pubblicita’ del genere puo’ […]
[…] questo discorso ha molto, anzi tutto a che fare con la morte del marketing (e dunque anche della pubblicità). Riassunto delle puntate […]