Non è facile mantenere l’approccio razionale e pragmatico che mi ero riproposto in questo tentativo di analisi: si rischia costantemente di deviare frettolosamente verso l’espressione di giudizi conclusivi prematuri. Per di più nei commenti ai post precedenti sono state avanzate ipotesi e inseriti elementi ulteriori di cui ringrazio e di cui voglio far tesoro.
Per tutto questo è giusto ora fermarci un attimo (non molto, la diagnosi è urgente!) per raccogliere quel che abbiamo trovato di valido lungo il cammino fin qui percorso e scartare quel che non ci serve.
Quindi, riassumiamo.
1. La campagna astensionistica e quella per il Sì non hanno spostato una sola decisione rispetto alla quota di astenuti, identica a quella dei referendum di due anni fa: l’astensionismo referendario del 75% non ha in sé nulla né di attivo (come vorrebbe Ruini) né di fisiologico (come vorrebbe Fassino): il 75% di astenuti è la patologia, o meglio: uno dei sintomi più evidenti della più ampia e devastante patologia politica, sociale e religiosa italiana. Le domande che ne derivano sono: qual è questa patologia? Quali ne sono i caratteri essenziali? E il ruolo della Gerarchia Ecclesiastica vaticana è dunque nullo? O non è piuttosto un ruolo che – del tutto ininfluente a livello di base – svolge invece il massimo della sua efficienza ed efficacia proprio a livello dei vertici del Potere (politico, economico, …), co-determinandone la corruzione e la patologia specifica?
2. L’inservibilità cui è ridotto ad oggi lo strumento referendario non è da attribuirsi al luogo comune del ne abbiamo fatti troppi (nelle due simpatiche varianti del e su temi troppo stupidi o, a seconda delle occasioni, su temi troppo importanti), ma piuttosto al dato di fatto della neutralizzazione e mancato rispetto dei suoi risultati, sistematicamente ribaltati dal potere. Ne emerge una domanda ineludibile: perché allora, sapendo questo, i radicali (e su questo tema riuscendo, pur a fatica, a coinvolgere qualcun altro) hanno promosso (e lottato per) questi referendum? Domanda capitale, da affrontare, si badi bene, non in termini di giudizio sul passato alla ricerca di colpe, ma in termini di sguardo sul futuro, per comprendere – sulla base del già fatto – il senso possibile del da fare.
3. Un elemento che emerge nella sua specifità legata ai recenti temi referendari, ma di portata generale più assai più vasta è (come l’ha definito Andrea in un suo commento) il deficit di cultura, pensiero e metodo scientifici nel nostro Paese. La domanda che ne ricavo è: siamo, nel nostro Paese, nelle sue articolazioni (politica, scuola, impresa, economia, società, libertà, salute…), all’altezza delle sfide e dei rischi che il progresso tecnologico, specialmente nel campo delle biotecnologie, presenta?
Antonio,
non appena lo completo ti mando una sorta di schema che va trovando le concause del fallito referendum nelle intersezioni multiple di alcune categorie mentali:
la politica,
la Chiesa,
la Società,
la Cultura,
Lo strumento,
l’argomento,
l’informazione TV,
la Legalità,
la situazione internazionale.
Ne derivano molte diagnosi che tracciano un quadro, in medicina si direbbe una sindrome caratterizzata da una molteplicità di fattori causali.
In medicina le sindromi vengono affrontate con un approccio multidisciplinare perchè non è possibile rimuovere un solo fattore per ottenere la guarigione.
Mi pare la situazione. Perciò non una sola soluzione, ma molte e diversificate.
Concludo per ora che questo esito odierno viene da lontano ed ha solo in minima parte a che fare con l’argomento del referendum (che comunque è stato manipolato e mistificato fino allo stravolgimento della sua sostanza).
Forse alla sconfitta ha contribuito anche il fatto che alle regionali i radicali non hanno raggiunto un accordo con gli schieramenti politici.
Se si fossero presentati con il centro sinistra forse quest’ultmimo avrebbe fatto maggiormente propria la campagna referendaria e l’elettorato sarebbe stato maggiormente informato e coinvolto.
In quest’ottica un’ulteriore, grave reponsabilità ricadrebbe sulla Margherita che pose il veto sul nome ‘Luca Coscioni’.
Perchè, pur consapevoli da anni delle nostre analisi sui tanti aspetti del CASO ITALIA (the real sickman of Europe), abbiamo puntato sul referendum?
Molte risposte, ma quella essenziale per me è: perchè questo referendum era l’unico modo possibile per noi per accendere il fuoco dell’evento, sbloccare la situazione politica ingessata, rimescolare le carte su nuovi schieramenti, per svelare l’arcano e gli arcani collegati, insomma per rimettere in moto la politica, per avviare una strategia, un progetto, una vision che fosse da volano per rimettere in moto un Pese paralizzato, ingessato, ripiegato su se stesso, con tendenze alla chiusura (nel senso della società chiusa) ed aal’autoconsumo di se stesso.
Non ci siamo riusciti perchè sono prevalsi i progetti di conservazione, di paura del nuovo, di sfida a ciò che pare consolidato ed invece si sta sbriciolando nonostante le apparenze.
Mi sembra che qui si voli troppo alto, come troppo alto si è volato, a mio parere, durante la campagna referendaria.
Tante giustissime enunciazioni di principio, pochi esempi pratici degli effetti della legge 40.
Conosco parecchie persone che si sono astenute e nessuna lo ha fatto seguendo Ruini.
Elenco qualche argomentazione:
1) con tanti bambini da adottare, perché usare la PMA? Non ho visto nessuno, nei tanti dibattiti, rispondere a questa comunissima obiezione, magari semplicemente dicendo che la stessa obiezione si potrebbe fare a chi i bambini può farli senza PMA.
2) non ci ho capito niente; è tanto che non voto per un referendum (o non ho mai votato) e non avrei saputo neanche se era il sì o il no a corrispondere alle mie idee.
3) chi sono io per rispondere a una domanda del genere (con la variante classista: come si può fare questa domanda a chi ha la quinta elementare?)?
Credo si sia perso di vista che i più grossi motori di Cultura, di Alfabetizzazione e di Valori (Chiesa, Scuola, Partiti e Movimenti) hanno smesso da tempo di mettere le persone in condizione di leggere e capire quel che leggono senza traduttori.
So che sto generalizzando e (e)semplifico ancora: ho visto vecchi comunisti pensionati con la seconda elementare occupare delle ore per leggere con il loro ritmo una pagina di giornale, e alla fine erano capaci di dirti quello che avevano letto tra le righe; vedo in continuazione giovani laureati o con cultura universitaria incapaci di discutere di qualsiasi cosa non faccia parte della loro preparazione professionale (e talvolta neanche di quella).
Perciò, secondo il mio parere (e non è da ora che lo sostengo), la strada per far tornare le persone ad occuparsi di politica è quella di farli tornare ad essere cittadini (e non è la strada leaderistica che hanno tutti i partiti italiani, nessuno eccettuato); credo che le energie si possano utilizzare meglio partendo dal basso e coinvolgendo chi ci sta attorno nella politica degli Enti Locali, nelle decisioni su quello che ha influenza su di loro tutti i giorni, prima che si sentano pronti a prendere decisioni che riguardano il Senso della Vita, l’Ordinamento dello Stato, la Politica Economica del Paese.
My 2 Cents