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Parte Prima
DIRITTO E TEMPO NELLA FILOSOFIA GIURIDICA ITALIANA
Capitolo II
Temporalità riconoscimento e diritto: Bruno Romano
§18 L’eterno come fondamento del dovere
L’incontro con Kierkegaard segna una tappa importante della riflessione di Romano. A tale incontro è dedicato il volume del 1973 su Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard31.
Accolta da Heidegger la struttura della temporalità esistenziale come
unità delle tre ecstasi temporali (passato, presente e futuro), Romano
riconduce qui tale struttura alla "visione sintetica dell’esistenza"
propria del filosofo danese32.
In breve, secondo la prospettiva kierkegaardiana, l’uomo è costituito nel suo essere da una sintesi finito-infinito, che temporalmente assume il carattere di una sintesi tra il tempo e l’eternità:
"In Kierkegaard la visione sintetica dell’esistenza illumina la storicità umana nella sintesi di tempo ed eterno. Il tempo è il movimento, che nel suo farsi si smembra nelle tre ec-stasi temporali; l’eterno è il presente, il contemporaneo"33.
Romano individua nella partecipazione all’eterno, che Kierkegaard segnala come caratteristica dell’uomo, l’esplicitazione più compiuta di quello che Heidegger chiama "orizzonte ec-statico" della temporalità, e cioè l’unità delle tre ecstasi temporali.
A differenza di Heidegger, dunque, Kierkegaard perverrebbe ad una connotazione più concreta di tale unità, individuandola nell’eterno, da cui proviene all’uomo il tu devi che fonda l’esperienza giuridica e morale:
"L’unità della temporalità, affermata da Heidegger come custodia del se-stesso e garanzia del suo non dissolversi nel semplice movimento temporale intramondano, rimane postulata, perché difetta proprio dell’essere iscritta nella dimensione del dover-essere. L’unità di poter-essere-dover-essere in Kierkegaard è il segno, sul piano del divenire, della sinteticità dell’esistenza e traduce la sua costituzione temporale che è, come si è detto, l’insieme di tempo ed eterno e che proprio per la partecipazione all’eterno acquista la realtà della contemporaneità"34.
Una temporalità puntuale, persa nell’indifferente e sconnesso fluire dell’istante presente nel passato, non potrebbe infatti fondare alcun dovere, che come tale richiede una dimensione di continuità e di durata. La continuità e la durata nel tempo sono rese possibili non dal tempo stesso, nella sua successione, ma dall’eterno.
La temporalità esistenziale, come sintesi di tempo e di eterno, fonda dunque, in Kierkegaard, il concetto e la realtà del dovere:
"In verità solo il dovere che sorge dalla partecipazione all’eterno, e che ha il senso dell’unità delle tre ec-stasi temporali, può fondare il giuramento come mezzo per dare continuità, durata al rapporto, perché, in Kierkegaard, solo l’eterno può fondare la contemporaneità che dà ai progetti coesistenziali il tempo della durata"35.
E’ questo il luogo in cui il diritto risulta esistenzialmente fondato, in quanto rispondente alla struttura sintetica della temporalità dell’esserci umano. Nel rapporto giuridicamente regolato l’uomo è liberato dalla temporalità cosale, data dalla pura successione e dimentica dell’essenziale partecipazione all’eterno.
Il rapporto tra gli esistenti viene così collocato al livello dell’eterno, e dunque dell’uguaglianza, caratteristica propria del diritto:
"In questa sua funzione il diritto si manifesta come ripresa dell’eternità nel tempo ed ha ad esso immanente per struttura, l’elemento dell’uguaglianza. La temporalità semplice è infatti per Kierkegaard l’origine delle differenze tra gli uomini, così che all’interno di essa il tentativo di unirsi nella coesistenza apre alla violenza della non-uguaglianza"36.
Risulta così chiarita la centralità dell’esperienza giuridica nell’esistenza del singolo:
"La costruzione dell’ordine giuridicamente organizzato è temporalmente il farsi presente dell’eterno che fonda il dovere come via coesistenziale alla liberazione del singolo"37.
NOTE
31 Bruno ROMANO, Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard, Milano, 1973 (d’ora in poi SED) (torna al testo).
32 SED, p. 195. La stessa riflessione di Heidegger è del resto, specie in Sein und Zeit, debitrice in più punti del pensiero kierkegaardiano, nonostante i limiti segnati a tale influenza dallo stesso Heidegger: cfr. ad es. Sein und Zeit, §§ 40 in nota e 68a in nota (torna al testo).
33 SED, p. 195 (torna al testo).
34 SED, p. 197 (torna al testo).
35 SED, p. 209 (torna al testo).
36 SED, p. 210 (torna al testo).
37 SED, p. 211 (torna al testo).
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Interessantissimo…
Kierkegaard è senza dubbio uno dei pensatori che interrogo di frequente, e Bruno Romano è stato il mio professore di Filosofia del diritto all’Università (30 e lode, se posso un pò scoattarmela, come si dice dalle mie parti)…
Il problema della temporalità nel diritto, è, a mio parere, il problema centrale di quest’epoca, tanto più se si fa riferimento alla temporalità della tecnica, che si esaurisce in momenti brevissimi, e che il diritto è costretto ormai a rincorrere continuamente…