Il blog di Antonio Tombolini

Il Social Object spiegato agli idioti

I

Il prodotto come Social Object
Nessuno si offenda, mi ci metto io per primo, tra gli idioti, così siamo tutti tranquilli, ok?
Allora, per spiegarvi cosa intendo per Social Object faccio tre cose:

  1. Vi invito a leggere, non l’aveste già fatto (ma come!) la mia prefazione (1999, ormai vintage) all’edizione italiana di Cluetrain Manifesto.
  2. Vi invito a leggere l’apposito post di Hugh McLeod su gapingvoid.
  3. Siccome so che siete pigri, vi invito a leggere la traduzione italiana integrale del post di Hugh da me appena terminata che vi appiccico qui sotto. Poi dite che non vi amo!

(da qui in poi è tutta roba di Hugh)
Perché il “Social Object” è il futuro del marketing
Dal mio post precedente:

Il Social Object è, in sintesi, la ragione per cui due persone parlano tra loro invece di parlare a qualcun altro. Gli esseri umani sono animali sociali. Ci piace socializzare. Se ci si pensa, però, occorre innanzitutto un motivo, una ragione perché questo accada. Questa ragione, questo “nodo” della rete sociale è ciò che chiamiamo Social Object.

Ho utilizzato spesso l’espressione “i Social Objects sono il futuro del marketing“. In questo post cercherò di spiegare perché ne sono convinto.
I BRUTTI VECCHI TEMPI: IL MARKETING NELL’ERA DELL’ULTRA-AFFOLLAMENTO
Abbiamo appena attraverso un’epoca lunga un secolo, la cosiddetta “Epoca della Massa”.
I Mass Media e la Produzione di Massa sono cresciuti insieme. Non è possibile separare i due fenomeni.
Fino a qualche decennio fa il vostro concessionario auto vi offriva di scegliere tra quattro o cinque modelli. Adesso le possibilità di scelta sono dell’ordine di qualche dozzina. C’è addirittura più di una dozzina di varianti della Coca Cola. Ed in qualsiasi Starbucks è possibile comprare, ogni giorno, qualche migliaia di diverse combinazioni di drink.
Potrei canticchiarvi i jingle delle barrette di cioccolata della Nestle, da spot pubblicitari che non vedo da più di vent’anni. Ecco cosa vuol dire che la mia mente è affollata. E probabilmente non è diverso per voi.
Come potrebbe una persona sana di mente concepire l’idea che nuotare in un mare inquinato di messaggi pubblicitari fosse divertente per le persone? I messaggi non sono informazione.
In questo panorama ultra-affollato l’uomo di marketing medio direbbe: “Ci sono! Aggiungiamo un altro strato di casino alla nostra discarica culturale! Aumentiamo ancora il rapporto tra rumore e segnale!!!”
E poi si meraviglierebbe che la cosa non funziona.
Non funziona perché ti stiamo ignorando, caro uomo-marketing-medio. Hai ottenuto la nostra attenzione per un attimo, ma come ben sai, si è trattato più di un accidente culturale che di qualcosa su cui tu possa avere davvero un reale controllo.
Il mondo è andato avanti, e non ci puoi fare nulla. Il tuo capo già sospetta che sia così, ma, buon per te e per la tua carriera, non ne ha ancora parlato in riunione. Ancora.
QUANDO A UN CERTO PUNTO ARRIVO’ INTERNET…
Non saprei dire se la simultaneità dell’avvento di Internet e del raggiungimento del punto di criticità dell’Era dell’Ultra-Affollamento è stato un accidente storico, o se piuttosto Internet si sia sviluppata così velocemente per aggirare l’Ultra-Affollamento. Scommetterei su quest’ultima ipotesi.
Se i custodi delle conversazioni a senso unico avessero almeno offerto qualcosa di più tollerabile e soddisfacente, forse il bisogno di “parlare con esseri umani reali” non sarebbe stato così forte.
Oggi, per comprare qualcosa, non si chiama più al telefono l’azienda per avere una brochure. Si va su Google per controllare cosa stanno dicendo di quel prodotto gli altri, le persone come noi.
In termini di comunicazione, l’azienda non ha più il vantaggio della prima mossa. Nessuno vi chiederà la brochure del vostro prodotto, se non dopo che questo abbia superato positivamente una serie di prove che SEMPLICEMENTE NON C’ERANO fino a venti anni fa.
NON HAI PIU’ IL CONTROLLO DELLA CONVERSAZIONE. O FORSE NON LO HAI MAI AVUTO.
Gli esseri umano sono molto più a loro agio nel comprendere la linearità, che non la casualità o la progressione esponenziale.
1. Oh No! C’è una tigre dai denti affilati che viene verso di me!
2. Scappa!
Questo è lineare. I nostri antenati delle caverne trovarono che fosse una qualità molto utile.
Lanciamo uno spot pubblicitario. Le vendite salgono. E così, fedeli all’insegnamento dell’Uomo delle Caverne, inquadriamo il fenomeno in maniera lineare, per spiegarcelo in termini di causa ed effetto: “La nostra pubblicità è piaciuta così tanto che le persone hanno piantato lì quel che stavano facendo per correre al supermercato e comprare il nostro prodotto!”
Fosse vero.
Quel che è davvero successo è probabilmente dovuto molto di più alla casualità. Ti è capitato di vedere uno spot del Prodotto X. Pochi giorni dopo stai prendendo il caffè a casa della tua amica Pamela. C’è giusto un Prodotto X sul tavolo della cucina.
“Ho visto la pubblicità di quello qualche giorno fa”, dici a Pamela. “Com’è?”
“Sì”, risponde lei. “Non è male.”
Così, al prossimo passaggio al supermercato, vedrai il prodotto e lo comprerai. Ker-chiing (voce onomatopeica utilizzata per rendere il suono del registratore di cassa, ndr).
Non è stato lo spot a procurare la vendita. E’ stata la tua amica a venderti il prodotto, non lo spot. Lo spot ha semplicemente avviato una conversazione.
Questo è ciò che si chiama “Passaparola”. Quando funziona, funziona molto molto bene. Il problema è che funziona raramente. E l’uomo marketing non è in grado di controllarne il risultato.
Ma il capo dell’uomo di marketing non vuole ascoltare queste cose. Ancor meno l’uomo di marketing vuole dirle al suo capo. E così ci costruiamo sopra dei miti, per sviare la paura e mascherare l’ignoto.
Nascondere la casualità, in un mondo in cui L’INCERTO E IL CASUALE NON DEVONO POTER SMANTELLARE THE MATRIX. MAI.
TU E PAMELA, PRENDENDO UN CAFFE’
Pamela ti ha appena venduto una confezione di Prodotto X. Pamela non lavora per il Marchio X, non riceve provvigioni dal Marchio X, e dunque perché mai, consapevolmente o inconsapevolmente, ha fatto quella vendita?
Torniamo a quel che dicevo nel mio ultimo post sui Social Objects:

La cosa più importante da ricordare è che i Social Objects in quanto tali non hanno importanza nel grande schema delle cose. Certo, è piacevole fare una passeggiata con Lee parlando di Guerre Stellari. Ma se Guerre Stellari non fosse mai esistito, probabilmente ci godremmo ugualmente il farci compagnia per altre ragioni, qualora se ne presentassero. Gli esseri umani sono importanti. Esistere insieme ad altri esseri umani è importante. E dall’alba dei tempi fino alla loro fine, useremo qualsiasi cosa ci capiti tra le mani perché questo accada.

Quando tu e Pamela vi siete incontrati per un caffè, avete interagito reciprocamente nel contesto di ciò che gli antropologi chiamano “Object-Centered Sociality” (socialità centratà sull’oggetto, ndr). In altre parole, non avete socializzato nel vuoto, ma attorno ad oggetti, attorno a cose. Avete parlato dell’ultima partita dei Cubs (la squadra di baseball di Chicago, ndr). Di come va a scuola Billy. Di quel bel film che avete appena visto. Di quanto fosse buono il caffè di Pamela. E sì, certo, per quanto brevemente, avete parlato anche del Prodotto X. Un antropologo chiamerebbe tutte queste cose di cui avete parlato “Social Objects”. La cosa notevole è che eri lì giusto per fare due chiacchiere con Pamela. Parlare di Billy, o del film, o della partita dei Cubs non era previsto da nessun ordine del giorno. Avreste potuto parlare di qualsiasi altra cosa – libri, dischi, casalinghi, non importa – e il caffè con Pamela ti sarebbe piaciuto esattamente allo stesso modo.
Sì, gran parte della socializzazione è casuale. Ergo, sì, gran parte del marketing è allo stesso modo casuale.
E ALLORA, QUAL E’ IL POSTO CHE SPETTA AI SOCIAL OBJECTS DA ORA IN POI?
Da ora in poi non potrai affidarti agli spot televisivi per avviare le conversazioni che ti interessano. La gente ti ignora. I mass media sono diventati semplicemente troppo costosi. L’unico modo in cui il tuo prodotto può diffondersi è attraverso il passaparola. E l’unico modo per avviare il passaparola è che contenga qualcosa che interessa la persona che ne parla.
La persona che tu vuoi ne parli non lo farà per denaro. Ne parlerà soltanto se potrà utilizzare il tuo prodotto come Social Object. Come un “gancio” per proseguire la conversazione. Un gancio da poter usare come mezzo per essere in relazione con gli esseri umani suoi amici.
LA CATTIVA NOTIZIA E’ CHE GRAN PARTE DEI PRODOTTI E’ NOIOSA.
LA BUONA NOTIZIA E’ CHE GRAN PARTE DEL PASSAPAROLA E’ NOIOSO.

Se sei un uomo di marketing medio, ci sono buone probabilità che – ahimé – tu non campi vendendo Mercedes o iPod. Vendi probabilmente un qualche prosaico prodotto di utilità. Come il Prodotto X.
Naturalmente se il tuo prodotto ha un valore di conversazione più elevato il tuo lavoro sarà più semplice. Buon per te se è così.
Ma diciamo le cose come sono: non troveremo mai persone normali sedute insieme per affrontare una conversazione profonda e carica di significato sul Prodotto X. E tuttavia, guarda un po’, un paio di frasi buttate là da qualcuno come Pamela tra un caffè e l’altro, e subito dimenticate, saranno già abbastanza per ottenere la vendita.
Vorrei tanto dire “Se il tuo prodotto non è un Social Object, perché mai sei ancora in affari?”
Ma in realtà, come Pamela ha appena dimostrato, ogni prodotto, il tuo prodotto, il Prodotto X, E’ DI FATTO un social object. E forse occorre soltanto che il tuo team aguzzi un pochino le idee.
[il testo originale è qui]

Commenta

  • Sebbene il tema dei social object mi intrighi, provo a fare l’avvocato del diavolo.
    La pubblicità, si sa, non è più efficace. Se però un prodotto o un brand si trova non negli appositi spazi pubblicitari, bensì nelle pagine o negli spazi dedicati alla cronaca, lo sia ricorda più facilmente. E quando un marchio o un prodotto diventa oggetto delle ultime pagine di cronaca dei principali quotidiani o nella parte finale dei telegiornali? Solitamente quando è collegato ad un fatto bizzarro, ad una pubblicità oggetto di censura o comunque a qualcosa di sopra le righe.
    Dal momento che molte nostre conversazione hanno come oggetto fatti di cronaca, cose lette o viste in tv, ecco che i suddetti marchi o prodotti possono diventare social object.
    Non è che per diventare social object, le aziende e i di loro marketing manager faranno di tutto per “alzare la voce”, fare cose eclatanti per destare l’attenzione dei media?
    Antonio, scusa il lungo commento. Ma sono interessato alla tua opinione.
    EmmeBi

  • E io sono interessato alla tua, di opinione, caro Michele 🙂
    Certamente accade anche quello che dici tu, aziende che cercano di “far diventare” il proprio prodotto un SO “a forza”, per così dire. Questo genera a mio avviso una “forzatura”, e introduce così una categorizzazione: i SO imposti e quelli “naturali” o “spontanei”. I SO imposti (via media, nel senso che dici tu, ad esempio) probabilmente sono più “superficiali”, meno efficaci e meno duraturi. C’è da ragionarci 🙂

  • Grazie della risposta.
    Not so easy, anyway.
    L’argomento è affascinante. Ma come sempre queste modalità e dinamiche sono difficilmente pianificabile e prevedibili. E si sa quanto ancora tutto questo sia importante all’interno di un’azienda, anche se l’inatteso e la sorpresa stanno diventando delle parole chiave nel mondo del marketing.

  • “Non è che per diventare social object, le aziende e i di loro marketing manager faranno di tutto per “alzare la voce”, fare cose eclatanti per destare l’attenzione dei media?”
    Mi pare lo chiamino “Guerrilla marketing”. Personalmente lo trovo “ripugnante”, perlomeno in alcune sue interpretazioni.

  • scusate, la digressione, ma voi lavorate in uffici dove se fate questi discorsi vi ascoltano interessati? Qua tutte le volte che ci provo mi sento rispondere “ok, ora torna a lavorare sul serio”… e io torno a postare sui blog per consolarmi 🙂
    PS: brutta cosa l’incomprensione…

  • @baldo, coraggio, prima o poi con queste cose tutti dovranno farci i conti. Quanto a me, beh, diciamo che ho un capo molto in gamba 😉
    @Diedo, condivido, aborro il “guerrilla m.” pure io.

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