Mio figlio Stefano mi segnala un articolo di Luigi Zingales su Lavoce.info, e mi chiede cosa ne penso, e allora ne approfitto per dirlo anche a voi.
Proviamo a ragionare con ordine.
Quando un’azienda va in crisi profonda, quando non ha più risorse per far fronte ai suoi debiti, quando non ottiene più prestiti dal sistema bancario perché il sistema bancario ritiene che non sarebbe capace di restituirli, questa azienda fallisce. Succede. Il fallimento è uno degli esiti possibili della vita di un’impresa. Per questo il diritto, in modi diversi a seconda dei diversi paesi e delle diverse epoche, si è sempre preoccupato di dettare le regole da seguire in questi casi: le procedure fallimentari.
Negli Stati Uniti, diretta conseguenza del fatto che si tratta (ancora) della più forte e più evoluta economia del mondo, esistono le procedure fallimentari migliori e più collaudate.
Queste procedure sono dettate fondamentalmente (per le aziende) da due norme:
- il Chapter 7
- il Chapter 11
Si ricorre al Chapter 7 nel caso di situazioni fallimentari irrecuperabili, quando cioè è evidente che non sussistono possibilità di ripresa della situazione aziendale. Le norme del Chapter 7 stabiliscono come deve essere diviso, tra chi e in quali proporzioni e con quali priorità, quel po’ di patrimonio che resta alla società che fallisce: cessa tutte le operazioni, procede alla vendita di tutto il patrimonio residuo e al riparto del ricavato tra tutti i creditori, e decreta la cessazione per fallimento dell’impresa.
Si ricorre invece al Chapter 11 nel caso di situazioni fallimentari a fronte della quali però chi gestisce l’impresa propone un piano d’azione che – avvalendosi di alcuni aiuti e facilitazioni che la norma prevedere in questi casi – consentirà all’azienda di superare la fase di difficoltà che attraversa per tornare a operare normalmente.
Chiarito questo, è evidente che nella generalità dei casi le aziende americane in crisi ricorrono prima al Chapter 11, nel tentativo di convincere i creditori e il sistema economico che vale la pena dar loro una mano per uscire dalla crisi, per poi passare, qualora tale operazione non riesca, perché i creditori non ritengono vi siano prospettive effettive, al Chapter 7 e alla definitiva messa in liquidazione.
Nel suo articolo Zingales afferma quattro cose:
- l’intervento straordinario proposto per legge dall’amministrazione americana, ovvero il regalo da 700 miliardi di $ alle società finanziarie in crisi, è sbagliato
- la cosa più giusta da fare sarebbe il ricorso al Chapter 11, ricorrendo agli strumenti che questo prevede, in particolare ricorrendo allo strumento della conversione dei debiti in quote azionarie: i creditori in questo modo rinunciano ai loro crediti, aiutando l’azienda a risollevarsi, ma in cambio ricevono quote azionarie, ritrovandosi così, una volta risanata la situazione, risarciti del loro danno dal fatto di detenere quote di una società di nuovo funzionante
- poiché il ricorso alle procedure del Chapter 11 richiede necessariamente dei tempi tecnici (elaborazione delle proposte da parte dell’azienda, valutazione delle stesse da parte dei creditori che dovrebbero accettarle, fasi di negoziazione), data la situazione di straordinaria gravità in cui queste società si trovano, e data l’entità delle somme in ballo, non si può ricorrere al Chapter 11 ma occorre comunque un intervento straordinario, per legge e immediato
- il provvidemento straordinario da adottare per legge non è però il regalo da 700 miliardi, bensì o la cancellazione tout court dei debiti di queste aziende, o la loro conversione automatica e forzata in azioni, senza che il creditore possa opporvisi
Mentre condivido l’opinione di Zingales riguardo al fatto che l’intervento ora all’esame del Congresso sia assolutamente da evitare, non condivido invece la sua proposta. Provo a spiegare.
1. Il provvedimento Paulson è sbagliato e pericoloso
La proposta del governo Bush è radicalmente sbagliata, perché non raggiungerà comunque l’obiettivo di risolvere questa crisi. A fronte di una crisi così vasta infatti, qualcuno potrebbe anche rinunciare a qualche sano principio (regalare soldi pubblici alle banche, suvvia signori, è una cosa ributtante per la logica, prima ancora che per l’etica e per il fegato), se questo servisse a voltare pagina, a risanare la situazione e a ricominciare daccapo. Ma non è così: a parte l’aspetto odioso di comunità finanziarie che da anni sanno e perfino parlano di una situazione che prima o poi sarebbe precipitata, e che su questo hanno speculato (e si tratta per lo più degli stessi beneficiari della manovra), la comunità finanziaria mondiale sa benissimo che l’entità del buco complessivo è assai più grande: è molto verosimile che si tratti di una cifra dell’ordine dei 3.000 – 3.500 miliardi di dollari. I 700 miliardi immessi non risolverebbero nulla.
Ma c’è un aspetto ancora più preoccupante, e consiste nel fatto che una manovra di questo è estremamente pericolosa perché, in un contesto di economie globali totalmente interconnesse e interdipendenti, crea un precedente esplosivo. Mi spiego con un esempio: la Cina dispone (al contrario delle economie occidentali, tutte chi più chi meno fortemente indebitate) di una liquidità straordinaria. Potrebbe dunque immettere denaro fresco in questa o quella operazione, in questo o quel settore, in questa o quella società, in dosi massicce, tali da condizionare globalmente gli equilibri finanziari mondiali a proprio favore. Perché non lo fa? Perché se lo facesse avrebbe timore di perdere credibilità (leggasi rating) sul mercato finanziario mondiale, e la credibilità, nella finanza, è tutto. Ma cosa potrebbe trattenerla dal farlo in presenza di un precedente posto in atto non da un paese del terzo mondo, o da un dittatorello esaltato, o da un regime veterocomunista, ma nientepopodimenoché dal paese alfiere del capitalismo e dell’economia di mercato, ovvero dagli USA? E cosa potrebbe trattenere dal fare altrettanto la Russia?
Il precedente che la manovra Paulson andrebbe a costituire ha un potenziale destabilizzante e distruttivo non solo e non tanto economico, ma perfino sociale e politico: potrebbe infatti scatenare manovre analoghe e concorrenti tra potenze diverse, innescando conflitti su scala globale e di entità economica spaventosamente grande, tali da poter dar luogo a vere e proprie guerre.
Non credo proprio di esagerare nel dire questo. Il diritto esiste per gestire le crisi e i conflitti, per evitare che questi vengano risolti secondo le leggi della pura potenza, ovvero attraverso le guerre. Se si rinuncia agli strumenti del diritto (in questo caso le procedure fallimentari ordinarie) altri si sentiranno abilitati a farlo, e i conflitti che ne nasceranno, riguardando fatti non regolati dal diritto, non troverebbero nel diritto gli strumenti di soluzione.
2. Anche la proposta di Zingales è sbagliata e pericolosa
Zingales, come abbiamo visto, sostiene che i tempi richiesti dal Chapter 11 sarebbero troppo lunghi, e che quindi l’operazione di salvataggio non potrebbe andare in porto, perché l’entità della crisi è tale per cui occorre intervenire subito o è il fallimento.
Sostiene anche che il provvedimento Paulson è sbagliato, richiamandosi però al (sacrosanto) principio del capitalismo, secondo cui chi raccoglie i profitti sopporta anche le perdite. Accenna appena anche al sospetto di inadeguatezza quantitativa della manovra, lasciandosi sfuggire un se il sussidio sarà sufficientemente ampio, riuscirà a fermare la crisi, cosa che come ho già detto a mio avviso è del tutto implausibile.
Come alternativa però, pur riconoscendo che in linea di principio si tratterebbe di ricorrere al Chapter 11, Zingales dice che non essendoci tempo abbastanza occorrerebbe fare una di queste due cose:
- a) cancellare per legge i debiti di queste società
- b) trasformare per leggei i debiti in azioni da girare ai creditori
Quanto alla proposta di pura e semplice cancellazione del debito, non è che non abbia fondamento economico di per sé, tutt’altro: come Zingales ben spiega, poiché un elevato debito è anche un generatore di costi, la cancellazione del debito, in una prospettiva di risanamento, è un elemento che potrebbe contribuire al salvataggio dell’azienda, a tutto vantaggio non solo degli azionisti, ma degli stessi creditori, che dovrebbero altrimenti rassegnarsi a spartirsi il nulla dell’azienda che fallisce.
Perché dunque ritengo sbagliata anche la proposta di Zingales? Perché, ancora una volta, non funzionerebbe: cancellare o convertire in azioni un debito così imponente, privare i bilanci di tutti i creditori di quelle cifre così importanti, non farebbe altro che innescare una crisi a catena su tutti questi soggetti, provocherebbe esattamente gli stessi effetti di un fallimento delle banche e delle finanziarie. Col paradosso che – ipotesi inverosimile se si vuole ma plausibile – se la manovra dovesse funzionare, queste società si ritroverebbero salvate e risanate a spese, questa volta, non dei contribuenti (come accade con la manovra Paulson) ma del sistema economico a valle, dei loro creditori, che verrebbero travolti dall’entità delle somme in gioco.
Ma ancora di più, e ancora una volta, la proposta di Zingales è pericolosa, e lo è per gli stessi motivi di pericolosità della manovra Paulson: non si tratta di salvare il capitalismo dai capitalisti, come vorrebbe Zingales, perché in gioco c’è molto di più, in gioco c’è il diritto come ultima risorsa della convivenza civile. Rinunciare, su questa scala e a queste dimensioni, agli strumenti del diritto, significa creare un precedente destabilizzante e foriero di conseguenze anche belliche. Che ne sarebbe delle relazioni internazionali se da domani qualsiasi paese si sentisse autorizzato (sulla base di un precedente da parte degli USA) a procedere per decreto ad operazioni arbitrarie e non negoziate di cancellazione del debito o di sua conversione in azioni? Cosa obiettare al governo estero che decidesse di cancellare i debiti di un’azienda indigena a tutto danno dell’azienda creditrice di un altro paese? E il tutto su larga scala, su un piano di grandezze quantitative e di soggetti coinvolti di immediata influenza globale?
3. La soluzione è il tabù: il Chapter 7
E allora, che fare? Semplice: serbare fedeltà al patto sociale, e alle leggi che lo regolano, anche, e soprattutto, nella evenienza delle crisi più gravi. Lo dirò col seguente
ATTO UNICO
Governo USA – Che accade LBeLF (Lorsignori Banchieri e Lorsignori Finanzieri)?
LBeLF – Una tragedia, signore, una catastrofe. Ecco, vede signore, per cause che ora è inutile stare qui a rivangare, tutti quei prestiti che abbiamo fatto non sono più esigibili, e se dovessimo correggere i nostri bilanci, saremmo costretti a fallire. E il buco è grosso signore, sui tremila miliardi di dollari, talmente grosso che travolgerebbe a catena i nostri creditori, con grave danno per il nostro sistema economico, e per le finanze mondiali.
Governo USA – Ohibò signori miei, e non avete messo da parte almeno un po’ dei lauti profitti che avete accumulato in tutti questi decenni di guadagni per fronte a queste situazioni? E perché mai avete prestato soldi in situazioni così evidentemente inaffidabili?
LBeLF – La verità signore? E sia: in verità tutti noi sapevamo bene che alla fine, in caso di disastro, il Paese, il Governo, non avrebbe potuto che aiutarci, e allora perché lesinare? Perché non lucrare nel frattempo interessi su tutti questi prestiti? Ora è arrivato quel momento signore, occorre ripianare.
Governo USA – O bella, e perché mai?
LBeLF – Ma signore, gliel’abbiamo già detto, perché altrimenti è il FAL-LI-MEN-TO per noi, e noi siamo il fulcro, la spina dorsale, gli esponenti più reputati e onorevoli della finanza mondiale!
Governo USA – Ah sì? Ma guarda un po’… Però però… fatemi pensare, mi pare che qualcosa di analogo sia già accaduto, anni fa, forse venti anni fa, o anche di più, in un altro paese, lasciatemi ricordare…
LBeLF – Il Giappone signore?
Governo USA – Sì, bravi, proprio il Giappone! Ora ricordo! Loro lasciarono fallire fior di banche all’epoca. Ricordo anche che ogni volta che ne parlavate ridevate a crepapelle della scarsa crescita del loro PIL, parlavate di involuzione ecc…
LBeLF – Certo signore, è proprio perché all’epoca di quella crisi in Giappone lasciarono fallire fior di banche e società finanziarie di primaria importanza, e tutto il sistema dovette essere ricostruito.
Governo USA – Già, già. E ditemi un po’, come vanno le cose in Giappone? Voglio dire, a parte la crescita zero del PIL, come va? Si muore di fame per caso da quelle parti? Le loro automobili non si vendono più? La loro tecnologia è ormai superata?
LBeLF – Beh, questo no, anzi, a dire la verità le prime due case automobilistiche sono giapponesi, e quanto allo sviluppo delle telecomunicazioni ecc… Però…
Governo USA – Però?
LBeLF – eh, però, la crescita zero…
Governo USA – Ah, capisco, la crescita zero. Bene, LBeLF, grazie per la vostra visita, arrivederci.
LBeLF – Come sarebbe arrivederci, signore? Cosa vuol dire? Cosa dobbiamo fare?
Governo USA – Beh, avete a libro paga fior di consulenti, ho visto la posta parcelle nei vostri bilanci, mica male… provate a chiedere a loro, no?
LBeLF – Signore, il problema è che non possiamo pagarli per ora, e quindi…
Governo USA – Ah, dimenticavo, non avete più un soldo, scusate. Beh, immagino che in situazioni come questa non vi resti che fare ricorso al Chapter 11, e tentare di convincere i vostri creditori a darvi una mano, magari accettando azioni delle vostre società in cambio della cancellazione dei debiti… mi pare che funzioni così, o sbaglio?
LBeLF – Oh, lei non sbaglia signore, ma vede, il fatto è che sì, insomma, le somme che noi dovremmo ai nostri creditori, le somme a cui i nostri creditori dovrebbero rinunciare sono tali che non potrebbero mai accettarne la cancellazione, neanche volendo, perché altrimenti fallirebbero loro stessi!
Governo USA – Perdindirindina amici miei! Ma allora è chiaro, mi state dicendo che le vostre società non hanno alcuna possibilità di accedere al Chapter 11, giusto? Che non c’è nessuna possibilità effettiva di risanamento, dico bene?
LBeLF – Sì, signore, è triste ma è proprio così. Ed è proprio per questo che ci siamo permessi di disturbarla, per sottoporle la gravità di una situazione che richiede senz’altro l’intervento diretto del Legislatore, in nome del Popolo Americano.
Governo USA – Ah, carissimi miei, come mi conforta sentirvi parlare così. Ebbene ho una buona notizia per voi: noi, il Governo, il Congresso, in nome del Popolo Americano, abbiamo già fatto il nostro dovere, prevedendo quel che c’è da prevedere per questi casi straordinari.
LBeLF – Ah, benissimo signore, che magnifica notizia! Dovevamo saperlo, lei sempre così attento alle vicende del nostro Paese, ha già provveduto… magnifico! E possiamo chiedere qual è il provvedimento adottato?
Governo USA – Oh, ma certo! Si chiama Chapter 7: sono certo che avete ancora un amico avvocato che, anche senza essere pagato, saprà dirvi di cosa si tratta. Ma nel caso, tranquilli, è spiegato perfino su Wikipedia. Arrivederci signori miei.
(SIPARIO)
Infatti questa pretesa di risolvere i problemi creati proprio dalla “certezza” che alla fine “lo Stato interverrà” con una soluzione “meno mercato, più Stato” è assurda: quello che occorre è più mercato (vero, coi rischi e non solo coi vantaggi che comporta) e meno Stato.
Nello stile è qualcosa che mi viene da accomunare al signoraggio. Il classico, ma si dai, fottiamocene che tanto poi qualcuno ci pensa. Io spero che prendano una botta tale che il tonfo faccia tremare la terra altro che prestiti di stato. Aaah come mi piacciono questi tuoi post.
Ciao, Fil.
In effetti l’unica alternativa seria è la nazionalizzazione (se l’azienda è risanabile), come fece l’italia ai tempi della prima IRI… se proprio i cittadini debbono pagare con le loro tasse, tanto vale che i cittadini diventino padroni. E poi si rimette sul mercato appena possibile.
Però se la Cina s’arrabbia con gli Usa e pretende di fare lo stesso, e se proprio deve finire che litigano e vogliono fare alla guerra, la Cina poi lo sa che gli Usa sono più forti, ce l’hanno più duro ed è meglio lasciarli quieti.
Quindi la Cina se ne sta buona e non si mette a litigare per niente.
Altrimenti chissà perchè gli Usa stanno tanto attenti ad evitare eventuali proliferazioni militari (altrui)?
😉
chissa perché ma mi viene il dubbio che lo stato interverrà e non con il chapter 7, chissa perché?
^___^
Un aspetto particolarmente grave del piano e’ anche il blocco della possibilità di vendere allo scoperto i titoli finziari.
http://lavocediroma.blogspot.com/2008/09/il-regime-di-wall-street-blocca-le.html
Una chicca su Paulson, Goldman Sach , Bush e il Tesoro USA (da wikipedia):
http://en.wikipedia.org/wiki/Henry_Paulson
Treasury Secretary nomination
Paulson (right) with President George W. Bush as his nomination to become Treasury Secretary is announced.
Paulson was nominated by U.S. President George W. Bush to succeed John Snow as the Treasury Secretary on May 30, 2006.[16] On June 28, 2006, he was confirmed by the United States Senate to serve in the position.[17] Paulson was officially sworn in at a ceremony held at the Treasury Department on the morning of July 10, 2006.
***Paulson’s three immediate predecessors as CEO of Goldman Sachs — Jon Corzine, Stephen Friedman, and Robert Rubin — each left the company to serve in government***: Corzine as a U.S. Senator (later Governor of New Jersey), Friedman as chairman of the National Economic Council (later chairman of the President’s Foreign Intelligence Advisory Board), and Rubin as both chairman of the NEC and later Treasury Secretary under President Bill Clinton.[18]
Il Governo USA che metti in scena mi fa pensare a quel che avrebbe fatto un compianto ex-presidente 😉
http://it.youtube.com/watch?v=fzBNNgHp-sQ
ok antonio, con un professore di economia così ti chiedo per favore un altro sforzo…compatibilemtne con i tuoi mille impegni…
chi sono questi creditori? agenzie immobiliari , altri gruppi di finanza ?:(