Il blog di Antonio Tombolini

Eindhoven Lunch Theory (con 4 tesi)

E


Eindhoven lunch, inserito originariamente da antonio.tombolini.

Sono all’aeroporto di Eindhoven. Quello che vedete è il mio lunch, assolutamente notevole, e mi accingo a spiegarvi il perché.

Vedete quella scatoletta con su scritto wrap? Bene, è un sandwich. Bella confezione, semplice pulita. Buono il sandwich (All Handmade, Naturally: promessa mantenuta).

La bottiglietta accanto, Innocent, non è un succo di frutta: è frutta, frutta pressata. Alla voce ingredienti leggete cose come due mele e mezzo frullate, mezza banana, 1 frutto della passione, ecc…. Buonissimo. Altra promessa mantenuta: We use 100% pure and fresh fruit in all of our smoothies. Nothing else. No added sugar. No water. No concentrates.

Ecco la mia tesi numero 1: senza la rete, senza internet, questi prodotti non esisterebbero.
Il fatto è che questi prodotti sono il risultato di quel che è accaduto in rete: l’emergere di persone (un numero sempre più grande di-) che pretendono autenticità, a partire da quel che gli si dice. Alcune aziende, per esempio queste, Sanday’s Bakeries e Innocent, hanno cominciato a parlare il linguaggio della rete, e l’autenticità del linguaggio ha portato con sé anche un cambiamento radicale nella definizione del prodotto, ha portato con sé una maggiore autenticità (freschezza, naturalezza, ecc…) del prodotto.

Del resto basta dare un’occhiata ai testi delle loro confezioni:
Ecco, abbiamo messo in questa bottiglia per te della frutta molto buona, ora tu la apri e te la bevi, butta la bottiglia e tutto finisce lì: beh, cominciamo a sentirci un po’ troppo soli. Perché non alzi il telefono e ci chiami, subito, ora, per dirci se ti è piaciuto? O per dirci dove andrai in vacanza se vuoi. Perché non ci mandi un email per suggerirci una ricetta?
E ancora: Questa bottiglia è prodotta al 100% con plastica riciclata. Ci abbiamo messo 8 anni, ma finalmente ci siamo riusciti. O dal loro sito: Please read our news. It’s better than a poke in the eye with a twig.

E quelli del sandwich? Sanday’s Bakeries è una cosa tutta olandese (compreso il loro sito web). Ma anche loro ti invitano a contattarli, usano la confezione per fare domande, sperando che tu abbia voglia di rispondergli, di dare una mano. E tu lo fai, perché i loro sandwich sono davvero superiori, spettacolari.

Ma è tempo di esporvi la mia tesi numero 2: queste cose in Italia non accadono. Non ci sono prodotti così buoni, intendo, né così belli, né così ben curati. E non ci sono perché i produttori non sanno e/o non vogliono cimentarsi con questo modo di comunicare. Quelli di Sanday’s Bakeries sono solo olandesi, l’ho detto. Ma quelli di Innocent no, sono inglesi e sono in molti paesi europei, ma non in Italia. Né ci sono in Italia esempi/prodotti simili.

Da cui discende la mia tesi numero 3: la questione della comunicazione aziendale non è più la questione della pubblicità, ovvero la comunicazione come strumento di vendita del prodotto. La questione della comunicazione aziendale è questione relativa al processo di produzione: l’azienda produce ciò che comunica e come comunica. Dimmi come comunichi e ti dirò cosa produci.

Tesi numero 4 (o meglio, la terapia): già che c’è la crisi, oh aziende, approfittatene. Tagliate senza pietà i vostri budget pubblicitari. Sottraeteli alle grinfie di agenzie pubblicitarie, pubbliche relazioni, comunicazione integrate o come cavolo vogliano chiamarsi nel tentativo di travestirsi. Assegnate quei budget a gente (magari ce l’avete già in casa, magari vi affacciate in rete e la trovate) che conosce quei prodotti, che li ama, che vi costringe a chiedervi cosa cambiare nel prodotto, e non nello spot o nel banner, che vi costringe a rinunciare alle vostre rassicuranti affermazioni (il mio lava più bianco) per imparare a fare domande, e a promettere e produrre, in cambio di risposte disinteressate, prodotti migliori.

Commenta

  • mi vien da dire che un corollario a queste tesi potrebbe essere che quanto piu’ la “cultura della rete” e’ diffusa tanto piu’ la sua influenza si realizza anche lontano dalla rete stessa (ad esempio nella realizzazioni dei prodotti).
    …che’ poi l’assenza di tali prodotti in Italia sarebbe anche una prova empirica del grado di attenzione alla rete delle nostre aziende 🙁

  • Caro Antonio,
    “Innocent” c’é anche qua. Devi passare in banca e chiedere un mutuo
    tanto é caro, peró anche mia moglie ogni tanto un cartone se lo concede (€ 5,35 da un litro/ iva unialiquota al 25%) e € 2,67 per la boccettina che hai gustato tu.
    Mi sono spesso chiesto perché in Italia con tutto quel ben di frutta che la Natura ci ha concesso non esistono prodotti veramente genuini senza additivi etc. Me lo chiedo perché il tuo discorso – sanissimo – richiede peró alle spalle un prodotto di qualitá. Rem tene verba sequuntur mi viene quasi da dire. Senza una qualitá al 100% ti devi inventare un sacco di reclame (e non so se sia vero ma e´un teorema che vado applicando per vedere se regge: meno un prodotto e´di qualitá piu´ha bisogno di reclame tradizionale.)
    Mi ricordo di un divertente scambio di mails con la RANA a causa di un pesto che conteneva resti di anacardo e “cocce” dello stesso. Le mail e i tempi di risposta furono il classico esempio di come non trattare i clienti ed i propri…prodotti.
    La mia spiegazione alle tue tesi é che si tratta di una profonda ed originale mancanza di abitudine alla cultura, intesa questa sia come spirito critico e come cumulo di conoscenze, informazioni sul prodotto.
    Ci potranno essere anche impedimenti materiali ( sistema bancario, , trasporti, filiera di vendita etc) ma le idee non vengono perché proprio non ci sono. Di chie é la colpa ? Tua, mia, delle veline, dell’ Isola dei Famosi, dei cinesi o di chi ti pare. Ho paura che senza un
    ripensamento dei valori fin dall’asilo infantile, rete o no, non se ne esce.

  • Una domanda.
    Il banner non potrebbe essere per una volta preso per quello che è e cioè per un veicolo ? Che venga utilizzato per la pubblicità classica è solo un dettaglio, si vede che fino ad ora nessuno ha pensato a come utilizzarlo meglio ma io sono per riabilitarlo quando veicola qualcosa di interessante anche perché per me diventa servizio utile.
    Un caro saluto, Fil.

  • Dichiarazione d’amore
    Caro Antonio,
    mi conosci da tanti anni, sai come sono, come sento, come la penso. Ebbene mi comprenderai se ora io affermo che ho *amato* il tuo post qui sopra.
    Se mai accadrà che tu rimetta insieme una squadra di persone con l’intento, per esempio, di fare cose del tipo della tua merenda di Eindhoven, ti esorto a tenermi presente. Credo che sarei disposto, con gioia, a qualche saltino mortale, per esserci: per mettere a frutto la mia competenza, LE mie competenze (e anche, indissolubile da esse, il mio *amore*).

  • ahi ahi ahi @isman: nostalgia di esperyainnocent ?
    Ebbene si, anche io come te. Non tanto e non solo per i prodotti,che comunque, ma proprio per la comunicazione e
    per il modo di trattare i clienti le poche volte che qualcosa andava di storto. E la domanda é: era una caratteristica legata solo alla persona di AT o é una formula, un protocollo ripetibile ed insegnabile ? Ed un ‘altra domanda:
    é legata solo allo small is beautiful ( lo small is necessary) o e´appicabile anche a dimensioni medio
    grandi ? E quanto un protocollo tale farebbe risparmiare su pubblicitá tradizionale ?

  • @Merolli
    a Roma una bottiglia di acqua da mezzo litro acquistata al bar, senza servizio, 1,5-2,00 Euro, a Milano non so perchè ci abito, ma non dubito che sia lo stesso,
    facendo i debiti confronti, la bottiglia di frutta è a buon mercato.

  • Sì Carlo, esatto, nostalgia di quella esperya, no non tanto dei prodotti (che esperya mica inventa, no? Semmai, al massimo, – o almeno lo faceva allora – scopre, scova, e propone), ma – esatto – per la comunicazione, per il modo di trattare i clienti TUTTE le volte, e anche per la passione, la cura, la qualità complessiva dell’accrocco, dal reperimento dei prodotti al loro immagazzinamento alla loro descrizione e messa in commercio, alla cura e alla vitalità del sito, alle confezioni, alla consegna, alla verifica della consegna…; infine per l’umanità, per l’amore che trasudava da quell’esperienza e che tu percepivi, da semplice cliente, e allora da cliente diventavi amico.
    Il tutto, unito al ‘superfluo’ che e. poteva permettersi di alimentare e di offrire: le ricette, la rivista, il forum…
    Provo a rispondere alla tua domanda, in qualità di uno che orbitava attorno, ma non stava là dentro:
    AT ci ha messo naturalmente del suo: il suo stile, il suo buongusto, la sua cultura, la sua immensa passione, ma ha fatto molto di più: ha fatto di tutto questo un sistema, una filosofia aziendale, circondandosi delle persone giuste e contagiando tutti, dai ‘capi’ agli operai: prendere o lasciare. E le persone si lasciavano contagiare, ché quella sembrava la realizzazione di un sogno: la parte buona, e nobile, del *lavoro* senza la parte brutta…
    Sì, ritengo che sia un protocollo ripetibile, a patto che ci si creda per davvero, se no non funziona e l’odore di bugia fa presto a spargersi, e la bugia annienta tutto. No, non credo che lo small sia una condizione necessaria. Lo dico da profano ma è quello che penso. Magari se è small è più facile, questo sì. Sì, credo che sia applicabile a dimensioni medio grandi. Sempre a quel patto: o ci credi o vai a lavorare da un’altra parte (bisognerebbe vedere i sindacati, come la pensano a riguardo…).
    Quanto al risparmio sulla pubblicità, non ne ho idea, credo che dipenda da tali e tanti fattori…

  • E smettetela, no, che se va avanti così mi viene la lacrimuccia! 😉
    Comunque, provando a generalizzare, e andando subito al cuore delle questioni sollevate da Carlo e Michele: ci vuole un riferimento, per così dire, carismatico? Sì, credo di sì, all’inizio ci vuole. Può diventare un “protocollo” generalizzabile? Sì, proprio perché si tratta di comunicazione, dunque di intangibile, sì, può essere “imparato” e “applicato”. Ma è un protocollo particolare: un protocollo che richiede un’adesione reale, personale, se no non lo si impara, non funziona, come ha messo bene in luce Michele, viene male.
    Altri “protocolli” di comunicazione, tutti gli “script” scientificamente studiati per gli addetti ai call center, o per i venditori porta a porta, o per gli addetti all’assistenza, ecc…, funzionano su base statistica, e non richiedono alcuna adesione personale, anzi, richiedono distacco, se no diventi scemo e alienato.
    Questo no, questo richiede adesione autentica, personale, perché in fondo quello che ti si chiede (l’oggetto del protocollo) è: sii te stesso, dì la cosa vera, butta via la maschera, finalmente anche al lavoro.
    Può funzionare per una cosa grande? Sì, credo di sì, a patto di essere rigorosi a questi aspetti nella fase di espansione.

  • Concordo con le tesi dalla 2 alla 4, meno con la 1. O meglio concordo con la prima parte: “senza la rete questi prodotti non esisterebbero”.
    Cioè quello che conta è la rete di persone. E questa esisteva già molto prima di internet.
    Ci sono molti esempi di aziende che già parecchio prima di internet parlavano direttamente con i propri “clienti”, li coinvolgevano, li trattavano con trasparenza e onestà (e facevano prodotti della madonna).
    Patagonia, per citarne uno.
    Il web fa da amplificatore, e qui veniamo alle tesi 3 e 4, grazie a Internet questa mentalità si diffonderà; ma non basta dirlo alle aziende, bisogna entrarci e portare là dentro questa cultura.

  • @ Carlo Merolli
    Grazie per la domanda. Un esempio mi chiedi.
    Qualsiasi cosa che non si limiti ad essere “attinente” con la tua sfera d’interessi ma ne sia parte integrante. Credo che a quel punto il passo lo dovrebbe fare chi guarda, non chi veicola: spesso si continua a qualificare come pubblicità qualcosa solo perché risponde a dei modelli precostituiti di forma, di contesto o di ritmo (per es. quella cosa che sta tra l’interruzione e la ripresa del film alla televisione, quei cosi che si vedono nelle pagine web e che si distinguono per collocazione e contenuto rispetto al resto del sito, ecc.) ma secondo me non si vuol più notare alcuna differenza (mi riferisco ai detrattori) anche quando effettivamente questa c’è.
    Faccio quindi un esempio banale.
    Se ciò di cui ha parlato Antonio nel post fosse stato reso noto ad altre persone attraverso un veicolo come un banner che lo avesse portato a questo post oppure altrove ma con il solo fine di spiegarne il contenuto e la filosofia o farne conoscere una delle tante conversazioni in proposito, non sarebbe questa info-pubblicità ? Qualcosa di utile ? Non si potrebbe guardare a questo banner come ad un veicolo di sapere e conoscenza oltre che a veicolo di fastidio (quando è il caso) ?
    La tesi di Antonio secondo la quale la pubblicità è morta è affascinante e condivisibile ma è nato qualcos’altro, soprattutto in rete, che mira più a informare che a vendere, che mira più a relazionarsi che a sbattere cose in faccia. Credo che queste differenze sostanziali non siano mai tenute nella giusta considerazione e rischino di mal interpretare il lavoro di chi (come per esempio metafora e in un certo qual modo o chissà quanti altri esempi), si sbatte per provare a “veicolare” qualcosa di utile.
    Un veicolo in un mondo che si allarga sempre di più a me sembra necessario.
    Un caro saluto a tutti.
    Fil.

  • Post interessante e stimolante, in stile very DOC A.T.
    Pensate ad una comunicazione così chiara e coinvolgente usata anche i consumatori di prodotti ma anche per i fruitori dei famosi “servizi”.
    Wow, sarebbe una vera rivoluzione, sopratutto in Italia.
    Un saluto ai nostalgici del vecchio forum e dei bellissimi progetti d’allora; Antonio, rifacci sognare!
    Atos

di Antonio Tombolini
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