Già me li vedo, questi del food & wine in rete (mondo che in Italia, contrariamente a quanto accade nel resto del mondo, va sempre più polarizzandosi tra pseudo-snobismi e pettegolezzo triviale): pensano di essersi liberati di me, ormai quello c’ha da fare con quella storia degli ebook ecc…
E no, miei cari, manco per niente!
Metti Ziliani, ad esempio (versante pseudo-snob, corrente nostalgica), che – dopo l’ennesima savonarolata contro un’azienda italiana colpevole di tentare di fare un ottimo vino in Argentina e perciò stesso accusata di alto tradimento -, se ne esce così:
E come non pensare che quelle centomila bottiglie future di Enamore non finiscano inevitabilmente per sottrarre spazi di mercato, su certi mercati meno esigenti che non chiedono ai vini di avere storia e lunga collaudata esperienza, ai nostri vini?
Lasciamo perdere che a me sta a cuore la libertà, libero mercato incluso, e a lui un po’ meno. Lasciamo perdere che se una cosa sottrae spazi di mercato a un’altra che c’era già, il problema è semmai che quella che c’era già provi a chiedersi se per caso non ha sbagliato qualcosa. Lasciamo perdere che se certi mercati meno esigenti (?) non vogliono dal vino né lunghe storie né collaudate esperienze, non si capisce perché qualcuno debba volergliene dare per forza. Lasciamo perdere tutto ciò.
Mi interessa invece un’altra questione: ma dove cavolo stanno questi pretesi "mercati esigenti" che chiedono ai vini di avere storia e lunga collaudata esperienza? E ancora più precisamente: ma che cavolo significa "chiedere a un vino di avere storia"? Che cavolo significa chiedere a un vino di "avere lunga e collaudata esperienza"?
Nell’attesa delle illuminazioni che, ho fiducia, non mancheranno, vi anticipo la mia modesta opinione: non significa niente.
Ci sono imprenditori appassionati e quelli ingordi.
Gli ingordi sono sempre a lamentarsi che non fanno profitti, i costi aumentano e sono vessati dalla burocrazia ( e buttano soldi per disfunzionalità in Azienda che non sono capaci di eliminare ).
Sono per il libero mercato ma che non sia invocato per giustificare l’ingordigia derivante dalla ricerca spasmodica di tagliare i costi ed aumentare i profitti ( uno degli scopi dell’impresa ma che non vada a discapito di chi ci lavora, dei fornitori ecc. ).
Trovandomi d’accordo con la chiosa di Antonio.
Antonio, posto qui la stessa replica che ti ho rivolto dal mio (nostro) blog:
e no Antonio, di’ pure quello che vuoi, critica quello che scrivo (tra l’altro su un blog la cui piattaforma, ospitalissima, é tua…), di’ pure che dico cose assurde, se vuoi, ma le accuse di indulgere a “pseudo-snobismi e pettegolezzo triviale”, risparmiatele, perché non solo sono offensive, ma fuori luogo. Per cui scrivere “Metti Ziliani, ad esempio (versante pseudo-snob, corrente nostalgica)” é proprio, scusami il francesismo, una solenne “bischerata”. Gli snobismi, e dovresti sapere se, come dici, mi leggi, mi fanno schifo e li avverso, quanto alla nostalgia, beh, sì, quella ce l’ho, di un mondo del vino più pulito, più onesto, più trasparente nei comportamenti e meno schiavo delle leggi del business. So già, che conoscendoti, tu, come un altro wine blogger che produce vino, Paglia, salterete su rivendicando, in nome di un’ottica iper-liberista ma per me poco “liberale”, la libertà delle aziende di intraprendere senza essere vincolati da mille pastoie burocratiche, da regolamenti, ecc, per fare vini che corrispondano alle esigenze del “MERCATO”. Ma queste, scusami, sono obiezioni, un po’ rivelliane (e per me non é un complimento…) che hanno portato a Montalcino, ad esempio, i soliti furbetti ad andare oltre i disciplinari, ad interpretarli liberamente, nel nome dello stesso dio Mercato, con i risultati che sono davanti agli occhi di tutti…
scusa, dimenticavo un altro rilievo. Scrivere, come fai, parlando di me, che “Lasciamo perdere che a me sta a cuore la libertà, libero mercato incluso, e a lui un po’ meno”, é un’altra bischerata e questa volta lo scrivo senza virgolette, primo perché mi sembra presuntuoso arrogare a te stesso il monopolio di difendere la libertà, secondo “la libertà” sta a cuore anche a me, anche se provi a farmi passare per un becero statalista con tendenze illiberali e magari totalitarie…
Grande spunto, Rocco! Proprio stamattina in macchina discutevo di queste cose con mio figlio, che sostiene domani il suo primo esame di economia politica: sostengo che chi dice che il profitto è lo scopo di un’impresa non ha capito niente (gli ingordi, come tu li chiami). Il profitto sta all’impresa come l’aria che respiriamo sta alla nostra vita: respirare non è lo scopo della vita, ma è un *vincolo*, senza respirare non si vive. Così allo stesso modo il profitto è un vincolo per l’impresa, niente di più e niente di meno: senza di quello l’impresa non può vivere. Ma vivere per il profitto, ovvero vivere per respirare… beh, non è un bel programma 🙂
Caro Franco, solo per chiarire due punti, su cui mi pare tu abbia equivocato:
1. Non mi sogno neanche di ascriverti all’ala “pettegolezzo triviale” della blogosfera. A quella “pseudo-snob corrente nostalgica però sì” 😉
2. Non volevo assolutamente dire che a te sta a cuore “un po’ meno” di me la libertà, ma soltanto il suo sottoinsieme “libero mercato”, cosa che tu stesso mi confermi 🙂
Nel merito vorrei solo specificare che dipingere chi si ostina a propugnare il libero mercato (che – per relativisti inossidabili come me – vuol dire ovviamente il mercato “più libero possibile”) come contrario a norme regole ecc… è, oltre che un luogo comune, una mistificazione. Al contrario, sono convinto che non ci può essere libero mercato senza *certezza del diritto*, e l’Italia, paese in cui l’incertezza (e dunque l’arbitrio) del diritto regna sovrana, ne è la dimostrazione.
Eccomi, sono Paglia, quello che produce vino e che insorge quando viene messa in discussione la libertà di mercato, grazie alle proprie inclinazioni iperliberiste, all’insofferenza congenita alle regole, ecc.
La prima affermazione importante l’ha fatta Antonio: credere nel mercato è il contrario di non volere le regole.
La seconda è più che altro una domanda, anzi un dubbio che sempre mi assale di fronte al confronto tra iperliberisti e contrari all’iperliberismo: ma cos’e’, una discussione accademica? In Italia, il paese che risulta sempre ultimo in tutte le classifiche mondiali sulla libertà di mercato, c’e’ la più alta concentrazione del globo di gente che ha paura dell’iperliberismo. E non uso la parola “paura” per caso.
Paglia, per me “iperliberismo” fa inevitabilmente rima, parlando di vino, con “rivellismo”. Non so se mi sono spiegato…
Sebbene non leggeranno mai questa discussione e mai risponderanno, io la penso come Teobaldo Cappellano e Beppe Rinaldi. Loro sanno cosa vuol significa “chiedere a un vino di avere storia”.
Mi sembra però che ci sia un fraintendimento. Io non credo che le considerazioni di Franco vadano nella direzione del no al libero-mercato. Penso che sia a favore di questo, pur nel rispetto delle regole. E su questo punto penso si sia tutti d’accordo, iperliberisti o meno. Quello che fa riflettere è che un’azienda nota per la produzione di quel vino particolare (per uve utilizzate, provenienza e soprattutto tecnica di lavorazione) di nome Amarone (vendutissimo soprattutto all’estero, credo quasi l’80% della produzione) vada a cercare di fare il suo clone, con un nome che lo ricorda, all’estero. Liberissima di farlo, per carità, ma, anche dal solo punto di vista commerciale, perchè? Capisco che la manodopera lì costerà meno etc…e quindi il prodotto avrà probabilmente un costo irrisorio rispetto al nostro, ma non rischia di togliere mercato a se stessa con le sue stesse mani? Probabilmente mi sfugge qualcosa
Caro Franceschini,
le sfugge che l’Allegrini non solo non rischia di togliersi mercato ma bensì se lo garantisce. Si chiama diversificazione. Economicamente parlando, occupazione del mercato, altro che perdita. Come vede, il vino è solo un fattore secondario. Possiamo discuterne, io credo non ne valga la pena, ma il nòcciolo della questione è semplice economia di mercato.
Saluti.
Alvaro Pavan
Sembra quasi una religione questa del libero mercato. Non e’ che mi diventi un chierico? 🙂
Certo che e’ una bella fortuna, per le aziende italiane, avere a disposizione dei giornalisti allo stesso tempo esperti di materie enoiche e scelte industriali e commerciali. E per di piu’ a gratis! 🙂
Allora, un paio di cose:
1) pare che qualcuno vada fantasiando di un “attacco personale” e di un “litigio” tra me e Franco Ziliani: nulla di più lontano dalla verità. Riservo il privilegio della polemica sulle cose e sulle opinioni solo alle persone che stimo, e che mi onorano della loro stima, e Franco è tra queste. Alle persone che non stimo riservo, semmai, la mia indifferenza.
2) Noto che nessuno ha voluto ancora rispondere al vero argomento del mio post, ovvero alle mie domande finali sul vino, che non a caso ho scritto in neretto. Vorrà dire che ho ragione io? Orsù, non vorrete mica farmela passare liscia così, neh! 😀
Mah, a me sembra così banale la risposta che pensavo fossero retoriche le tue domande.
Per come la vedo io:
“Mercati meno esigenti” = il mercato USA per esempio. Mentre il nostro mercato sarebbe quello più esigente. Per scendere nel particolare: Parma è un mercato esigente (parliamo sempre di vini, vero?) Milano molto meno.
“Storia e lunga collaudata esperienza” = (che va tutto insieme, non puoi separare la storia dall’esperienza) Borgogno, e non Mondavi.
Anche io Allegrini non lo capisco, apparentemente la sua è un’operazione alla ricerca del mero profitto.
Ma ne saprò di più dopo aver assaggiato il vino.
PS: ma che diavolo c’entra il libero mercato?
Mr. Oz, non c’entra niente assaggiare il vino, che potrebbe essere anche il più buono del mondo, ma non cambierebbe di una virgola il mio giudizio critico nei confronti dell’operazione varata da Allegrini e precedentemente da Masi. Se questo é il modo di onorare e rendere servizio alla Valpolicella, io sono un astronauta… Quanto alle domande di Antonio, vedrò di rispondere quanto prima
@Paglia: non so sia davvero, come dice, “una bella fortuna, per le aziende italiane, avere a disposizione dei giornalisti allo stesso tempo esperti di materie enoiche e scelte industriali e commerciali”. Io ai giornalisti “tuttologi” non credo e non penso proprio di essere uno di loro. Io mi limito a fare, spero correttamente e onestamente, il mio lavoro di cronista del vino, senza voler indicare alle aziende quello che devono fare ma sentendomi libero di criticarle qualora, come in questo caso, fanno qualcosa che non mi convince
Franco, se Allegrini fosse andato là a vinificare Corvina e Rondinella ti darei ragione al 100%, ma visto che almeno usa vitigni che là dovrebbero dare buoni risultati (Bonarda?) allora ti dò ragione solo al 90%.
é già qualcosa e mi accontento di questa percentuale piuttosto cospicua… cordialità
A leggere la scelta sembra meramente di profitto.
Come i brand del lusso che sostengono l’apertura ai paesi low cost ed economie emergenti ( bric ) come opportunità per il made in italy ( sono un minima parte di quelli che fanno parte del sistema economico italiano ).
Ovviamente lo sostengono essendo i mercati naturali di sbocco ( emea e states ) in crisi per gli acquisti del lusso, devono sostenere la loro crescita il vero motivo.
Francamente non sanno che la crescita continua non è possibile, solo dieci anni passati sulla riviera romagnola gli arrivi dei Russi erano visti come invasioni dei barbari.
Ora gli stendono il tappeto rosso: ma come se erano considerati barbari allora cosa è cambiato sono gli stessi? Forse la moneta sonante?
Pensiamo che l’economia sia sostenibile e non colonizzabile da terzi se esiste solo commercio, terziario avanzato e turismo? Se non esiste la produzione diventi dipendente tanto quanto la mancanza di materie prime ed i servizi all’Industria? A chi li vendiamo se tutti delocalizzano?
@Ziliani. Mi piacerebbe sapere perche’ mai l’Allegrini dovrebbe avere come scopo aziendale quello di onorare e rendere servizio alla Valpolicella in ogni cosa che fanno. Se in una delle loro aziende non fanno Valpolicella, come fanno ad onorarla? E sarebbe cambiato qualcosa se invece che fare l’azienda nel nuovo mondo l’avessero fatta nel vecchio, chesso’, nello Champagne. In quest’ultimo caso scommetto che tutti si sarebbero spanciati in lodi e applausi. Com’e’ snob il mondo del vino…
L’avessero fatta nello Champagne mi sarebbe scappato un francesismo, anzichenò.
una volta di più rinuncio a capire Paglia. Parliamo lingue diverse. Comunque rigetto, se riferita a me, l’accusa di snobismo. Io snob non sono mai stato e non lo sarò mai, con buona pace di Paglia…
Qualche commento sparso a questo interessante scambio di opinioni.
Pur stimando molto Franco Ziliani, e pur considerandomi abbastanza amante di “usi e costumi consolidati” (preferisco non parlare di “tradizioni” le quali -Hobsbawm docet- sono spesso inventate di sana pianta e non di rado pure di recente), mi sento piu’ che d’accordo con quello che viene chiamato l’ultraliberismo di Antonio Tombolini e Gianpaolo Paglia.
Aggiungo che queste accese diatribe su versioni caricaturizzate del liberismo hanno senso proprio in un paese come il nostro che linguisticamente fa la gran confusione con i due termini “liberale” e “liberista” (grazie ancora una volta ai buoni anglosassoni coi quali pochi giochi delle tre carte sono possibili: liberal e’ una cosa, free tradism e’ un’altra).
Piu’ che d’accordo col fatto che lo scopo dell’impresa NON sia il profitto: lo scopo dell’impresa e’ realizzare il piano d’impresa, quale esso sia.
[…] per far ripartire il paese (che io credo abbia un disperato bisogno di questo). Come si evince da questa chiaccherata, che a sua volta ripendeva questo articolo, molti non la pensano cosi’. Sembra strano, ma per […]
Scusate: ma agli Allegrini va di andare a fare un vino “alla moda dell’Amarone” in Argentina. Ebbé ? Se lo andavano a fare in Cina ? che differenza c’é tra l’ industriale tessile che delocalizza in Romania e l’imprenditore agricolo che diversifica in Argentina , piuttosto che in Ungheria ? Quante ditte hanno vigneti in tutte le parti del mondo ?
La tecnica dell’ Amarone é – appunto – una tecnica e come tale puo´essere usata in Puglia o in qualsiasi altra parte del mondo. Se gli Allegrini hanno deciso (come Masi, Torres, Antinori etc peraltro) di espandersi oltreoceano, che buon pró gli faccia. Ma a me – consumatore X – che voglio acquistare e bere un Amarone, che mi importa ?
Carlo, è che non sei un buon “patriota”. Sarà perché abiti in Danimarca che oramai sei abituato a fartela col “nemico” (leggi: i forestieri), e quindi ti sfugge l’alto appello al senso morale e civico che certamente altri hanno ben presente.
Autarchia, autarchia, la più bella cosa che ci sia… o no? 🙂
signor Paglia trovo la sua ironia gratuita. Se voleva fare ridere, involontariamente, c’é riuscito…
Franco, ma le faccine stanno lì apposta, neh? Possibile che tu debba portare tutto sempre sul piano personale? Lo sfotto’ è da sempre uno degli ingredienti più salaci (e utili) delle polemiche tra amici, e Gianpaolo vi ha fatto ricorso, eddaje, su.
caro Antonio, non é un semplice sfottò ed un’ironia tirare in ballo il discorso sulla “autarchia” che io non mi sono mai sognato di fare (continuo a preferire il thé al karkadé) e le battutine su “l’alto appello al senso morale e civico che certamente altri hanno ben presente” sono piuttosto debolucce. I discorsi di Paglia, che é sicuramente un capace e abile produttore, continuano, chissà perché, a non convincermi, a lasciarmi perplesso. Se poi ricorre a questi mezzucci… altro che “piano personale” Antonio!
ah Fra’, mi viene una domanda: ma hai mai riso di te stesso? No, non nella vita reale, che lì lo so che lo hai fatto, ti conosco, e sei una delle persone più squisite che conosca. Ma online no, secondo me non lo hai mai fatto.