Bruno Ruffilli de La Stampa intervista Gino Mattiuzzo di Google Books e gli chiede:
Il vostro è uno standard universale?
Gli non-risponde l’ineffabile Mattiuzzo:
“E’ facilmente accessibile da tutto il mondo tramite internet, conta dodici milioni di titoli in oltre cento lingue, è un patrimonio enorme a disposizione di tutti”.
Uno dei nostri tanti politicanti non avrebbe saputo essere così meravigliosamente elusivo.
Ciao Antonio,
non conosco il contesto, però penso che chi ha risposto abbia fatto bene.
La domanda “è uno standard” è una delle più stupide che esistano. Perchè vuole essere furba e non lo è mai. Anche nel mio lavoro si sente fare spesso, implicando che ciò che non è standard sia riprovevole, ma mai spiegando cosa si intende per standard e per quale motivo standard sarebbe cosa buona e giusta.
Prendiamo l’esempio dei libri. Standard potrebbe significare: “nella lingua che tutti parlano qui”, perchè se un libro è in una lingua che non si capisce non serve a nulla. Allora la domanda “i libri sono in Italiano?” sarebbe enormemente più pertinente (e non eludibile) e la risposta enormemente più interessante. Oppure potrebbe significare: “che aderisce ad una specifica tecnica pubblica che tutti possono adottare senza pagare diritti”. Bene allora è meglio un libro in un formato che tutti possono leggere dal computer, oppure in uno che pochissimi possono leggere da un lettore di libri? Le domande devono concernere il criterio specifico di valore.
La domanda “è standard” nella migliore delle ipotesi tradisce dilettantismo, nella peggiore malafede.
Qui la questione riguarda il formato, e la domanda mi appare tutt’altro che stupida: solo un formato standard, proprio nel senso che tu indichi (“che aderisce ecc…”), può garantire sia chi compra un ebook (interoperabilità del contenuto acquistato) che chi lo crea, produce, pubblica, distribuisce, sottraendo la transazione (e dunque il rapporto cliente-fornitore) dall’arbitrio di chi detiene le chiavi del formato “proprietario”, consentendo così la possibilità di un mercato aperto e libero. Naturalmente non basta lo standard sui formati: occorre anche sui meccanismi di protezione e criptazione, così come sui protocolli di gestione dei (micro)pagamenti.
Concordo con te, Antonio: la domanda era chiarissima e la risposta molto elusiva. Un buon lavoro dell’ufficio PR 🙂
Infatti, la domanda era chiarissima e si meritava quella risposta 🙂
Concentriamoci sul “mercato aperto e libero”. Gli strumenti esistono ed esistevano prima di Google Books. Qualcuno è stato in grado di creare una biblioteca online comparabile come dimensioni? Datemi l’URL che ci vado subito!
Poi arriva Google che per suo tornaconto crea Google Books.
Uno come me stava meglio prima o adesso?
A me pare che spesso si affrontino questi argomenti su posizioni di principio piuttosto che guardando in faccia la realtà. Non mi fraintedete, apprezzo e sostengo gli standard, il fatto che la gente metta a disposizione il proprio “cognitive surplus”, ho installato Linux la prima volta nel settembre 1994, ecc. ecc. E’ solo che ho abbandonato la visione dicotomica del mondo un sacco di tempo fa. Chi lavora per profitto ha lo stesso diritto di cittadinanza su Internet di chi lo fa gratis. Oltre a tutte le cose belle e buone che ci sono su internet c’è *anche* Google Books, non mi pare male.
Infine per abbandonare i discorsi sui massimi sistemi proviamo a ragionare in concreto:
1) quale è il problema del formato di Google Books?
2) per chi è un problema?
3) quanti sono?
4) cosa dovrebbe fare Google e cosa ne avrebbe in cambio? (come ogni azienda deve giustificare come spende i suoi soldi)
5) dopo, cosa ne avrebbero in cambio quelli del punto 2) ?
Scherzo! Non provate neanche a rispondere altrimenti non la finiamo più. Magari se ci vediamo ne parliamo con una bottiglia di vino.
In parte concordo con Bruno: lo standard non si definisce a tavolino, la medaglia va meritata sul campo.
Detto questo, credo che specifiche tecniche aperte, sistemi e protocolli interoperabili alla lunga saranno vincenti proprio sul campo.
Lo *Standard* di Googlebooks non solo è *universale*, ma altresì il migliore attualmente disponibile in relazione agli aspetti di
– praticità d’uso
– rapporto di compressione/qualità
– richieste hardware/versione PDF
Esaminato nel dettaglio, lo standard di google, consiste nel fornire rappresentazioni bicromatiche delle scansioni di libri effettuate con due speciali fotocamere all’infrarosso
il risultato viene poi processato con l’algoritmo jbig2, sviluppato in maniera indipendente e poi acquisito da google che lo ha perfezionato aggiungendo un mix di jpeg2000 per rappresentazioni a colori di parti di immagini per le quali la rappresentazione bicromatica non sarebbe stata fedele
le scansioni così processate, sono poi assemblate in un file pdf che le contiene (versione 1.4 in maniera da essere universalmente visualizzabili)
L’imperizia e la scarsa o nulla informazione riguardo ai formati e ai rapporti ottimali di compressione, hanno prodotto, negli anni, aberrazioni come scansioni a colori a 32 bit di libri che mandavano in out of memory i lettori pdf, talilibri saranno fortunatamente riscansionati, in Italia e resi disponibili in bianco/nero con compressione jbig2, la qual cosa, cobnsente anche di potersi stampare un volume senza ricorrere a penose e lunghe operazioni preliminari per rendere bianco lo sfondo
le specifiche jbig2, sull’encoder jbig2enc, sul formato pdf e i rapporti di compressione, sono liberamente consultabili, per chi aspirasse a parlare con cognizione di causa invece che esprimere vaghe generiche, e, nella maggior parte dei casi, errate opinioni, sul sito dell’imperialviolet e sul sito leptonica.com