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Parte Prima
DIRITTO E TEMPO NELLA FILOSOFIA GIURIDICA ITALIANA
Capitolo IV
Diritto tempo coscienziale e durata: Luigi Bagolini
§23 Il tempo obiettivato e i suoi limiti esplicativi
Le figure giuridiche che coinvolgono una rappresentazione di carattere temporale fanno uso di un tempo obiettivato, che riveste le caratteristiche di localizzazione e spazializzazione rilevate da Bergson.
Si tratta, in sostanza, di accorgimenti tecnici che il diritto adotta per "registrare" la "successione cronica" degli avvenimenti per esso rilevanti:
"Tutti i procedimenti giuridici di registrazione e di misurazione cronologica si attuano mediante una specie di obiettivazione riducibile in termini di localizzazione e spazializzazione attraverso cui il decorso del tempo è assunto come successione lineare e segmentabile. Cosicché nell’àmbito dei procedimenti di misurazione giuridica si può parlare, sia pure metaforicamente, di tempo ‘cronico’, e cioè, come dicono alcuni, non propriamente di ‘Erlebnis’ temporale, come esperienza vissuta del tempo in se stesso (…) Sotto questo aspetto anche Carnelutti si riferiva al tempo spazializzato quando diceva (per ripetere le sue parole) che ‘nel significato che il diritto dà al ‘tempo’ in contrapposto al ‘luogo’, esso non è tempo puro, ma rientra in un ampio concetto di questo’"1.
Il punto di partenza, la base fenomenologica delle indagini di Luigi Bagolini su diritto e tempo2 coincide, salvo aspetti particolari che emergeranno nel corso di questo paragrafo, con le posizioni già esposte, riconducibili ad una sostanziale esteriorità ed inautenticità del tempo giuridico in se stesso e isolatamente considerato:
"Pertanto, qualunque espressione che si voglia dare del tempo obiettivato non può servire a rispondere alla domanda per cui ci si chieda che cosa sia il tempo in se stesso: il tempo obiettivato non è pensabile in se stesso ed indipendentemente dalla relazione di eventi che siano oggetto di misurazione e di registrazione"3.
Seppure necessario al diritto4, il tempo obiettivato diviene inservibile quando si tratti di fondare in base ad esso alcune delle nozioni essenziali al fenomeno giuridico come tale.
E’ per questo che Bagolini si accinge a mostrare i "limiti di un discorso in termini di tempo obiettivato, sulla cui base alcune nozioni usate dai giuristi resterebbero inspiegabili e prive di senso. Sono le nozioni di ‘dover essere’ giuridico e quelle esprimenti modalità giuridiche, principalmente la nozione di obbligo (e quindi poi ‘obbligatorio’, ‘vietato’, ‘permesso’)"5.
Il tempo obiettivato, infatti, finalizzato alla registrazione del ‘prima’ e del ‘dopo’ dei fatti rilevanti per il diritto, può essere ricondotto al principio della causalità, cui si riduce il tempo naturale e scientifico:
"La coesistenza, o non coesistenza, di eventi assunti come giuridicamente rilevanti può essere configurata in termini di causalità. (…) ‘Parlando in generale, un evento specifico, l’effetto, accade’ – dice Kelsen – ‘quando un altro evento specifico, la causa, è accaduto prima o accade simultaneamente’"6.
Ma se il tempo nel diritto è tale da lasciarsi ridurre alla causalità, come potrà essere salvata la specifica umanità del diritto, rispetto alla causalità necessitante dei fenomeni naturali? La legge giuridica non verrà a coincidere con la legge naturale, che si limita a registrare la successione tra cause ed effetti, così come fa il tempo obiettivato nel diritto?
Né il problema muta nei suoi termini di fondo ove al principio di causalità si sostituisca un più aggiornato riferimento alla teoria probabilistica7.
E’ chiaro che se l’azione del tempo nel diritto si esaurisse senza residui nella causalità, seppure attenuata dal principio probabilistico, l’obbligatorietà del diritto sarebbe da ricondurre esclusivamente all’esattezza tecnico-scientifica delle sue previsioni probabilistiche, e la sua essenza verrebbe ad essere ridotta (come pure accade di fatto) a mera tecnica di controllo sociale.
Bagolini dimostra innanzitutto l’insufficienza della soluzione prospettata da Kelsen, che pure avverte la rilevanza del problema. Tale soluzione è imperniata sul concetto di imputazione, che Kelsen, pur accogliendo l’identificazione tra tempo obiettivato e principio causale, elabora come irriducibile rispetto alla causalità naturale. L’imputazione è per Kelsen una relazione che formalmente si distingue dalla relazione di causalità. Mentre quest’ultima infatti è esprimibile attraverso la formula: "Se c’è A, c’è (o ci sarà) B", la relazione di imputazione, propria alla norma giuridica, è del tipo: "Se c’è A’, deve esserci B’".
La pretesa differenziazione kelseniana tra un essere fattuale e un dover essere normativo rimane, secondo Bagolini, puramente verbale:
"’Formalmente’ ci troviamo, nei due casi, esclusivamente di fronte a una successione temporale obiettivata. Di conseguenza, è facile rilevare che, nel discorso di Kelsen, la differenza fra ‘sein’ e ‘sollen’ – fra ‘essere’ e ‘dovere’ – è puramente verbale, poiché ‘formalmente’ i due verbi, nei due rispettivi contesti in cui si trovano inseriti, esprimono la medesima cosa e cioè null’altro che la relazione fra un ‘prima’ e un ‘dopo’: A e B, A’ e B’. Ragione per cui appunto il tentativo kelseniano di dare una distinzione ‘formale’ di ‘essere’ e di ‘dover-essere’ resta vano"8.
Data l’identità del principio temporale, dice in sostanza Bagolini, quale altro elemento può differenziare formalmente, e cioè in base allo scopo stesso che Kelsen si propone, l’essere dal dover essere?:
"Non si vede in che cosa possa consistere la caratteristica formale del ‘Sollen’"9.
Una considerazione probabilistica, che fondasse l’obbligatorietà del diritto sulla probabilità di incorrere nella sanzione prevista per il comportamento difforme, risulterebbe non meno inconsistente. Essa verrebbe infatti ad equiparare, per esempio, la posizione di criminali particolarmente abili, in grado di ridurre o annullare tale probabilità sul piano fattuale, con quella di persone cui il diritto stesso attribuisse una particolare immunità, riducendone o annullandone la probabilità di incorrere in sanzioni per mezzo di un’apposita disposizione normativa:
"L’immunità non è di per se stessa inaccettabile; è inaccettabile, sotto questo aspetto, l’equiparazione della situazione di immunità con la condizione dei criminali furbi, ragione per cui è da rigettare la riduzione tout court dell’obbligo giuridico alla probabilità di attuazione della sanzione"10.
NOTE
1 Luigi BAGOLINI, Tempo obiettivato, tempo coscienziale e durata nell’esperienza giuridica (d’ora in poi TO), in AA. VV., La responsabilità politica…, cit., p. 104 (torna al testo).
2 L’interesse per la questione del rapporto tra diritto e tempo è una costante del pensiero di Luigi BAGOLINI, di cui cfr.: La giustizia come storia, in "RIFD", 1954, pp. 565-573; Tempo e ‘dover essere’ nell’esperienza giuridica, in "RIFD", 1967, pp. 598-607; Visioni della giustizia e senso comune, Bologna, 1968, v. spec. pp. 91-124; Significati della parola ‘tempo’ in alcuni discorsi giuridici, in "Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile", 1970; Giustizia e società, Roma, 1983, v. spec. il Capitolo 4 (torna al testo).
3 TO, p. 106 (torna al testo).
4 Cfr. TO, pp. 104 e 106 (torna al testo).
5 TO, pp. 106-107 (torna al testo).
6 TO, p. 108 (torna al testo).
7 Bagolini utilizza a questo proposito le osservazioni di Reichenbach, cui Kelsen stesso si rifarà per la discussione di questi punti nell’àmbito del suo Causality and Imputation, in What is Justice? Justice, Law and Politics in the Mirror of Science, Berkeley – Los Angeles, 1960 (tr. it. in appendice a La dottrina pura del diritto, Torino, 19532, pp. 188 e ss.) (torna al testo).
8 TO, p. 110 (torna al testo).
9 TO, p. 111 (torna al testo).
10 TO, p. 114 (torna al testo).
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la teoria kelseniana della imputazione non è affatto contraddittoria ed anzi riproduce coerentemente la struttura formalista e razionalista del suo sistema.
L’imputabilità giuridica di un evento ad un soggetto, nella teoria pura del diritto, non può essere ragionata su basi naturalistiche o psicologiche, bensì esclusivamente su basi giuridiche positive. Un soggetto è responsabile di un evento se le norme giuridiche che regolano la imputabilità consentono logicamente l’ascrivibilità al soggetto dell’evento di cui trattasi. Il razionalismo giuridico è nominalistico.
In questo paragrafo riportavo le conclusioni su Kelsen di Bagolini. Per quanto mi riguarda, caro Vitaliano, condivido totalmente il tuo punto di vista.
NB Avviso ai naviganti: come potete vedere la pubblicazione della mia tesi si è interrotta. Spero di poterla pubblicare per intero entro l’estate.