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Parte Prima
DIRITTO E TEMPO NELLA FILOSOFIA GIURIDICA ITALIANA
Capitolo III
Il diritto come valore universale: Enrico Opocher
§22 Il tempo giuridico come eterno presente
Il passaggio al secondo aspetto della questione, relativo all’uso del tempo nel diritto, o, in breve, al "tempo giuridico", è segnato dalla prospettiva adottata nel risolvere il problema del diritto come valore:
"Come agisce il diritto nel tempo per assicurarsi quella continuità, che è la sua universalità di valore, secondo la sua specifica prospettiva?"9.
La domanda, così come formulata dall’autore, continua a farci oscillare da un estremo all’altro: ora la continuità non appare più come espressione del valore-diritto, ma si presenta piuttosto come carattere che il diritto deve in un certo senso guadagnare a se stesso, "assicurarsi", per potersi affermare come valore.
L’analisi dei modi del tempo giuridico ci riporta, a grandi linee, alle conclusioni degli studi già in precedenza esaminati, sintetizzabili in ciò che Capozzi definisce la intemporalità del tempo giuridico.
Questo, infatti, è descritto da Opocher "come un tempo circoscritto, come un segmento della continuità temporale assolutizzato e che perciò sospinge nel nulla ciò che non vi si può inscrivere", e ancora come "avulso dalla continuità temporale e, quindi, spazializzato"10, in una parola, inautentico.
A questo punto, Opocher avverte la questione che subito si pone come essenziale, data l’inautenticità del tempo giuridico:
"Perché il diritto ci presenta, per quanto riguarda la definizione del ‘tempo giuridico’, il paradosso di affermare la sua continuità di valore e quindi la sua universalità sovrapponendo al fluire del tempo la staticità di un eterno presente e, quindi, esplicando la sua validità assiologica attraverso la validità formale?"11.
E’ proprio questo interrogativo, come riconosce l’autore, a costituire "il nodo centrale della filosofia del diritto al quale puntualmente porta una riflessione su diritto e tempo"12.
Ed è in sostanza lo stesso interrogativo già emerso come fondamentale nel corso della presente ricerca: data l’inautenticità intrinseca del tempo giuridico, del tempo del diritto, che ne è dei suoi rapporti con la temporalità autentica dell’esistenza e dell’essere in generale? Che ne è del diritto nel tempo?
Opocher fa precedere al suo breve cenno di soluzione del problema un’ampia digressione sul primato, nell’àmbito del tempo giuridico, di una delle tre dimensioni temporali.
Descritte le rispettive posizioni di chi vede prevalere in esso il passato o il futuro, Opocher si impegna a sostenere la tesi per cui tale primato sarebbe da assegnarsi al presente, stante la riduzione ad esso che subirebbero le dimensioni del passato e del futuro.
Un’azione che sia rilevante per il tempo giuridico, una volta accaduta, vale in quanto irrigidita in una sorta di "eterno presente", puramente giuridico, che le sottrae al "passare". Così come un’azione futura rileva per il diritto solo nel momento in cui, compiendosi, perviene al presente.
Cosicché, procedendo a quella ch’egli stesso definisce una "palinodia", Opocher conclude:
"Il ‘tempo giuridico’ non è il passato, come allora affermavo tutto preso dalla concezione del diritto come attività, e nemmeno il futuro. Esso è il presente o, meglio, un’assolutizzazione del presente che costituisce quasi una scialba immagine della durata del tempo ma che è tuttavia sufficiente a suggerire ed, anzi, a imporre l’idea della continuità del diritto"13.
Non ci soffermiamo oltre sul problema del primato giuridico di una delle tre dimensioni temporali, limitandoci a far rilevare come il problema appaia superato alla luce dell’illustrazione della temporalità intrinseca della norma come previsione, elaborata da Capozzi, che mette capo, nel diritto, all’equivalenza di passato e futuro, e dunque all’intemporalità del tempo giuridico14.
Al problema individuato dallo stesso Opocher come fondamentale ("il nodo centrale della filosofia del diritto") e richiamato sopra, l’autore dedica in realtà pochi cenni conclusivi, limitandosi a rilevare che "dal punto di vista della durata e cioè del fluire del tempo, nessun giudizio, nemmeno quello giuridico, è possibile sull’azione"15.
Poiché tuttavia il diritto consiste proprio nella possibilità di giudicare l’azione, esso dovrà per ciò stesso sottrarsi alla durata del tempo vissuto, per dar vita ad una sorta di artificiale eternità tutta giuridica:
"La giustizia richiede che il tempo, in qualche modo, si fermi, e l’azione possa essere dispiegata oltre l’attimo in cui si accende, per l’eternità"16.
Se pretendesse di attuarsi nel pieno fluire del tempo proprio della durata esistenziale, il diritto "si troverebbe a doversi attuare quasi sulle sabbie mobili, in una sfera dove, come profondamente vide il cristianesimo, più che la giustizia contano la carità e la comprensione"17.
L’impostazione che qui Opocher accenna muove da un salutare senso del limite che consente di non assolutizzare il diritto nell’àmbito dell’esistenza umana, pericolo sempre in agguato e permanente tentazione del giurista.
Tuttavia la soluzione prospettata appare insufficiente dal punto di vista teoretico, restando del tutto irrisolto il problema del perché il diritto, con le sue caratteristiche di inautenticità temporale, quanto meno intrinseca, resti uno dei fenomeni più radicati nell’esistenza dell’uomo, tanto da imporsi intuitivamente come necessario.
NOTE
9 DT, pp. 154-155 (torna al testo).
10 DT, p. 155 (torna al testo).
11 DT, p. 157 (torna al testo).
12 DT, p. 158 (torna al testo).
13 DT, p. 157 (torna al testo).
14 Cfr. retro, §§10 e 13 (torna al testo).
15 DT, p. 158 (torna al testo).
16 Ibidem (torna al testo).
17 Ibidem (torna al testo).
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