
Ce ne sono ancora alcuni che non esitano a dire che si sentirebbero “lusingati” dalle attenzioni di un editore tradizionale. Dovessi però dare un’idea della tendenza e degli umori di gran lunga (e in misura crescente) prevalenti tra i nostri self-publishers, userei quel che mi ha scritto una di loro, che ha fatto il percorso inverso (da un editore tradizionale al self-publishing, e non il contrario):
“In base alle mie precedenti esperienze con gli editori di turno mi vien da dire: Narcissus a vita. Io vengo da [Nome Grande Editore] e credo fortemente nel self-publishing. Nel VOSTRO self-publishing. E in Simplicissimus. Siete i migliori, punto ;-)”
Ora, a parte gli apprezzamenti nei confronti della nostra piattaforma – che giro tutti e per intero alla mia tribù: bravi! – mi verrebbe da dire: cari amici editori, potete davvero permettervi ancora di negare, o denigrare, o anche solo trascurare il fenomeno del self-publishing? E ai più avvertiti: pensate davvero che averci a che fare significhi solo usare il self-publishing come serbatoio di talenti da cui estrarre a vostro piacimento i migliori?
O in altre parole: quello che si è fisicamente e corporeamente manifestato a #ISPF2013, ovvero il self-publishing come luogo possibile per un rinascimento dell’editoria, con tutti i suoi mestieri dentro, è stato compreso? [E quanti editori, tra i 1200 e più che affollavano la piazza, vi hanno partecipato?].