Prima che il Parlamento legiferi a sorpresa sull’eutanasia. Prima che ci tocchi discuterne tra noi senza saperne niente. Prima che qualcuno approfitti della nostra ignoranza per ridurci a discuterne come si trattasse di una partita di calcio, in cui fare il tifo come forsennati senza capire niente. Prima che tutto ciò accada, cominciamo a parlarne. E cominciamo cercando di capire.
E’ un argomento complesso. Non complicato, ma complesso: per cominciare a capirne, e a discuterne, bisogna fare un po’ di fatica, saperne un po’ di più. Per questo vorrei avviare una riflessione sull’eutanasia riportando qui sotto per intero una riflessione di Piero Welby, alias Il Calibano, che il problema lo affronta e lo approfondisce da anni, e ne parla come di chi parla di cosa che certamente lo riguarda e lo riguarderà – Piero è infatti malato di distrofia muscolare progressiva – (non come noi, che pensiamo, sbagliando, che queste cose non ci riguarderanno mai).
Ah, una cosa: non azzardatevi, in futuro, a voler discutere di eutanasia con me senza aver prima letto questo importante articolo di Piero, non sarò disponibile a farlo. Buona lettura.
Nella presentazione del Disegno di legge N. 2943 – Norme in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento – d’iniziativa del senatore Tomassini, si chiarisce che “l’eutanasia non è assolutamente consentita dai codici del nostro Paese […]” ma “Compito della società è garantire e tutelare la vita dei cittadini assicurando loro tutti i mezzi a disposizione per le terapie curative o palliative migliori, a garanzia di un’esistenza dignitosa fino all’ultimo”.
Intendo affrontare la contraddittorietà di queste affermazioni il cui fine, a mio avviso, è quello di ribadire l’indisponibilità assoluta della vita e, al contempo, introdurre il concetto di dignità della vita stessa che il DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento) dovrebbe tutelare rispettando le diverse autorappresentazioni dell’esistenza e della dignità che le persone affideranno alle dichiarazioni anticipate di trattamento.
Riguardo all’eutanasia, il Presidente del Comitato nazionale per la bioetica scrive: “Non sempre si distinguono dall’eutanasia – intesa come l’uccisione intenzionale di un paziente – ipotesi limitrofe, ma radicalmente diverse, quali la rinuncia del medico all’accanimento terapeutico (sempre doverosa), la rinuncia del paziente cosciente e informato a cure anche di sostegno vitale (rinuncia tragica, ma giuridicamente legittima) o la somministrazione a pazienti terminali di terapie finalizzate specificamente a combattere i dolori della malattia, anche se potenzialmente in grado di accelerare un decesso ormai comunque vicino e ineuttabile”. L’Art. 5. (Situazione d’urgenza) 1. specifica che “non è richiesto il consenso al trattamento sanitario quando la vita della persona incapace sia in pericolo ovvero quando il suo consenso o dissenso non possa essere ottenuto e la sua integrità fisica sia minacciata”.
L’obiezione del prof. Demetrio Neri, membro del Cnb, è illuminante: “Per quale ragione un paziente competente che impone la sua volontà al medico non riduce la medicina a esecuzione di prestazioni a richiesta, mentre questo effetto verrebbe prodotto da un’analoga decisione precedentemente assunta dallo stesso paziente?”Vorrei rappresentare una situazione rara, ma non infrequente, che riguarda le persone colpite da patologie degenerative che, dopo aver gravemente limitato, o totalmente annullato, le capacità motorie culminano in una insufficienza respiratoria e, in molti casi, in uno stato comatoso che viene risolto con il ricovero in un reparto di rianimazione dove si procede all’intubazione e alla stabilizzazione dei parametri. Il secondo step è la tracheostomia e il supporto di un ventilatore polmonare che incide in modo determinante sulla già scarsa qualità della vita e, in molti casi, per superare le difficoltà di deglutizione si ricorre alla NIA tramite PEG.
Se tutto ciò è in contrasto con le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento espresse, come possono essere tutelate queste persone? Queste patologie (Distrofie muscolari, SLA ecc.) sono caratterizzate da una lenta, ma inesorabile, progressività che non compromette le facoltà intellettive, e il living will potrebbe rappresentare per alcuni malati costretti a misurarsi per lungi anni con quasi tutte le forme di handicap, una decisione più che ponderata.
Due anni fa posi al prof. D’Agostino, presidente del Cnb, questa domanda: “Lei ritiene ‘etico’ rianimare un distrofico che la malattia ha costretto all’immobilità e restituirlo alla vita vincolato ad un biomacchinario che ne supporti la respirazione e l’alimentazione?”. Il prof. D’Agostino, persona eccezionalmente disponibile e dotata di grande umanità, mi rispose così: “Comprendo il dramma che la sua domanda pone, ma non ho una risposta”.
Oggi il Disegno di legge N. 2943 potrebbe dare quella risposta che, sono certo, anche il prof. D’Agostino avrebbe voluto e saputo dare, ma gli fu impedito dalla sua deontologia.Concludo con questo scritto del prof Demetrio Neri: “Ci sono persone che sopportano pazientemente tutto quel che la sorte porta con sé e non trovano indecoroso vivere intubati o collegati ad altre macchine che controllano le condizioni esterne della loro vita: chiedono anzi che sia fatto tutto il fattibile per allungare anche di poco la loro vita, fin oltre il limite l’accanimento terapeutico. Hanno certamente le loro ragioni per accettare tutto questo e non c’è neppure bisogno di sapere quali siano: sono le loro ragioni. Possiamo al massimo pensare che nel significato che queste persone attribuiscono al termine dignità non hanno un ruolo significativo l’autonomia e il controllo sul proprio corpo e la propria vita o che, comunque, la perdita di autonomia e di controllo non viene percepita come gravemente lesiva della loro dignità. Vi sono invece persone che possono ritenere che una parte essenziale della loro dignità risieda appunto nel mantenere un ragionevole controllo su quel che accade alla propria vita e per questo sono angosciate dall’idea di poterne passare la parte finale in condizioni che esse considerano, per varie ragioni (ma sempre le loro ragioni), gravemente lesive della loro dignità.”
Nella prefazione al saggio Eutanasia (Sofferenza & dignità al crepuscolo della vita) di Bernard Ars e Etienne Montero, il prof D’Agostino scrive: “La tentazione dell’ accanimento terapeutico è il rovescio della medaglia degli straordinari progressi compiuti dalla medicina, specialmente nel campo della rianimazione” e nel primo capitolo si legge: “Il principio del rispetto della vita ci porta non solo a respingere l’eutanasia intesa come intenzione di dare la morte, ossia l’esatto contrario di quel principio, ma anche a rifiutare la pratica di cure sproporzionate, incompatibili con il rispetto della qualità della vita del paziente”.
Senza stravolgere l’impianto del Disegno di legge N° 2943, si dovrebbero rispettare le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento espresse da quei malati colpiti da patologie degenerative che non vorrebbero essere costretti ad affrontare l’ultima parte della vita in condizioni tali che li porterebbero a desiderare l’eutanasia.