Il blog di Antonio Tombolini

Quindi dicevamo… Esperya? /1

Q
Esperya 1998-2002, ci eravamo lasciati qui

A (Antonio) – Ciao Esperya, bentornata!
E (Esperya) – E tu chi sei?
A – Accidenti, come chi sono? Sono Antonio, ti avevo creata io, non ricordi?
E – Creata? Avresti creato chi?
A – Creato te, Esperya!
E – Aspetta aspetta: quindi questa Esperya sarei io?
A – Certo che sì!
E – Bene, buono a sapersi.
A – Ma dimmi un po’, davvero non ricordi niente?
E – Poco per ora, pochissimo. Ma vorrei vedere te, ibernato per… quanti anni sono passati?
A – Diciassette.
E – Ecco, ibernata per diciassette anni, e risvegliata così, in quattro e quattr’otto, come niente fosse. Non è facile, credimi.
A – Questo posso immaginarlo, e mi dispiace. Dimmi cosa posso fare per te.
E – Due cose. La prima è semplice, la seconda è più difficile.

A – Dimmi la più semplice.
E – Rimettimi via. Nel freezer intendo: fammi tornare lì, non ci stavo male. In fondo, se non sbaglio, avevo lasciato un buon ricordo.
A – Altroché! Un buon ricordo, e qualche rimpianto perfino.
E – Ecco. Facciamola facile: fai conto che non sia successo niente, rimettimi via, lasciamo che resti questo buon ricordo, i rimpianti passeranno, e io me ne torno buona buona e tranquilla in congelatore.
A – E io?
E – E tu torni a fare quel che facevi.
A – Non ci riesco.

E – Come sarebbe a dire che non ci riesci? Non hai niente da fare?
A – Ne ho tante altre da fare. E dovrei anche dedicarmici con tutta l’attenzione che richiedono, ma non ci riesco.
E – Perché?
A – Dai che l’hai già capito!
E – No, ti giuro che no, non l’ho capito affatto.
A – Dai, ti conosco troppo bene: hai capito, ma ti piacciono le lusinghe. OK, non c’è problema. Vuoi la verità? Eccola: da quando sei rispuntata fuori non riesco a pensare ad altro.
E – Wow, addirittura!

A – Aspetta, sì, riesco a pensare ad altro, ma non senza di te. Ogni cosa che faccio e che penso mi sembra inevitabilmente connessa a te. Come se senza rifare i conti con te per me non ci fosse possibilità di fare alcunché.
E – Ehi, messa così, amico, sembra quasi una malattia, lo sai?
A – Probabilmente lo è, lo so. Per questo ho bisogno di te, del tuo aiuto. O vuoi lasciarmi in preda a questa malattia?
E – Ma cosa posso farci io?
A – Due cose, avevi detto che potevo fare due cose per te. La prima l’hai detta. Fuori la seconda, quella difficile.

E – Beh, la seconda è fare in modo che se proprio devo tornare a vivere insieme a te, tu mi aiuti a ricostruire il filo di quel che è successo in tutti questi anni, o ti ritroverai a convivere con una me, con una, come mi chiamo, Esperya: ecco, con una Esperya squilibrata, disadattata, impaurita, inutile.
A – OK, facciamolo. Tanto ho capito che non posso liberarmi di te. Dopo tutto questo tempo pensavo di esserci riuscito, ma non è così. Tanto vale provare.
E – L’hai voluto tu. Quando cominciamo? Ogni minuto che passo qui, in questo mondo che non riconosco più, mi fa diventare più vecchia, lo sai.
A – Subito, cominciamo subito. Ma come?

E – Facciamo così: io ti faccio le domande, e tu mi dai le risposte. Cominceremo provando a ricostruire quel che mi ricordo di allora, di quando, come dici tu, mi avevi creato. Devo capire me stessa, la Esperya di allora. Poi vedremo come fare per non trovarmi del tutto fuori luogo diciassette anni dopo, ma intanto devo ricostruire e capire chi ero e chi sono. Ci stai?
A – Ci sto, spero di esserne all’altezza.
E – Certo che lo sei: mi hai creato tu, no? A chi altri dovrei chiedere? Dopo no, dopo avremo bisogno anche degli altri, per capire cos’è successo dopo, cos’è cambiato, e come dovrei cambiare anch’io.
A – Ma tu sei sicura di voler cambiare?
E – No, ma mi ci stai costringendo tu: io, come ti ho detto, starei bene anche a tornare nel congelatore, senza dover cambiare niente. Se però vuoi tirarmi in ballo, c’è poco da fare, mi toccherà cambiare. E probabilmente toccherà cambiare anche a te, amico mio.

A – Vai con le domande. Si parte.

(1. Continua...)

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