Il blog di Antonio Tombolini

Basta co' 'sti business models, è tempo di Hopeful Monsters!

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Hopeful Monster
Vogliamo dirlo? Da tempo tutti quelli che fanno un mestiere che ha a che fare con il mercato non ne possono più. Del business model, intendo.
Non c’è manager che sfugga alla tentazione di rifugiarsi dietro questa abusata espressione, nell’intento di nascondere il proprio disorientamento, il proprio non-saper-che-fare: è un problema di business model, dobbiamo definire il business model, ci serve qualcuno che progetti un nuovo business model, non possiamo andare avanti senza un business model…
Basta! No, signori miei: il problema non è affatto il business model! Il problema è che in una fase di trasformazioni radicali, strutturali, rivoluzionarie in pressoché tutti i settori, il business model, nuovo o vecchio che sia, non serve a niente.
E allora che facciamo?
Facile: rinunciamo alla ricerca del business model che risolva tutti i nostri guai, e prendiamo il coraggio a due mani per dar vita a Hopeful Monsters, a prodotti nuovi, a servizi mai immaginati.
E facciamolo, naturalmente, cambiando radicalmente lo stile di gestione del business dominante: il manager non sia più un pianificatore (di che?), ma un esploratore, uno scienziato, uno sperimentatore.
[Disclosure: le riflessioni qui contenute sono frutto dell’illuminazione provocata dalla lettura di questo post di Marco Formento, grazie!]

Commenta

  • Caro Antonio, una simpatica provocazione, la tua. ma non più che una provocazione.
    Anche nella “strategia” che proponi tu c’è in realtà dietro un modello di business. Quello del Venture Capital, in particolare. “Freghiamocene di un risultato nel breve, puntiamo sulla crescita esponenziale, troviamo una nicchia”. Ognuno parte col suo claim. E ovviamente “ha” un modello di business: investire su tante strade, fino a trovare la classica “gallina”. Le aziende finanziate posono permettersi ovviamente di vivere per uno o due anni senza avere un BM, ma prima o poi…
    Te lo dice uno laureato in “business modeling”, o qualcosa del genere! 😛

  • Eugenio, ma io non parlo del Venture Capital: parlo proprio della singola azienda, anzi, proprio del singolo prodotto. Non parlo del venture capitalist, ma del manager, del responsabile d’azienda, del “product manager” addirittura. Il prodotto, nell’ottica dell’Helpful Monster, viene prima del modello di business che dovrebbe giustificarlo. E questa mi sembra l’unica risposta possibile in tempi di rivoluzione.
    Le vere rivoluzioni, diceva uno, si riconoscono dal fatto che quel che c’era prima non funziona già più mentre quel che dovrebbe sostituirlo non c’è ancora.
    E bada che io non predico affatto l'”avventurismo”, tutt’altro: adottare l’ottica degli Helpful Monsters significa semmai adottare la *cautela* che è propria dell’esploratore, che è il contrario della “spregiudicatezza” di chi propugna un suo “business model” (e che tanti danni ha già fatto e tante risorse ha già sprecato).

  • “Il prodotto, nell’ottica dell’Helpful Monster, viene prima del modello di business che dovrebbe giustificarlo.”
    Il prodotto – o meglio il produttore – sono SEMPRE venuti prima del modello di busines. Allora ??
    Vogliamo concretizzare con qualche esempio terra terra ?

  • No, non sempre Carlo, e non più da almeno un paio di secoli, se non per le “piccole” cose artigianali. Un tempo funzionava così: “oh che vino buono che faccio, mi piace un casino, e se piace a me mi sa che c’è in giro un po’ di gente che se lo comprerebbe, vediamo un po’”, si andava al mercato, e si scopriva se davvero qualcuno se lo comprava oppure no. Se se lo compravano, si continuava, si cresceva, ecc…, se non se lo compravano si tornava a casa mesti, poi si passava ad altro: “ok, visto che questo non va, che si fa ora?”.
    Adesso invece, da quando il marketing regna su tutti noi, si fa così: “bisognerebbe sapere cosa cavolo la gente comprerebbe per coprirci di soldi… facciamo una bella ricerca di mercato, vah”, si fa la ricerca di mercato, la parte vera è quella inutile (del tipo “abbiamo scoperto che i laureati sono più propensi a leggere libri di filosofia”, ma va!), la parte non vera è quella pericolosa, del tipo “secondo noi siccome il trend è che le donne amano il rosato, allora dovremmo fabbricare un vino rosato, dolcino, non troppo forte, e con tanti cuoricini sull’etichetta”, e il produttore fa “aho’, ma ‘sto vino fa schifo!”, “non importa! c’è il business, chettifrega! E poi lo vedi che si stanno buttando tutti sul rosato?”, e via andare…
    In particolare nei newbusiness del digitale ecc…, in tutto ciò in cui la rete ha comportato e comporta cambiamenti radicali, nessuno si avventura a fare un buon prodotto per vedere che succede, ma tutti lì a coprire di soldi i soliti consulentoni e dirigentoni a fare riunioni di oreoreore a chiedersi “ma quale modello di business vogliamo adottare?”: A LAVORARE, PERDIO, altro che modello di business! 😀

  • Francesco, certo che ne parlo, è la pars denstruens della mia critica!
    Poi tu ti diverti a fare il sofista, come ti capita di tanto in tanto, ma ormai non mi freghi più! 😉
    Lo dico con un altro esempio: mettiamoci nei panni di un esploratore che decide di inoltrarsi per un nuovo territorio appena scoperto, non presente in alcuna mappa. Il suo dire sarà: non cercate la mappa di questo posto, perché non c’è, piuttosto fai l’esploratore, e cioè fai un passo alla volta, con cautela, tastando il terreno, pronto a ritrarlo e a cambiare direzione in caso di pericolo ecc…, insomma rinuncia alle mappe (così come io dico “rinuncia al modello”), perché non ce ne sono.
    In questo caso potresti sempre dire che l’esploratore sta proponendo di usare come mappa una non-mappa, ma non sarebbe di grande aiuto 🙂

  • ciao, sono in linea con quel che dici. Banalm casi di grandi successi come Google non avevano nei primi 2 anni un preciso business model, ma i 2 tipi procedevano a indicizzare il più possibile. Diciamo che un punto di riferimento oggi nel web 2.0 è quello di incrementare al meglio la visibilità/traffico del sito, o, se si fanno sistemi back-end, indicizzare il piu possibile informazioni e documenti in maniera strutturata…poi il business model può emergere da solo. Riguardo all’aspetto evolutivo che citi, sono un darwiniano, cioè credo nell’impossibilità di un disegno intelligente e strategioco aprioristico, invece credo nel procedere statisticamente x nicchie di possibilità, poi le variabili in gioco ‘decideranno’ quale nicchia premiare. Ovviamente creare qs nicchie non singifica stupidamente spargere semi di grano anche nell’oceano, ma metterci anche un po’ di buon senso, intuizione…l’evoluzione è casuale solo sincronicamente, ma a posteriori insegna anche qualcosa! Complimenti x il tuo blog e le tue iniziative

  • Lanci troppe idee e non ne porti avanti una ( tipo paperless e vrm project ) sei poco autorevole e credibile, personalmente non ti credo più.

  • Il modello delle mappe mi sembra riduttivo rispetto allo spazio della ricerca e del business. Qui la geografia cambia dinamicamente non appena c’è un nuovo contributo, e anche la stessa esplorazione del singolo può già contribuire a una modifica…. PM (il paolo di 2-3 comment fa)

  • Ops, sono stato frainteso. Intendevo dire che anche nel manager che decide di dare libertà al team di “sprecare qualche risorsa” (una cosa tipicamente contraria all’efficienza gestionale) c’è in realtà la lungimiranza legata all’attesa di un ritorno “statistico”, ovvero quanto i VC fanno in grande. 🙂

  • Eugenio, sai che ti stimo, e per questo non ti mollo 😉
    Qui non si tratta più di manager “illuminati” che decidono di “sprecare qualche risorsa” in libertà. Si tratta di mollare l’ottica del “modello” da costruire a tavolino e da applicare poi alla realtà. Quando la realtà è del tutto sconosciuta, e per di più come osservava Paolo sopra, in continua trasformazione, il modello arriva per definizione sempre troppo tardi. Insomma, è il vecchio “imparar facendo”.

  • Antonio sono felice di vedere riprendere la discussione e… ri-‘quoto’ anche io;) quando dici
    “E facciamolo, naturalmente, cambiando radicalmente lo stile di gestione del business dominante: il manager non sia più un pianificatore (di che?), ma un esploratore, uno scienziato, uno sperimentatore.”
    Bibbia^^

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