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INTRODUZIONE
I. Giustificazione fenomenologica e storiografica della ricerca
§1 Diritto e tempo nel senso comune…
L’interrogazione filosofica attorno al tempo vanta una tradizione praticamente ininterrotta, che ne fa uno dei luoghi privilegiati per la comprensione del pensiero occidentale.
Il pensiero moderno e contemporaneo, in particolare, ha dedicato
un’attenzione tutta speciale al tempo, in una molteplicità di
prospettive e di contributi di estrema ricchezza.
Dalla disputa tra la concezione newtonianae quella di Leibniz, alle
costruzioni teoretiche e pratiche di Kant, alla enciclopedica
sistemazione di Hegel: per giungere, più di recente, alle ricerche di
Bergson, di Husserl, di Heidegger e, perché no, di Einstein, solo per
citare quelli che sembrano, ad un primo e superficiale esame, i
pensatori che più incisivamente hanno affrontato la questione-tempo,
coagulando e promovendo attorno a sé ulteriori e più specifiche
ricerche.
L’attenzione riservata alla riflessione sul tempo è del tutto
giustificata: fenomeno vicinissimo, a portata di mano, e ad un tempo
problematico al massimo grado, meglio anzi misterioso.
L’importanza della questione giustifica anche l’interesse suscitato
dalle ricerche attorno alle zone di interferenza tra il tempo e i
singoli campi dell’esistenza. In questo ambito, e in riferimento al
diritto, si colloca il presente studio.
La questione diritto e tempo non è nuova, anche se sembra ovvio
affermare che il diritto, come ogni altro fenomeno, e proprio in quanto
fenomeno, ha a che fare col tempo.
Né sembra degno di particolare interesse un approfondimento specifico della questione diritto e tempo: non è forse il tempo qualcosa all’interno del quale tutto scorre
allo stesso modo? L’esistenza di ciascun individuo, di interi popoli,
della storia, degli oggetti, insomma: l’ente nella sua totalità è
soggetto all’uniforme scorrere del tempo. Cosa c’è di misterioso in
questa ovvia constatazione? Molto, a ben riflettere.
Non è la vita degli uomini un tentativo, condotto in varie forme, di
prolungare nel tempo la propria esistenza? E può dirsi altrettanto di
ogni entità biologica in genere; non solo, ma anche le nostre opere e
costruzioni sembrano, per tramite dell’uomo, volersi proiettare nel
tempo il più a lungo possibile. Talché potremmo concentrare il senso,
almeno apparente e immediato, di ogni realtà, in una gigantesca lotta per la sopravvivenza condotta contro il tempo.
E’ così anche per il diritto e i suoi istituti? Sì. Anzi, anticipiamo
fin d’ora un rilievo che verrà discusso solo successivamente. Il
diritto manifesta una volontà di durata, per così dire interna ed esterna. Volontà di durata interna
del diritto in se stesso, nell’aspetto positivo e reale che un
determinato sistema normativo assume in un determinato ordinamento
giuridico: il diritto si vuole permanente, verrebbe da dire eterno. Volontà di durata esterna:
il diritto, creato e costruito dagli uomini riuniti in determinate
comunità, è lo strumento attraverso il quale esse tentano di sfuggire
allo scorrere del tempo, di dare permanenza all’esistenza dei singoli
individui e della comunità stessa: il diritto è voluto per permanere, verrebbe da dire per eternarsi.
La questione diritto e tempo assume, da questo punto di vista, un rilievo tutto particolare: se una sorta di lotta contro il tempo sembra
essere caratteristica comune di tutto l’esistente, il diritto
testimonia un àmbito in cui questo carattere emerge con particolare
evidenza.
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